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25.07.2016 - urbanistica

DDL CONSUMO DEL SUOLO: APPROFONDIMENTO

Lo scorso 12 maggio la Camera dei Deputati ha approvato in prima lettura il disegno di legge C/2039 e abbinati “Contenimento dei consumo di suolo e riuso del suolo edificato” dopo un iter lungo e complesso, durato più di due anni e caratterizzato da un intenso dibattito culturale.
Il testo approvato ha subito una lunga serie di modifiche alcune delle quali importanti e, in linea generale, nella direzione auspicata dall’Ance.
L’Ance ha predisposto un documento nel quale sono esaminati i contenuti degli articoli di maggiore interesse del provvedimento.
Il testo (atto S/2383) è all’esame delle Commissioni riunite 9° Agricoltura e 13° Territorio e Ambiente del Senato e si attende la nomina dei relatori.

Di seguito alcune prime note di approfondimento

DDL C/2039 – S/2383 “Contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato” Prime note di lettura 1 giugno 2016

Premessa
Lo scorso 12 maggio la Camera dei Deputati ha approvato in prima lettura il disegno di legge C/2039 e abbinati dopo un iter lungo e complesso, durato più di due anni e caratterizzato da repentine accelerazioni alternate a lunghi periodi di inattività nonché da un intenso dibattito culturale. Il testo approvato ha subito una lunga serie di modifiche alcune delle quali importanti e, in linea generale, nella direzione auspicata dall’Ance. Di seguito alcune prime note di lettura sui principali articoli del provvedimento. Il testo (atto S/2383) è all’esame delle Commissioni riunite 9° Agricoltura e 13° Territorio e Ambiente del Senato e si attende la nomina dei relatori.

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Articolo 1 – Finalità e ambito della legge Il disegno di legge nella formula iniziale era stato redatto dal Ministero delle politiche agricole e ciò emerge chiaramente nel primo articolo dove si prevede che:
– l’obiettivo principale è la valorizzazione e la tutela del suolo per promuovere e tutelare l’attività agricola, il paesaggio e l’ambiente e contenere il consumo di suolo in quanto bene comune e risorsa non rinnovabile (comma 1);
– le politiche di sviluppo del territorio a livello nazionale e regionale dovranno perseguire la tutela e valorizzazione dell’attività agricola mediante la riduzione del consumo del suolo e favorire la destinazione agricola del suolo e l’esercizio delle pratiche agricole (comma 5).
Pur non essendo intenzione del Governo dettare una disciplina di riforma del governo del territorio, il disegno di legge incide inevitabilmente su questa materia e sulle future scelte nell’uso del territorio, introducendo principi fondamentali, quali “il riuso e la rigenerazione urbana, oltre che la limitazione del consumo di suolo”, idonei a delineare di fatto un nuovo modello di sviluppo territoriale incentrato prevalentemente sulla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente (comma 2).
Da tali principi deriva l’obbligo per le pubbliche amministrazioni, in presenza di nuovi interventi sul territorio, di dare priorità al riuso di immobili esistenti e di aree già urbanizzate, che si esplica nelle seguenti misure:
– il consumo di suolo è consentito esclusivamente nei casi in cui non esistano alternative consistenti nel riuso e nella rigenerazione delle aree già urbanizzate (comma 2);
– i comuni, in presenza di previsioni espansive, dovranno fornire nel proprio strumento di pianificazione urbanistica generale specifiche e puntuali motivazioni circa l’effettiva necessità di consumo di suolo inedificato (comma 3).
Le Regioni dovranno prevedere norme in grado di orientare i comuni in questa direzione;
– con riferimento alla localizzazione delle opere pubbliche o di interesse pubblico (fatte salve quelle “prioritarie” di cui alla parte V del D.lgs. 50/2016, escluse del tutto dall’applicazione del disegno di legge), la p.a. competente alla progettazione e realizzazione dell’opera dovrà procedere alla valutazione di alternative che non comportino consumo di 4 suolo.
Per le opere soggette a Via, Vas e a verifica di assoggettabilità, tale valutazione avverrà nell’ambito di queste procedure ambientali e quindi dovrà risultare dai relativi atti conclusivi; per le opere non soggette a Via, Vas e a verifica di assoggettabilità, la valutazione dovrà risultare dall’atto di approvazione del progetto definitivo (comma 2).
L’impatto della nuova legge sulle future politiche territoriali ed urbanistiche è evidente laddove si prevede che:
– gli strumenti di pianificazione territoriale, urbanistica e paesaggistica – attualmente di competenza regionale, delle città metropolitane, delle province (salvo che, nel frattempo, non entri in vigore la riforma costituzionale che ne prevede l’abrogazione definitiva) e dei comuni – dovranno adeguarsi alle nuove norme, privilegiando il riuso e la rigenerazione urbana nonché l’utilizzo agroforestale dei suoli agricoli abbandonati (comma 4);
– le regioni, al fine di attuare i principi della priorità del riuso e della rigenerazione del patrimonio edilizio esistente e del contenimento del consumo del suolo, nell’ambito delle propria competenza legislativa in materia di governo del territorio, dovranno adottare norme per incentivare i comuni a promuovere strategie di rigenerazione urbana, anche mediante l’individuazione negli strumenti di pianificazione urbanistica, di ambiti ed aree, anche produttive dismesse, da sottoporre ad interventi di rinnovo edilizio (art. 4, comma 1).
Premesso che già oggi molte leggi regionali sul governo del territorio, seppure con modalità di attuazione differenti, sono fondate sul principio del contenimento del consumo del suolo, nel futuro si aprirà una nuova stagione di leggi regionali e di piani territoriali ed urbanistici che dovranno adeguarsi ai principi del disegno di legge.

Articolo 2 – Definizioni
Le definizioni sono finalizzate all’applicazione della nuova legge e avranno necessariamente un valore di riferimento per tutte le leggi regionali ed i piani che verranno approvati successivamente all’entrata in vigore della legge.
Consumo del suolo
Il consumo del suolo è “l’incremento annuale netto della superfice agricola, naturale e seminaturale soggetta a interventi di impermeabilizzazione” e si specifica che “il calcolo del consumo di suolo netto si intende ricavato dal bilancio tra superfici agricole, naturali e semi-naturali in cui si è verificata l’impermeabilizzazione e superfici impermeabilizzate in cui sia stata rimossa l’impermeabilizzazione”.
Rispetto al testo originario del DDL C/2039 la definizione appare molto migliorata sotto diversi aspetti perché si sono prese a riferimento le indicazioni comunitarie e cioè:
– è stato inserito il principio per cui il calcolo deve riferirsi al consumo di suolo “netto” che si ricava dal bilancio tra superfici agricole, naturali e semi-naturali in cui si è verificata l’impermeabilizzazione e le superfici in cui è stata rimossa la precedente impermeabilizzazione (vedi la Comunicazione della Commissione UE “Tabella di Marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse” 20.9.2011 COM(2011) 571, dove entro il 2020 le politiche comunitarie dovranno tenere conto dei loro impatti diretti ed indiretti 5 sull’uso del territorio e il trend del consumo di suolo dovrà raggiungere l’obiettivo del consumo netto di suolo pari a zero nel 2050);
– è stato recepito il concetto di impermeabilizzazione (vedi Documento di lavoro della Commissione Europea 15.5.2012 SWD (2012) 101, contenente “Orientamenti in materia di buone pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo”, finalizzato a fornire informazioni sul livello di impermeabilizzazione del suolo nell’Unione Europea ed esempi di buone pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo).
Ciò nonostante, non appare corretto definire il consumo di suolo in termini di “incremento annuale” poiché una definizione dovrebbe descrivere ciò che realmente avviene, mentre tale formulazione si basa su un mero raffronto fra dati di anni differenti e per di più necessariamente di segno positivo (vedi la definizione di consumo di suolo in LR Lombardia 31/2014: “trasformazione, per la prima volta, di una superficie agricola da parte di uno strumento di governo del territorio, non connessa con l’attività agro-silvo-pastorale, esclusa la realizzazione di parchi urbani territoriali e inclusa la realizzazione di infrastrutture comunali e sovracomunali”).
Definizione di superfice agricola, naturale e semi-naturale
Per “superficie agricola, naturale e semi-naturale” si intendono “i terreni qualificati come agricoli dagli strumenti urbanistici, nonché le altre superfici non impermeabilizzate alla data di entrata in vigore della presente legge”.
Grazie anche all’azione dell’Ance durante l’iter parlamentare alla Camera sono state introdotte diverse deroghe che permettono di escludere da questa ampia e rigida definizione:
– le superfici destinate a servizi di pubblica utilità di livello generale e locale previste dagli strumenti urbanistici vigenti;
– le aree destinate a infrastrutture e insediamenti prioritari di cui alla parte V del D.lgs. 50/2016;
– le aree funzionali all’ampliamento delle attività produttive esistenti;
– i lotti interclusi e le aree ricadenti nelle zone di completamento destinati prevalentemente a interventi di riuso e rigenerazione.
Con riferimento a quest’ultima eccezione, si evidenzia che inizialmente la deroga riguardava “i lotti e gli spazi inedificati interclusi già dotati di opere di urbanizzazione primaria”, senza tenere conto della diversità delle situazioni locali e delle definizioni regionali.
L’azione dell’Ance è stata finalizzata ad individuare una terminologia più idonea ed ampia possibile in modo da ricomprendervi non solo i lotti interclusi, ma anche quelle aree libere in ambito urbano consolidato non propriamente intercluse (e quindi non necessariamente circondate su tre o quattro lati da edifici preesistenti), anche senza urbanizzazioni, che si possono definire “di completamento” ovvero “di ricucitura”.
L’obiettivo è quello di assicurare la formazione di un tessuto urbano omogeneo che riempia i “vuoti urbani”.
Impermeabilizzazione
La definizione di “impermeabilizzazione”, inserita durante il dibattito parlamentare, riguarda “il cambiamento della natura o della copertura del suolo mediante interventi di copertura artificiale, 6 scavo e rimozione del suolo non connessi all’attività agricola, nonché mediante altri interventi, comunque non connessi all’attività agricola, tali da eliminarne la permeabilità, anche per effetto della compattazione dovuta alla presenza di infrastrutture, manufatti e depositi permanenti di materiali”.
Al riguardo non appare corretto escludere dall’ambito di applicazione di tale definizione le impermeabilizzazioni del suolo connesse all’attività agricola, sia in linea generale perché vi è una disparità di trattamento fra opere e manufatti in considerazione della diversa destinazione d’uso, laddove invece la loro realizzazione produce il medesimo effetto di rendere impermeabile il suolo; sia perché da ciò potrebbero derivare ripercussioni sull’applicazione della definizione di consumo di suolo che evidentemente non si avrebbe in presenza di manufatti o opere a destinazione agricola.
Area urbanizzata
Anche la definizione di “area urbanizzata” è stata inserita durante il dibattito alla Camera e ricomprende “la parte del territorio costituita dai centri storici, le aree edificate con continuità dei lotti a destinazione residenziale, industriale e artigianale, commerciale, direzionale, di servizio o turistico-ricettiva, le aree dotate di attrezzature, servizi o impianti tecnologici, i parchi urbani, i lotti e gli spazi inedificati interclusi dotati di opere di urbanizzazione primaria”.
La definizione però non è stata adeguata alle modifiche apportate alla definizione di superficie agricola, dalla quale sono ora esclusi, come detto in precedenza, non solo i lotti interclusi ma anche le aree ricadenti nelle zone di completamento, senza che debbano essere dotati di opere di urbanizzazione primaria.
Rigenerazione urbana
La rigenerazione urbana è “un insieme coordinato di interventi urbanistici, edilizi e socioeconomici nelle aree urbanizzate, compresi gli interventi volti a favorire l’insediamento di attività di agricoltura urbana, quali orti urbani, orti didattici, orti sociali e orti condivisi, che persegua gli obiettivi della sostituzione, del riuso e della riqualificazione dell’ambiente costruito in un’ottica di sostenibilità ambientale, di contenimento del consumo di suolo, di localizzazione dei nuovi interventi di trasformazione nelle aree già edificate, di innalzamento del potenziale ecologicoambientale, di riduzione dei consumi idrici ed energetici e di realizzazione di adeguati servizi primari e secondari”.
Questa definizione appare generica e comprensiva di interventi quali l’attività di agricoltura urbana (orti urbani, orti didattici, orti sociali e orti condivisi, ecc.) che non solo non sembrano realmente pertinenti con l’attività di rigenerazione, ma oltretutto appaiono di difficile realizzazione in ambito urbano dove spesso non è possibile o è difficile “fare agricoltura”.
Mitigazione
La definizione di mitigazione, come quella di compensazione ambientale, è di derivazione europea ed indica un insieme coordinato di azioni e di misure contestuali all’intervento di consumo di suolo tese a mantenere o a migliorare le funzioni eco-sistemiche del suolo, a minimizzare gli effetti di frammentazione delle superfici agricole, naturali o seminaturali, nonché a ridurre gli effetti negativi diretti o indiretti sull’ambiente, sulle attività agro-silvo-pastorali, sul paesaggio, sull’assetto idrogeologico e sul benessere umano.
Compensazione ambientale
La compensazione ambientale indica “l’adozione, contestualmente all’intervento di consumo di suolo, di misure dirette a recuperare, ripristinare o migliorare, in maniera proporzionale all’entità dell’intervento stesso, le funzioni del suolo già impermeabilizzato attraverso la sua deimpermeabilizzazione e a ripristinare le condizioni naturali del suolo”.
Si tratta di un concetto fondamentale connesso a quello di consumo di suolo “netto” e alla possibilità di de-impermeabilizzare suoli in precedenza impermeabilizzati.
Tale definizione va migliorata nelle parte in cui prevede che la compensazione debba essere:
– proporzionale all’entità dell’intervento, poiché non appare chiaro quale sia nella pratica il criterio da utilizzare per calcolare la proporzionalità rispetto all’interventi di consumo del suolo;
– effettuata contestualmente all’intervento di consumo di suolo.
Articolo 3 – Limite al consumo di suolo
Il meccanismo delineato è incentrato sulla definizione di un quantitativo massimo di suolo consumabile a carattere vincolante e progressivo fino al perseguimento dell’obiettivo imposto a livello comunitario del “consumo di suolo netto pari a zero entro il 2050”.
Tale quantitativo è stabilito con decreto del Ministro delle politiche agricole adottato sulla base dei criteri indicati dalla Conferenza Unificata entro 180 gg dalla data di entrata in vigore della legge, entro un anno dall’entrata in vigore della legge e aggiornato ogni 5 anni.
Successivamente:
– la Conferenza Unificata con propria delibera da adottarsi entro 180 gg dall’entrata in vigore del decreto ministeriale effettua il riparto delle quote di territorio consumabile fra le regioni e stabilisce i criteri di attuazione delle misure di mitigazione e di compensazione; se la Conferenza Unificata non provvede entro tale termine, il riparto è effettuato, previa assegnazione di un ulteriore termine di 15 gg per provvedere, con delibera del Consiglio dei Ministri;
– le Regioni e le Province autonome, a loro volta, entro 180 gg dalla delibera della Conferenza Unificata dispongono la riduzione del consumo di suolo e dettano criteri e modalità da rispettare nella pianificazione urbanistica comunale.
Se non provvedono entro tale termine, gli atti di determinazione sono adottati con delibera del Consiglio dei Ministri, previa intesa in Conferenza Unificata.
Inoltre con decreto del Ministero delle politiche agricole e del Ministro dell’ambiente adottato entro 90 gg. dalla data di entrata in vigore della legge, sono definiti i soggetti pubblici, le modalità e i criteri per il monitoraggio sulla riduzione del consumo di suolo e sull’attuazione della legge, che verrà esercitato con l’ausilio dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e del Consiglio per la ricerca in agricoltura.
Articolo 4 – Priorità del riuso
L’art. 4 individua il percorso procedurale finalizzato all’individuazione nei piani urbanistici comunali degli ambiti e delle aree a destinazione produttiva dismesse da sottoporre prioritariamente ad interventi di ristrutturazione urbanistica e di rinnovo edilizio.
La procedura, parallela e non coordinata con quella dell’art. 3, prevede che:
– entro 180 gg dalla data di entrata in vigore della legge, le Regioni al fine di attuare i principi della priorità del riuso e della rigenerazione del patrimonio edilizio esistente e del contenimento del consumo del suolo, nell’ambito delle propria competenza legislativa in materia di governo del territorio, adottano norme per incentivare i comuni a promuovere strategie di rigenerazione urbana, anche mediante l’individuazione negli strumenti di pianificazione urbanistica, di ambiti ed aree produttive dismesse, da sottoporre ad interventi di rinnovo edilizio;
-decorso inutilmente tale termine, il Presidente del Consiglio dei Ministri assegna alle Regioni un ulteriore termine di 15 gg per adottare i provvedimenti in materia di riqualificazione urbana, superato il quale sono dettate, con delibera del Consiglio dei Ministri, disposizioni uniformi applicabili in tutte le regioni che non hanno provveduto fino all’entrata in vigore delle disposizioni regionali;
– entro 1 anno dall’entrata in vigore delle disposizioni regionali o statali i comuni procedono all’individuazione delle aree da riqualificare nel rispetto dei criteri e delle modalità stabilite;
– decorso tale termine senza che il comune abbia provveduto, la regione lo diffida assegnando un ulteriore termine di non superiore a 90 gg, superato inutilmente il quale procede in via sostitutiva entro i successivi 90 gg;
– decorso anche questo termine, nel territorio del comune inadempiente è vietata la realizzazione di interventi edificatori privati (residenziali, a servizi, produttivi) comportanti consumo di suolo (art. 4, comma 6).
In mancanza di diffida regionale, tale divieto si applica in ogni caso decorsi 6 mesi dalla scadenza del termine di 1 anno dall’entrata in vigore delle disposizioni regionali o statali volte alla individuazione delle aree da riqualificare.
L’Ance, durante i lavori parlamentari, ha evidenziato l’assenza di un coordinamento fra la norma che impone il blocco dell’edilizia privata in mancanza dell’individuazione da parte del comune o della regione delle aree urbane da rigenerare e l’art. 11, comma 1 che, durante il periodo transitorio e comunque per un termine massimo di 3 anni dall’entrata in vigore delle legge, fa salvi una serie di interventi puntuali o in esecuzione di piani attuativi che a causa del blocco previsto dall’art. 4, comma 6 avrebbero potuto subire un arresto vanificando la salvaguardia garantita nel regime transitorio.
Grazie all’azione dell’Ance è stata inserita alla fine dell’art. 4, comma 6 una clausola di salvaguardia per gli interventi di cui al regime transitorio dell’art. 11, comma 1.
L’art. 4 prevede anche l’obbligo per i comuni di:
– eseguire il censimento degli edifici e delle aree dismesse, non utilizzate o abbandonate, che costituisce il presupposto necessario e vincolante per l’eventuale pianificazione di nuovo consumo di suolo.
Le regioni entro 90 gg dall’entrata in vigore della legge, dettano disposizioni per l’esecuzione del censimento e 9 il suo aggiornamento periodico, al fine di creare una banca dati del patrimonio edilizio pubblico e privato inutilizzato, disponibile per il recupero e il riuso (art. 4, comma 3);
– segnalare annualmente al prefetto, che le annota in un apposito registro, le proprietà fondiarie in stato di abbandono o suscettibili, a causa dello stato di degrado e incuria in cui sono lasciate dai proprietari, di arrecare danno al paesaggio, al sistema idro-geomorfologico o ad attività produttive (art. 4, comma 8).
Articolo 5 – Delega al Governo in materia di rigenerazione delle aree urbanizzate degradate
L’art. 5, introdotto dai relatori durante il dibattito parlamentare nel tentativo di ovviare all’assenza di misure concrete per incentivare l’intervento sul patrimonio esistente, contiene una delega al Governo in materia di rigenerazione delle aree urbanizzate degradate.
I provvedimenti legislativi del Governo avranno ad oggetto disposizioni per la semplificazione delle procedure per gli interventi “organici” relativi a edifici e spazi pubblici e privati.
Si tratta evidentemente di misure per interventi complessi di rigenerazione di ambiti urbani da attuarsi mediante piani urbanistici attuativi. Al di fuori della individuazione di una fiscalità di vantaggio, non sono previste fra i principi e i criteri di delega, misure di carattere urbanistico e finanziario per agevolare la realizzazione di questo tipo di interventi e pertanto bisognerà attendere la redazione dei decreti legislativi per valutare la sostenibilità finanziaria e l’efficacia delle misure messe in campo.
Articolo 8 – Misure di incentivazione
L’art. 8 risulta profondamente modificato rispetto al testo originale. Infatti, durante l’esame da parte dell’Aula della Camera, sono state introdotte quelle che, nelle intenzioni della maggioranza politica, dovrebbero rappresentare le misure per incentivare in via immediata il processo di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente mediante interventi di demolizione e ricostruzione.
Si tratta in particolare di due misure:
– la prima, al fine di favorire la sicurezza e l’efficienza energetica del patrimonio edilizio esistente, consente la demolizione e ricostruzione di edifici residenziali appartenenti alle classi energetiche E, F o G o soggetti a rischio sismico o idrogeologico, di pari volumetria e superficie utile a condizione che il nuovo edificio abbia prestazione energetica di classe A o superiore e un’occupazione e un’impermeabilizzazione dei suolo pari o minore rispetto a quelle antecedenti la demolizione (art. 8, comma 4).
La norma non si applica ai centri storici, alle aree e agli immobili soggetti a vincolo culturale (art. 10 D.lgs. 42/2004) o a vincolo paesaggistico di legge (art. 142 D.lgs. 42/2004), salva espressa autorizzazione della competente soprintendenza (art. 8, comma 5).
Per questi interventi le Regioni possono prevedere un regime di favore sia nella determinazione del costo di costruzione che degli oneri di urbanizzazione (art. 8, comma 6).
Premesso che tale misura è il frutto di una importante apertura da parte della maggioranza politica verso la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, in realtà essa non presenta elementi migliorativi rispetto all’attuale regime urbanistico-edilizio degli interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione previsto dall’art. 3, comma 1, lett. d) del Dpr 380/2001.
Anzi è possibile affermare che il comma 4 dell’art. 8 presenta elementi “peggiorativi” nelle parti in cui si impone il rispetto, oltre che della volumetria, anche della superficie utile originaria e laddove è richiesta una occupazione di suolo pari o minore rispetto a quelle antecedenti la demolizione. Inoltre si evidenzia che il comma 6 dell’art. 8, che prevede un regime di favore per questi interventi nella determinazione del contributo di costruzione, richiama erroneamente l’art. 16, comma 9 del Dpr 380/2001 relativo alla determinazione del costo di costruzione per le nuove costruzioni.
In realtà il riferimento normativo dovrebbe essere al successivo comma 10 dell’art. 16 Dpr 380/2001 come modificato peraltro proprio dall’art. 8, comma 7 del disegno di legge (relativo alla determinazione del costo di costruzione per interventi di ristrutturazione edilizia compresa la demolizione e ricostruzione con rispetto della volumetria originaria) ovvero all’art. 17, comma 4-bis Dpr 380/2001 (che, al fine di agevolare la ristrutturazione, il recupero e il riuso degli immobili dismessi, impone la riduzione del contributo di costruzione in misura non inferiore al 20% di quello previsto per le nuove costruzioni).
Si auspica pertanto che le norme contenute nell’art. 8, commi 4, 5 e 7 siano oggetto di modifiche ed integrazioni nel proseguo dei lavori parlamentari;
– la seconda misura, che recepisce parzialmente una proposta Ance, modifica direttamente l’art. 16 del Dpr 380/2001 nella parte relativa alla disciplina del costo di costruzione prevedendo che “negli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente, i comuni provvedono a modulare la determinazione del contributo di costruzione in modo da garantire un regime di favore per gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3, comma 1, lett. d)” (art. 8, comma 7).
Tale misura pertanto obbligherà i comuni a rimodulare i costi fino ad ora previsti e riguarderà anche gli interventi di demolizione e ricostruzione.
Articolo 10 – Destinazione dei proventi dei titoli abilitativi edilizi
L’articolo 10 impone la destinazione esclusiva e senza limiti temporali dei proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal Dpr 380/2001 alla “manutenzione delle opere di urbanizzazione, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici e nelle periferie degradate, a interventi di riuso e di rigenerazione, a interventi di demolizione di costruzioni abusive, all’acquisizione e alla realizzazione di aree verdi destinate a uso pubblico, a interventi di tutela e riqualificazione dell’ambiente e del paesaggio, anche ai fini della prevenzione e della mitigazione del rischio idrogeologico e sismico e della tutela e riqualificazione del patrimonio rurale pubblico, nonché a interventi volti a favorire l’insediamento di attività di agricoltura in ambito urbano”.
Al di là di alcune nuove destinazioni che non sembrano pertinenti rispetto le esigenze di urbanizzazione e manutenzione del territorio (es. insediamento di attività agricole in ambito urbano), si tratta di una misura importante, auspicata anche dall’Ance, che ripristina un 11 norma contenuta nell’art. 12 della Legge 10/1977 che destinava in via esclusiva tali risorse alla realizzazione di opere di urbanizzazione e alla manutenzione del patrimonio comunale.
Sennonché tale disposizione era stata abrogata dal Dpr 380/2001, dando vita alla possibilità per i comuni, stabilita anno per anno delle varie leggi finanziarie, di destinare fino al 50% dei contributi di costruzione e dei proventi delle sanzioni edilizie per le loro spese in conto corrente (stipendi dipendenti, sanità, ecc.), distogliendole così dalle spese in conto capitale (investimenti in opere ed interventi sul territorio comunale).
Articolo 11 – Disposizioni transitorie e finali
La normativa sul regime transitorio contenuta nell’art. 11, comma 1 è stata oggetto durante tutto l’iter parlamentare di una continua e intensa azione dell’Ance volta ad ampliare il più possibile l’ambito degli interventi sul territorio fatti salvi dal blocco del consumo di nuovo suolo previsto dal momento dell’entrata in vigore della legge fino all’approvazione degli strumenti urbanistici conformi ai principi di contenimento del consumo del suolo e riuso e comunque non oltre 3 anni dall’entrata in vigore della legge. L’art. 11, comma 1, nel testo approvato dalla Camera fa salvi:
– le opere e i lavori pubblici o di pubblica utilità, inseriti negli strumenti di programmazione delle amministrazioni aggiudicatrici, vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge;
– gli interventi relativi alle infrastrutture e agli insediamenti prioritari di cui alla parte V del decreto legislativo 19 aprile 2016, n. 50.
– le opere e i lavori pubblici o di pubblica utilità, diversi dalle infrastrutture e dagli insediamenti prioritari di cui alla citata parte V del decreto legislativo n. 50 del 2016, non inseriti negli strumenti di programmazione delle amministrazioni aggiudicatrici, vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, purché venga effettuata la previa valutazione, prevista dal comma 2 dell’articolo 1, delle alternative di localizzazione che non determinino consumo di suolo;
– i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge relativi ai titoli abilitativi edilizi comunque denominati aventi ad oggetto il consumo di suolo inedificato; da ciò deriva anche che sono fatti salvi:
– tutti i procedimenti in corso relativi a titoli abilitativi edilizi per interventi che non comportano consumo di suolo
– la presentazione, successiva alla data di entrata in vigore della legge, di domande di permessi di costruire ovvero di Dia, Scia, Cila e Cil aventi ad oggetto interventi che non comportano consumo di suolo;
– gli interventi e i programmi di trasformazione con le relative opere pubbliche derivanti dalle obbligazioni di convenzione urbanistica ai sensi dell’articolo 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, previsti nei piani attuativi, comunque denominati, per i quali i soggetti interessati abbiano presentato istanza per l’approvazione prima della data di entrata in vigore della presente legge, nonché le varianti, il cui procedimento sia attivato prima della data di entrata in vigore della presente legge, che non comportino modifiche di dimensionamento dei piani attuativi.
L’Ance ha proposto fin da subito quale prima ipotesi, il mantenimento di tutte le previsioni contenute nella pianificazione.
Tale posizione essendo stata fortemente osteggiata dalla maggioranza delle forze politiche ha trovato una “mediazione ragionevole” nel regime transitorio 12 sopra ricordato e nel suo coordinamento con le altre norme che avrebbero bloccato le attività di trasformazione del territorio.
Con riferimento ai piani attuativi si evidenzia che in origine il ddl 2039/C del Governo faceva salvi solo quelli approvati alla data di entrata in vigore della nuova legge; grazie all’azione dell’Ance, la norma è stata modificata prima in Commissione nel senso di fare salvi i piani attuativi adottati e poi in Aula con una ulteriore salvaguardia per tutti quei piani per i quali sia stato avviato con atto formale il procedimento di approvazione nonché per le varianti ai piani attuativi il cui procedimento sia attivato prima della data di entrata in vigore della presente legge, che non comportino modifiche di dimensionamento.
Superati i 3 anni di regime transitorio senza che le regioni abbiano provveduto a ripartire il quantitativo di suolo consumabile e i comuni approvato i nuovi strumenti urbanistici conformi ai principi di contenimento del consumo del suolo e riuso, il ddl prevede che “nelle regioni e nelle province autonome non è consentito il consumo di suolo in misura superiore al 50% della media del consumo di suolo di ciascuna regione nei cinque anni antecedenti”.
Si tratta di una norma che intende incentivare le regioni a dare attuazione alla legge attribuendo loro, in caso di inattività, una quantità di suolo consumabile minore rispetto a quella derivante dal DM politiche agricole e dalla delibera della Conferenza Unificata (art. 3).
Il meccanismo di calcolo previsto è però complesso e comunque non appare possibile capire a priori quali saranno in questo caso i quantitativi di suolo consumabile anche in rapporto con quelli stabiliti in via ordinaria a livello nazionale.
Il comma 2 dell’art. 11 disciplina infine il rapporto con le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano che “provvedono ad attuare quanto previsto nella presente legge compatibilmente con i propri statuti di autonomia e con le relative norme di attuazione”.

 


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