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29.01.2016 - economia

CONDIZIONI E LIMITI DELLA GARANZIA DECENNALE DELL’IMMOBILE

(Corte di cassazione, Sez. VI-3, 13 novembre 2014, n. 24188 (ordinanza))

Nell’ambito dei gravi difetti costruttivi di cui all’art. 1. rientrano non solo i fenomeni che influiscono sulla staticità dell’edificio, ma anche quelle alterazioni che, pur riguardano direttamente una parte dell’opera, incidono sulla struttura e funzionalità globale, menomando in modo apprezzabile il godimento dell’opera medesima (cfr. Cass., ord. 15 novembre 2013, n. 25767), dovendo la categoria ricomprendere ogni deficienza o alterazione che vada ad intaccare in modo significativo sia la funzionalità che la normale utilizzazione dell’opera, senza che abbia rilievo in senso contrario l’esiguità della spesa occorrente per il relativo ripristino (cfr. Cass. 09 settembre 2013, n. 20644).
Muovendo da tale corretto approccio ermeneutico, in particolare, si evidenzia come i fenomeni di blocco delle tubazioni, riscontrati dal ctu (pur dopo l’intervento per cui è causa, affatto risolutivo) fornissero ampia conferma dell’inidoneità strutturale e del sottodimensionamento dell’intero impianto di smaltimento delle acque bianche dell’immobile, incidendo in maniera considerevole sulla possibilità di libero e proficuo godimento dell’immobile.
I criteri di valutazione utilizzati nello specifico sono conformi alla norma generale espressa dall’art. 116, cod. proc. civ., che – salvo i casi di prova legale – è quella del libero convincimento del giudice, inteso come libertà di valutare gli elementi probatori, con il limite, qui rispettato di dare conto dei criteri adottati. Mentre gli argomenti in ricorso risultano tutti sterilmente ripetitivi di quelli svolti in appello e adeguatamente smentiti dalla decisione impugnata”.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE –
È stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“1. Con sentenza in data 17 maggio 2013 il Tribunale di Mantova, rigettando l’appello proposto da V.L., ha confermato la sentenza del giudice di pace di Revere n. 131 del 2011 di revoca del decreto ingiuntivo di pagamento di euro 1.323,30, emesso ad istanza del V. nei confronti di F.F., a titolo di corrispettivo di un intervento di spurgo e sostituzione di una tubatura di scarico di acque.
Il Tribunale – confermando le valutazioni e conclusioni del giudice di pace – ha osservato: che l’impianto di scarico delle acque a servizio dell’immobile, costruito e venduto dal V. al F. nel dicembre 2004, presentava gravi difetti riconducibili alla tipologia di cui all’art. 1669, cod. civ.; che la relativa garanzia era ancora operante nel 2008, allorché il vizio era stato denunciato dall’appellante; che l’appellante, dopo aver verificato lo stato dei luoghi, aveva riconosciuto la sussistenza del difetto e si era impegnato ad eliminarlo, impedendo ogni decadenza dalla garanzia (comunque, da escludersi anche in dipendenza del momento in cui il F. aveva avuto consapevolezza del vizio) ed assumendo una nuova obbligazione avente ad oggetto la realizzazione dell’intervento per cui è causa; che pertanto l’intervento, di cui al revocato decreto, era stato realizzato in esecuzione di detto impegno del V., sul quale gravava il relativo costo, senza alcun diritto a percepire il relativo corrispettivo dal F.
2. Avverso detta decisione ha proposto ricorso per cassazione V.L. formulando sei motivi (quello numerato con il n.1 è, infatti, una “premessa procedurale”).
Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte intimata.
3. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375, cod. proc. civ., in quanto appare destinato ad essere rigettato.
4. Con i motivi di ricorso si denuncia: a) falsa, errata, contraddittoria applicazione degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., in relazione alle prove acquisite e ai dati della comune esperienza con malgoverno di questi ultimi; b) falsa ed errata applicazione dell’art. 1669, cod. civ., relativamente al riconoscimento dei vizi e difetti; c) falsa ed errata applicazione dell’art. 1669, cod. civ., in luogo dell’art. 1667, cod. civ.; d) falsa ed errata applicazione dell’art. 1667, cod. civ., in relazione alla facile riconoscibilità dei pretesi e presunti vizi degli scarichi delle acque grigie con conseguente accettazione dell’acquirente F.; e) falsa ed errata applicazione dell’art. 1667, cod. civ., comma 2, in relazione al presunto riconoscimento dei vizi da parte del V.; f) falsa ed errata applicazione degli artt. 1669 e 1667, cod. civ., in relazione al termine per il riconoscimento in garanzia.
4.1. I motivi di ricorso – pur prospettando falsa applicazione di norme sostanziali e di rito – sono tutti surrettiziamente finalizzati ad una rivalutazione degli elementi di fatto della controversia, peraltro oggetto, da parte del giudice di appello, di una disamina assolutamente completa e appagante, improntata a retti criteri logici e giuridici, nonché frutto di un’indagine particolarmente accurata delle risultanze processuali.
Si rammenta che il vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto ricorre quando si prospetta l’errata individuazione o applicazione di una norma ad un fatto, sulla fissazione del quale non c’è discussione; laddove, nel caso specifico, parte ricorrente mira ad una diversa – e qui non consentita – diversa ricostruzione fattuale.
4.2. Contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente il caso concreto è stato esattamente assunto nella fattispecie astratta di cui all’art. 1669 cod. civ., risultando la decisione impugnata conforme a principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui nell’ambito dei gravi difetti costruttivi di cui alla norma cit. rientrano non solo i fenomeni che influiscono sulla staticità dell’edificio, ma anche quelle alterazioni che, pur riguardano direttamente una parte dell’opera, incidono sulla struttura e funzionalità globale, menomando in modo apprezzabile il godimento dell’opera medesima (cfr. Cass., ord. 15 novembre 2013, n. 25767), dovendo la categoria ricomprendere ogni deficienza o alterazione che vada ad intaccare in modo significativo sia la funzionalità che la normale utilizzazione dell’opera, senza che abbia rilievo in senso contrario l’esiguità della spesa occorrente per il relativo ripristino (cfr. Cass. 09 settembre 2013, n. 20644).
Muovendo da tale corretto approccio ermeneutico, il Tribunale ha, in particolare, evidenziato come i fenomeni di blocco delle tubazioni, riscontrati dal ctu (pur dopo l’intervento per cui è causa, affatto risolutivo) fornisse (ro) ampia conferma dell’inidoneità strutturale e del sottodimensionamento dell’intero impianto di smaltimento delle acque bianche dell’immobile, incidendo in maniera considerevole sulla possibilità di libero e proficuo godimento dell’immobile.
I criteri di valutazione utilizzati nello specifico sono conformi alla norma generale espressa dall’art. 116, cod. proc. civ., che – salvo i casi di prova legale – è quella del libero convincimento del giudice, inteso come libertà di valutare gli elementi probatori, con il limite, qui rispettato di dare conto dei criteri adottati. Mentre gli argomenti in ricorso risultano tutti sterilmente ripetitivi di quelli svolti in appello e adeguatamente smentiti dalla decisione impugnata”.
A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio – esaminati i rilievi contenuti nella memoria che non hanno evidenziato profili tali da condurre ad una decisione diversa da quella prospettata nella relazione – ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione stessa; precisando che laddove è scritto F. deve leggersi F.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Nulla deve disporsi in ordine alle spese del giudizio di legittimità non avendo parte intimata svolto attività difensiva.
La circostanza che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione
                                                                                           P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.

 


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