SUBAPPALTO – L’OBBLIGO DI DISAPPLICAZIONE GRAVA ANCHE SULLE PUBBICHE AMMINISTRAZIONI
(Tar Lombardia, Brescia, Sez. I, 08 febbraio 2022, n.112)
Con sentenza n. 112 dell’8 febbraio u.s., il TAR Lombardia – Sezione staccata di Brescia – ha ribadito il principio secondo cui, in presenza di una specifica pronuncia della CGUE di non conformità rispetto alla disciplina europea, la norma italiana censurata (nel caso di specie, quella relativa al subappalto) deve essere disapplicata, oltre che dai giudici interni, anche dalle pubbliche amministrazioni nazionali che, pertanto, non devono tenerne conto nell’adozione degli atti di loro competenza
Infatti, le sentenze della Corte di giustizia hanno il valore di fonte del diritto comunitario nella interpretazione delle norme UE e nella individuazione degli ambiti di applicazione delle stesse, con efficacia immediata e diretta nell’ordinamento italiano.
Di talché – sempre secondo il Collegio –, l’interpretazione fornita da tali sentenze crea un vincolo per le istituzioni degli Stati membri, cui si connette l’obbligo di disapplicare la normativa interna eventualmente giudicata contraria al diritto UE, sia per i giudici che per gli apparati amministrativi interni.
In altri termini, qualora il conflitto tra le discipline sia stato appurato da una fonte univoca, quale una sentenza della Corte, la non applicazione della normativa interna costituisce un potere-dovere gravante non solo sui giudici, poiché la disapplicazione è un obbligo per lo Stato membro in tutte le sue articolazioni e, quindi, anche per gli apparati amministrativi che, attraverso i suoi funzionari, siano chiamati ad applicare la norma interna contrastante con il diritto euro – unitario (al riguardo, cfr. ex multis CGUE, 22 giugno 1989, C-103/88 e 24 maggio 2012, C-97/11; Corte Costituzionale, sentenza 21 aprile 1989 n. 232; Cons. Stato, VI, 23 maggio 2006 n. 3072; VI, 7874/2019; V, 5 marzo 2018, n. 1342),
Solo in questo modo, infatti, si realizza la piena applicazione delle norme comunitarie, da considerarsi di rango preminente rispetto a quelle dei singoli Stati membri (cfr. CGUE sentenza 9 marzo 1978, causa 106/77 – c.d. “sentenza Simmenthal”).
In ossequio a tali principi, il Tribunale amministrativo per la Lombardia ha annullato il provvedimento con cui una stazione appaltante aveva negato all’impresa esecutrice dell’appalto l’autorizzazione a subappaltare parte dei lavori, sul rilievo che fosse stato praticato un corrispettivo non congruo, poiché ribassato oltre il 20 per cento rispetto al prezzo posto a base del contratto principale.
Segnatamente, tale diniego di autorizzazione era stato disposto in virtù della previgente disciplina di cui all’art. 105, comma 14 del codice dei contratti, la quale – nella versione ratione temporis applicabile alla procedura di affidamento – disponeva che “l’affidatario deve praticare, per le prestazioni affidate in subappalto, gli stessi prezzi unitari risultanti dall’aggiudicazione, con ribasso non superiore al venti per cento, nel rispetto degli standard qualitativi e prestazionali previsti nel contratto di appalto (…); la stazione appaltante (…) provvede alla verifica dell’effettiva applicazione della presente disposizione” (sul punto, si evidenzia che analoga disposizione era altresì contenuta nell’abrogato art. 118 del d.lgs. n. 163/2006).
Ebbene, il TAR ha annullato il suddetto provvedimento proprio in virtù della non conformità al diritto UE della normativa citata che, pertanto, avrebbe dovuto essere disapplicata direttamente dalla stessa stazione appaltante. Ciò, coerentemente con i dicta della sentenza 27 novembre 2019, C-402/18, in cui la CGUE ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità della disciplina italiana nella parte in cui vietava che i prezzi applicabili alle prestazioni affidate in subappalto fossero ridotti di oltre il 20% rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione, trattandosi di strumento eccedente rispetto alla necessità di assicurare la tutela salariale dei lavoratori impiegati nel subappalto.
Al riguardo, si segnala che il comma 14 citato è stato successivamente modificato per effetto dell’art. 49, I comma, lett. b), del d.l. 31 maggio 2021, n. 77 – convertito con modificazioni dalla l. 29 luglio 2021, n. 108 -, in senso conforme alla ripetuta sentenza CGUE 27 novembre 2019, C-402/18. Per effetto della riforma, è stato soppresso il riferimento ai limiti di ribasso per i prezzi, ed ora si stabilisce invece che “Il subappaltatore, per le prestazioni affidate in subappalto, deve garantire gli stessi standard qualitativi e prestazionali previsti nel contratto di appalto e riconoscere ai lavoratori un trattamento economico e normativo non inferiore a quello che avrebbe garantito il contraente principale, inclusa l’applicazione dei medesimi contratti collettivi nazionali di lavoro, qualora le attività oggetto di subappalto coincidano con quelle caratterizzanti l’oggetto dell’appalto ovvero riguardino le lavorazioni relative alle categorie prevalenti e siano incluse nell’oggetto sociale del contraente principale”.
Di seguito, le motivazioni dell’accoglimento del ricorso:
…omissis…
4.1. Invero, la citata sentenza 27 novembre 2019 della Corte stabilisce la regola per cui “la direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, dev’essere interpretata nel senso che: … essa osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che limita la possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate di oltre il 20% rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione”.
La normativa nazionale in questione era appunto quella italiana, e la previsione rilevante era all’epoca, come già ricordato, l’art. 118, IV comma, del d.lgs. n. 163/2006, poi sostituito dall’analogo art. 105, XIV comma, del d.lgs. n. 50/2016.
4.2.1. Ebbene, come, pur laconicamente, osserva parte ricorrente – e nulla ha opposto la parte resistente, almeno in entrambe le fasi del giudizio di I grado – le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea hanno il valore di fonte del diritto comunitario nella interpretazione delle norme comunitarie e nella individuazione degli ambiti di applicazione delle stesse, con efficacia immediata e diretta nel nostro ordinamento.
4.2.2. Ciò, anzitutto, comporta che la non applicazione della disposizione interna, contrastante con l’ordinamento comunitario, costituisce un potere-dovere anzitutto per il giudice (conf. C.d.S. VI, 11 novembre 2019, n.7874; conf. ex multis, id. 3 maggio 2019, n. 2890; V, 28 febbraio 2018, n. 1219), così da realizzare la piena applicazione delle norme comunitarie, di rango preminente rispetto a quelle dei singoli Stati membri: “la pronuncia pregiudiziale della Corte di giustizia crea l’obbligo del giudice nazionale di uniformarsi ad essa e l’eventuale violazione di tale obbligo vizierebbe la sentenza secondo la disciplina dell’ordinamento interno e, al contempo, darebbe luogo a una procedura di infrazione nei confronti dello stato di cui quel giudice è organo” (C.d.S. VI, 7874/2019 cit.).
4.2.3. Inoltre, sempre la condivisibile giurisprudenza maggioritaria stabilisce che non è solo l’autorità giudiziaria a dover così operare, poiché la disapplicazione è un obbligo per lo Stato membro in tutte le sue articolazioni e, quindi, anche per gli apparati amministrativi che, attraverso i suoi funzionari, siano chiamati ad applicare la norma interna contrastante con il diritto euro – unitario, in particolare qualora tale conflitto sia stabilito da una fonte univoca, quale appunto le sentenze della Corte (si tratta di una conclusione risalente, in sede europea, già a Corte di Giustizia delle Comunità europee, 22 giugno 1989, C-103/88 e poi a Corte di Giustizia dell’Unione europea 24 maggio 2012, C-97/11; per la Corte costituzionale alla sentenza 21 aprile 1989 n. 232, e, quanto alla giurisprudenza amministrativa, sino almeno a C.d.S., VI, 23 maggio 2006 n. 3072; tra le ultime, C.d.S. VI, 7874/2019 cit.; id. V, 5 marzo 2018, n. 1342).
5.1. Ne consegue dunque che il ricorso è fondato.
Il provvedimento di ….. è illegittimo poiché la stessa committente avrebbe dovuto disapplicare la norma interna e non opporsi in parte qua al subappalto; in ogni caso, la disapplicazione, secondo quanto sopra esposto spetterebbe direttamente al giudice: con conseguente annullamento, comunque, secondo quanto sopra esposto, della previsione impugnata.
5.2. È peraltro da aggiungere che, come già inizialmente ricordato, il citato art. 105, XIV comma, del d.lgs. n. 50/2016, alla data del 18 ottobre 2021 (quando cioè ….. escluse la lavorazione in questione dal subappalto) era già stato modificato per effetto dell’art. 49, I comma, lett. b), del d.l. 31 maggio 2021, n. 77, convertito con modificazioni dalla l. 29 luglio 2021, n. 108, in senso conforme alla ripetuta sentenza C.G.U.E. 27 novembre 2019, C-402/18: ed è proprio la coerenza con la nuova disposizione di legge che consente a questo giudice di valorizzare tuttora la fonte comunitaria.
5.3. Per effetto della riforma, e per quanto d’interesse, nell’art. 105, XIV comma, è stato soppresso il riferimento ai limiti di ribasso per i prezzi e ora si stabilisce invece che “Il subappaltatore, per le prestazioni affidate in subappalto, deve garantire gli stessi standard qualitativi e prestazionali previsti nel contratto di appalto e riconoscere ai lavoratori un trattamento economico e normativo non inferiore a quello che avrebbe garantito il contraente principale, inclusa l’applicazione dei medesimi contratti collettivi nazionali di lavoro, qualora le attività oggetto di subappalto coincidano con quelle caratterizzanti l’oggetto dell’appalto ovvero riguardino le lavorazioni relative alle categorie prevalenti e siano incluse nell’oggetto sociale del contraente principale”.
5.4. Pertanto, annullato il diniego di autorizzazione, la committente dovrà ripronunciarsi, entro 15 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione della presente sentenza, sulla domanda di subappalto ………. in conformità a quanto attualmente previsto dalla norma di legge.
…omissis…
IN ALLEGATO
Tar Lombardia, Brescia, Sez. I, 08 febbraio 2022, n.112
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