LA QUALIFICAZIONE SOA DOPO LA CESSIONE DI RAMO D’AZIENDA
Con un’importante sentenza l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si è pronunciata sul delicato tema delle cessioni di ramo di azienda, chiarendo che può essere confermato il possesso dei requisiti speciali di qualificazione in capo alla cedente senza soluzione di continuità dell’attestazione SOA di quest’ultima (Cons. St., A.P., 3 luglio 2017, n. 3 – Pres. Frattini, Est. Bellomo).
In questo modo, l’Adunanza Plenaria conferma l’orientamento d’impronta sostanzialista, che ritiene indispensabile la verifica in concreto ed ex post della entità dei beni e rapporti trasferiti con il negozio traslativo; ciò al fine di accertare se trattasi di un vero e proprio trasferimento di ramo di azienda o non piuttosto di un trasferimento di singoli cespiti o di parti dell’azienda che, ancorché qualificati come ramo aziendale, sono privi di autonomia funzionale nel contesto dell’impresa e comunque non significativi.
Ne discende che la cessione del ramo d’azienda non comporta automaticamente la perdita della qualificazione dell’impresa cedente, occorrendo procedere – su richiesta o in sede di verifica periodica – a una valutazione in concreto dell’atto di cessione e dei requisiti di qualificazione rimasti (cfr. art. 76, co. 11, del D.P.R. n. 207/2010).
A tale proposito, è corretto ritenere che, in caso di cessione dell’azienda o di un suo ramo, compete alla SOA accertare in concreto quali requisiti sono stati trasferiti; ciò, nel presupposto che se un contratto traslativo non produce ipso iure l’acquisto di un diritto in capo all’avente causa, non può produrre ipso iure la sua perdita in capo al dante causa (vedi art. 79, co. 11 del D.P.R. 207/2010).
L’efficacia probatoria e non già sostanziale della verifica operata dalla SOA, impone l’accertamento dei requisiti persi al fine di dichiarare l’eventuale decadenza dell’attestazione, altrimenti l’impresa cedente potrà continuare ad avvalersi dell’attestazione originaria (art. 76, co. 11, secondo periodo del D.P.R. 207/2010).
In questo modo, si arriva – ad avviso dell’Adunanza Plenaria – ad una soluzione coerente con il principio secondo cui le qualificazioni richieste dal bando (al pari di tutti gli altri requisiti generali e speciali), debbono essere possedute dai concorrenti non solo al momento della scadenza del termine per la presentazione delle offerte, ma anche in ogni successiva fase del procedimento di evidenza pubblica e per tutta la durata dell’appalto, senza soluzione di continuità.
Tale principio costituisce al tempo stesso fondamento e limite degli oneri posti all’impresa partecipante a una gara di appalto in materia di documentazione del perdurante possesso dei requisiti di qualificazione: se la normativa intende garantire l’effettivo possesso dei requisiti di qualificazione, non può contraddittoriamente fissare una presunzione di perdita dei requisiti in virtù della cessione di un ramo d’azienda.
Al contrario, la presunzione assoluta di perdita dei requisiti da parte della cedente, così come evidenziata nella tesi formalistica (o della discontinuità), deve ritenersi basata su elementi di evidente irragionevolezza, che si porrebbero in tensione con il principio di proporzionalità, con il diritto della concorrenza e con le libertà economiche garantite dal Trattato sul funzionamento UE.
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