PER AMPLIAMENTO DI INSEDIAMENTI PRODUTTIVI BASTA UNA VARIANTE SEMPLIFICATA
La procedura accelerata di variante urbanistica per l’insediamento di nuove attività produttive prevista dall’art. 8 del Dpr 160/2010 (Regolamento sullo Sportello Unico delle Attività Produttive) può essere utilizzata anche per l’ampliamento di attività esistenti. È quanto ha stabilito il TAR Lombardia, Brescia in una recente sentenza (sez. I, 14 febbraio 2018, n. 180) che fornisce una interpretazione estensiva di questa norma.
L’art. 8 – finalizzato a semplificare la realizzazione di nuovi insediamenti produttivi in situazioni di assenza o insufficienza di aree idonee sul territorio comunale – consente in questi casi all’interessato di chiedere al responsabile del SUAP la convocazione di una conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14 e ss. della Legge 241/1990, in seduta pubblica, il cui esito può comportare variazione dello strumento urbanistico.
Il Tar Brescia al riguardo ha specificato che:
• “è certamente vero che, per giurisprudenza costante, la procedura semplificata di variante urbanistica ha carattere eccezionale e derogatorio della disciplina generale e non può essere surrettiziamente trasformata in modalità ordinaria di variazione dello strumento urbanistico, sicché non può trovare applicazione al di fuori delle ipotesi specificatamente previste dalla norma”;
• tuttavia, il concetto di “attività produttive” deve essere comprensivo di tutte le attività di impresa di cui all’art. 2082 del Codice civile e pertanto è legittima la possibilità di utilizzare la variante semplificata, oltre che per impianti ancora da realizzare, anche per l’ampliamento di edifici già esistenti;
• in questo caso, la realizzazione di manufatti in ampliamento strettamente funzionali all’attività produttiva dello stabilimento esistente, non può prescindere dalla localizzazione nella stessa area o comunque in un’area in stabile e diretto collegamento con quella dove è ubicato l’immobile da ampliare;
• la norma si applica anche alle attività esistenti e va interpretata come tesa a favorire la loro comoda ed efficace espansione, ed è inutile l’astratta indagine sulla possibilità di ricercare altrove aree che sarebbero certamente inidonee allo scopo o comunque non rispondenti all’interesse imprenditoriale perseguito.
Questa interpretazione estensiva dell’art. 8 Dpr 160/2010 è interessante alla luce dell’entrata in vigore del Dpcm 13/2008 sull’esercizio dei condhotel, ossia strutture a destinazione mista ricettiva e residenziale e caratterizzate da una gestione unitaria ed integrata dei servizi alberghieri a tutte le unità immobiliari e quindi sia alle camere destinate alla ricettività che alle unità abitative a destinazione residenziale (vedi news Ance n. 31810 dell’8 marzo 2018 e 31903 del 14 marzo 2018).
L’apertura dei condhotel presuppone quindi la rimozione parziale del vincolo alberghiero per la quota di unità immobiliari previste all’interno della nuova struttura. Considerato che in alcuni casi la rimozione del vincolo potrebbe richiedere la previa approvazione di una variante urbanistica, il Dpcm 13/2018 consente alle Regioni – entro il termine di un anno dalla sua pubblicazione – di regolamentare in modo semplificato il procedimento di variazione del piano urbanistico (art. 11).
È evidente che, nelle more della adozione della normativa regionale, potrebbe risultare estremamente complesso l’avvio di quelle strutture per cui la realizzazione delle residenze richiede una variante urbanistica.
Considerato che il Dpr 160/2010 nel definire le “attività produttive” vi include anche le attività turistiche e alberghiere (art. 1, comma 1, lettera i) e rilevato l’orientamento giurisprudenziale ribadito nella sentenza in commento, si ritiene possibile in via transitoria utilizzare il procedimento di variante semplificata di cui all’art. 8 del Dpr 160/2010 anche per quei procedimenti di conversione di strutture alberghiere in condhotel, in relazione ai quali la rimozione del vincolo alberghiero richiede la previa approvazione di una variante urbanistica.
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