COMMENTO ALLE NOVITA’ INTRODOTTE DAL CODICE DEGLI APPALTI – D. LGS. N. 163/2006 – CIRCOLARE ANCE
COMMENTO ALLE NOVITA’ INTRODOTTE DAL CODICE DEGLI APPALTI – D COMMENTO ALLE NOVITA’ INTRODOTTE DAL CODICE DEGLI APPALTI – D. LGS. N. 163/2006 – CIRCOLARE ANCE
L’Ance, con una propria circolare, ha fornito l’esame ed il commento delle norme del codice degli appalti (D.Lgs. n. 163/2006), che, a partire dal 01 luglio, hanno introdotto sostanziali innovazioni e/o semplificazioni, nella materia dei lavori pubblici, rispetto al precedente assetto normativo.
In generale il codice ha provveduto a razionalizzare il sistema previgente, accorpando nel medesimo testo materie prima disciplinate da normative speciali, quali i contratti relativi ai beni culturali, i lavori relativi alle infrastrutture strategiche e gli appalti rientranti nei settori speciali.
Sul piano sostanziale, il codice ha, in primo luogo, fornito un fondamentale contributo interpretativo sul tema della ripartizione delle competenze Stato-Regione in materia di lavori pubblici, nell’ottica di una corretta razionalizzazione e suddivisione di competenze legislative. In secondo luogo, il codice ha modificato profondamente, rispetto all’impostazione contenuta nella precedente legge-quadro n. 109/1994, la disciplina relativa ad importanti istituti, quali le procedure di gara, l’aggiudicazione, l’oggetto del contratto, i criteri di aggiudicazione e la disciplina delle offerte anomale.
Infine, sono stati introdotti, nel nostro ordinamento giuridico, istituti di derivazione comunitaria, sostanzialmente nuovi rispetto all’assetto normativo precedente, quali l’avvalimento, il dialogo competitivo, gli accordi quadro e le aste elettroniche.
Rispetto a tali ed altri contenuti del codice, senz’altro significativi per gli operatori del settore, l’Ance ha predisposto un articolato commento della nuova disciplina normativa, nella quale sono stati evidenziati, di volta in volta, sia i profili innovativi, sia i profili di dubbia interpretazione, fornendo, in tal caso, la posizione dell’associazione in merito.
Si ritiene, tuttavia, doveroso evidenziare che il codice costituisce, per molti aspetti, uno strumento innovativo e complesso, rispetto al quale sarà dunque necessario attendere l’applicazione concreta, con il conseguente naturale emergere di specifiche questioni interpretative, per poter cogliere la piena portata delle norme. L’Ance, pertanto, si riserva di fornire di volta in volta i propri contributi di ulteriore approfondimento sulle singole tematiche, che l’applicazione delle norme da parte degli operatori nel settore dei lavori pubblici porterà in evidenza.
Si ritiene opportuno pubblicare in questa sede solo le parti della circolare di immediato interesse per le imprese associate, rimandando a fondo pagina per la consultazione del testo integrale della circolare in parola.
ANCE – ASSOCIAZIONE NAZIONALE COSTRUTTORI EDILI
NUOVO CODICE DEGLI APPALTI PUBBLICI – Esame e commento del D.Lgs n. 163/2006 – Luglio 2006
PREMESSA
PARTE I: PRINCIPI GENERALI
1. Problema costituzionale
2. Regolamento e capitolati
3. Autorità di vigilanza sui contratti pubblici
4. Sportello dei contratti pubblici
5. Aggiudicazione provvisoria, definitiva e contratto
6. Accesso agli atti
7. I contratti misti
PARTE II: APPALTI DEI SETTORI ORDINARI
Titolo I: I contratti di rilevanza comunitaria
1. Ambito di applicabilità del codice
2. Opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione
3. Lavori in house
4. Divieto di concessioni di committenza. Eccezioni. Centrali di committenza
5. Associazioni temporanee di imprese di tipo orizzontale
6. Divieti di partecipazione alle gare e controlli sui requisiti
7. Avvalimento
8. Oggetto del contratto. Attività progettuale da parte delle imprese
9. Liberalizzazione della scelta tra appalti a corpo e a misura
10. Procedure di gara
11. Procedure aperte e ristrette
12. Procedure negoziate
13. Il dialogo competitivo
14. L’accordo quadro
15. Le aste elettroniche
16. Criteri di aggiudicazione
17. Offerta economicamente più vantaggiosa
18. Criteri di individuazione delle offerte anomale
19. Verifica preventiva dell’interesse archeologico in sede di progetto preliminare
20. Disciplina specifica dei contratti sotto soglia
21. Le concessioni di lavori pubblici
PARTE III: LA DISCIPLINA DEI SETTORI SPECIALI
1. Ambito di applicazione
2. Soglie
3. Esclusione
4. Procedure di gara
5. Pubblicità
6. Qualificazione
7. Appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria
8. Normativa comune ai settori ordinari
9. Esecuzione dei lavori
PARTE IV: CONTENZIOSO
1. Accordo bonario e transazione come mezzo di risoluzione delle riserve
PARTE V: DISPOSIZIONI DI COORDINAMENTO, FINALI E TRANSITORIE – ABROGAZIONI
1. Norme transitorie
2. Eventuale sospensione di alcuni istituti del codice fino al 1° febbraio 2007
PREMESSA
In data 2 maggio 2006 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, contenente il nuovo codice degli appalti pubblici, che razionalizza in un contesto organico l’intera materia, recependo le direttive comunitarie 2004/17 e 2004/18 del 31 marzo 2004 e semplificando in più punti le procedure, in aderenza alla delega contenuta all’art. 25 della legge 18 aprile 2005, n. 62.
Caratteristica di tale codice è l’unificazione, conformemente alle direttive comunitarie, in un unico testo delle materie dei lavori pubblici, dei servizi e delle forniture; ulteriore caratteristica è rappresentata dall’accorpamento nel medesimo testo di materie riguardanti i lavori pubblici prima disciplinate da normative speciali, quali i contratti relativi ai beni culturali, i lavori relativi a infrastrutture strategiche e gli appalti rientranti nei c.d. settori speciali.
Il codice è suddiviso in 5 Parti, a loro volta suddivise in Titoli, Capi e Sezioni, che seguono lo sviluppo sequenziale e logico dell’attuazione degli interventi.
La Parte I (articoli 1-27) è dedicata alla trattazione dei principi generali della materia degli appalti pubblici.
La Parte II (articoli 28-205) concerne la disciplina degli appalti rientranti nei c.d. settori ordinari ed è suddivisa in 4 Titoli: il Titolo I riguarda i contratti di importo superiore alla soglia comunitaria (articoli 28-120); il Titolo II (articoli 121-125) i contratti di importo inferiore alla soglia comunitaria; il Titolo III (articoli 126-194) detta disposizioni specifiche concernenti i lavori pubblici sia in tema di programmazione e di esecuzione (capo I), sia in tema di concessioni (capo II), sia in tema di finanza di progetto (capo III), sia, infine, in tema di infrastrutture strategiche (capo IV); il Titolo IV (articoli 195-205) riguarda i contratti nel settore della difesa (articoli 195-196) ed i contratti in materia di beni culturali (articoli 197-205).
La Parte III (articoli 206-238) concerne la disciplina dei contratti pubblici nei settori speciali e consta di 2 Titoli, relativi, il primo, ai contratti sopra soglia (articoli 206-237) ed il secondo ai contratti sotto soglia (articolo 238).
La Parte IV (articoli 239-246) disciplina il contenzioso.
La Parte V (articoli 247-257) contiene disposizioni di coordinamento finali, tra cui particolare rilievo presentano le disposizioni transitorie di cui all’art. 253.
Di seguito, si passa a commentare esclusivamente la materia degli appalti di lavori pubblici, focalizzando l’attenzione sulle innovazioni e/o semplificazioni introdotte dal codice rispetto al precedente assetto normativo.
Parte I: Principi generali
1. Problema costituzionale (omissis)
2. Regolamento e capitolati
È previsto (art. 5) che lo Stato emani un regolamento di attuazione del Codice, contenente una disciplina cogente in toto per le amministrazioni e gli enti statali e cogente per tutti gli altri soggetti appaltanti, limitatamente agli aspetti, di cui prima si è detto, rientranti nella competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Dal combinato disposto dell’art. 5, dell’art. 40, comma 2 e dell’art. 253, comma 3 si evince che il nuovo regolamento riguarderà sia la disciplina attinente la programmazione, la progettazione, le procedure di gara, l’esecuzione dei lavori, il collaudo, sia la qualificazione dei concorrenti; in buona sostanza risulteranno accorpati in un unico testo normativo gli attuali regolamenti n. 554/1999 e n. 34/2000. Il nuovo regolamento dovrà essere adottato entro un anno dalla data di entrata in vigore del codice ed entrerà in vigore 180 giorni dopo la pubblicazione (art. 253, comma 2); fino alla sua entrata in vigore, continueranno ad applicarsi il regolamento n. 554/1999 ed il regolamento n. 34/2000 (art. 253, comma 3).
È poi stabilito (art. 5, comma 8) che, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sia adottato un capitolato generale, contenente la disciplina di dettaglio dell’esecuzione del contratto, per le amministrazioni statali. Nonostante la non felice dizione normativa che impone che tale capitolato generale sia menzionato nel bando o nell’invito, è da ritenere che esso, per le amministrazioni statali e per gli enti pubblici nazionali alle stesse equiparati, abbia natura regolamentare, e perciò trovi applicazione indipendentemente ed a prescindere da un espresso richiamo negli atti di gara o contrattuali; inoltre, in ragione della sua natura regolamentare, tale capitolato sarà soggetto alle norme sull’interpretazione della legge, di cui agli artt. 12-14 delle disposizioni preliminari al codice civile, anziché a quelle sull’interpretazione dei contratti di cui agli artt. 1362-1371 cod. civ..
Per le stazioni appaltanti diverse da quelle statali, è previsto che esse (art. 5, commi 7 e 9) possano agire in due diversi modi: a) richiamare nei propri atti di gara la disciplina del capitolato generale statale, che perciò in tal caso assume natura negoziale ed è soggetto alle norme sull’interpretazione dei contratti; b) adottare, con provvedimento del proprio organo deliberante un capitolato generale, concernente la generalità dei propri contratti. È poi prevista la possibilità che le stazioni appaltanti, sempre con proprio provvedimento amministrativo, adottino capitolati speciali tipo, contenenti la disciplina di dettaglio e tecnica di specifiche forme contrattuali.
Sul punto, è da notare che l’attuale capitolato generale, approvato con D.M. n. 145/2000, contiene la disciplina di figure di assoluta rilevanza nell’esecuzione dell’appalto, quali, ad esempio, la disciplina delle varianti in corso d’opera e della sospensione di lavori, le norme a tutela dei lavoratori, la disciplina degli interessi per ritardato pagamento. Ora, se le più importanti di tali figure risulteranno disciplinate dal nuovo regolamento generale nulla quaestio; se, invece, ciò non avverrà, risulterà rimessa ai singoli enti non statali la formulazione di una propria disciplina in ordine a istituti che per la loro rilevanza dovrebbero avere trattamento omogeneo su tutto il territorio nazionale. È perciò auspicabile che la parte più sostanziale del D.M. n. 145/2000 venga ridisciplinata nel nuovo emanando regolamento di attuazione del Codice.
In ogni caso, fino all’adozione del nuovo capitolato generale (è da ritenere sia di quello delle amministrazioni statali, sia di quello delle altre amministrazioni), continua a trovare applicazione l’attuale capitolato generale, approvato con D.M. 19 aprile 2000, n. 45.
Per la verità, l’art. 253, comma 3, con formulazione non particolarmente felice, afferma che, fino all’adozione del nuovo capitolato generale, continua ad applicarsi quello approvato con D.M. n. 145/2000 se richiamato nel bando. Tale ultima condizione sembra doversi considerare una mera svista legislativa, posto che è impensabile che, nel caso di mancato richiamo nel bando, restino prive di disciplina le fattispecie sopra ricordate, oggi regolamentate dal D.M. n. 145/2000.
3. Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (omissis)
4. Sportello dei contratti pubblici (omissis)
5. Aggiudicazione provvisoria, definitiva e contratto
Il codice (articoli 11 e 12) stabilisce espressamente l’obbligo per gli enti di procedere all’approvazione dell’aggiudicazione disposta dal seggio di gara o dalla commissione, così distinguendo tra aggiudicazione provvisoria ed aggiudicazione definitiva, che ha luogo allorché la prima sia stata approvata.
Le amministrazioni possono prevedere nei propri ordinamenti il termine massimo entro cui l’organo di controllo deve procedere all’approvazione ovvero al diniego dell’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria. Qualora nulla prevedano, detto termine si intende stabilito ipso iure in 30 giorni.
Va sottolineata una erronea impostazione normativa, laddove il termine per l’approvazione (vuoi che sia stato fissato dall’ente nel proprio ordinamento, vuoi che sia di 30 giorni) viene fatto decorrere dal ricevimento dell’aggiudicazione provvisoria da parte dell’organo competente (e cioè l’organo di controllo deputato ad approvare); detto ricevimento, infatti, viene a dipendere dalla maggiore o minore tempestività con cui il seggio di gara trasmette gli atti all’organo di controllo, sicché la decorrenza del termine non soltanto ha carattere incerto, ma potrebbe essere differita anche in modo assai sensibile nei casi di inerzia nella trasmissione stessa. Più correttamente la norma avrebbe dovuto far decorrere il termine da un atto di data certa, che nel caso specifico non poteva che essere il verbale di proclamazione dell’aggiudicazione provvisoria.
Inoltre, non si può sottacere l’approssimazione legislativa, laddove rimette all’apprezzamento di ogni singolo ente la determinazione, nell’ambito del proprio ordinamento, del termine massimo per procedere all’approvazione, senza stabilire un limite invalicabile. Evidenti esigenze di correttezza e trasparenza dell’azione amministrativa dovrebbero indirizzare peraltro le amministrazioni a non discostarsi in modo significativo dal termine di 30 giorni, operante ipso iure nel caso di mancata previsione.
L’approvazione dei risultati di gara, a seguito della quale l’aggiudicazione da provvisoria diviene definitiva, costituisce momento particolarmente importante e significativo, in quanto l’amministrazione, attraverso il suo organo di controllo, ha un sufficiente margine di tempo per verificare che la procedura si sia svolta legittimamente e conformemente a tutte le disposizioni che la regolano; con la conseguenza che, ove l’organo di controllo ravvisi irregolarità (per esempio, l’esclusione di un’impresa che avrebbe dovuto essere ammessa o, al contrario, l’ammissione di un’impresa che avrebbe dovuto essere esclusa), assume un provvedimento di diniego dell’approvazione. Ove il vizio rilevato investa l’intera procedura, la gara dovrà essere ripetuta; ove, invece, investa situazioni specifiche, il seggio di gara, in omaggio al principio di conservazione del procedimento, dovrà essere riconvocato, per procedere a sanare la procedura dal vizio rilevato, portandola a termine legittimamente.
Disposizione di particolare efficacia semplificatrice è quella (art. 12, comma 1 ultimo periodo), secondo cui, decorso inutilmente il termine previsto nell’ordinamento dell’amministrazione ovvero in mancanza di questo il termine di 30 giorni, l’aggiudicazione si intende tacitamente approvata; ha luogo, in altri termini, una particolare forma di silenzio-assenso con effetti rilevanti sia per l’amministrazione, sia per l’imprenditore. Gli effetti della disposizione sono quanto mai significativi, in quanto in futuro eviteranno i casi, non di rado in passato intervenuti, nei quali l’approvazione dell’aggiudicazione aveva luogo in tempi assai lunghi, senza alcuna certezza per l’appaltatore.
È poi espressamente sancito (art. 11, commi 7 e 8) che l’aggiudicazione definitiva non equivale all’accettazione dell’offerta e diviene efficace soltanto dopo l’esito positivo della verifica del possesso da parte dell’aggiudicatario dei requisiti prescritti negli atti di gara e dichiarati in sede di domanda di qualificazione ovvero in sede di offerta. Una volta divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, le parti devono procedere alla stipula del contratto entro 60 giorni da questa, e cioè entro 60 giorni dall’esito positivo della verifica dei requisiti; ciò, pur nel silenzio della norma, comporta che l’amministrazione debba comunicare all’aggiudicatario detta avvenuta verifica positiva, sicché il predetto termine di 60 giorni decorrerà da tale data certa dell’avvenuta comunicazione.
Qualora la stipula del contratto non abbia luogo nel predetto termine, per fatto riconducibile all’amministrazione, l’aggiudicatario può sciogliersi dai vincoli nascenti dall’aggiudicazione, mediante atto scritto notificato all’amministrazione; è però stabilito che, in tal caso, all’aggiudicatario non spetti alcun indennizzo, salvo il rimborso delle spese sostenute per la partecipazione alla gara. Tale disposizione appare poco comprensibile sul piano logico, perché di fatto dà piena libertà all’amministrazione di non procedere neppure alla stipula del contratto, sostenendo esclusivamente il rimborso delle esigue spese sostenute dal soggetto che partecipa alla gara. Viene così di fatto superato il principio (ineccepibile e costantemente affermato in giurisprudenza) secondo cui l’aggiudicazione, in quanto contenente l’incontro delle volontà equivale, a tutti gli effetti, al contratto.
A fronte di tale sostanziale libertà di comportamento dell’amministrazione, è invece stabilito:
a. da un lato, che l’offerta vincola l’appaltatore per il periodo indicato negli atti di gara e, in caso di mancanza di tale indicazione, per 180 giorni dalla scadenza del termine stabilito per la presentazione delle offerte (art. 11, comma 6); ciò sta a significare che l’aggiudicazione deve aver luogo nel predetto termine, con la conseguenza che ove ciò non avvenga il concorrente può ritenersi svincolato da ogni suo obbligo.
b. dall’altro, che, una volta che sia intervenuta nei termini l’aggiudicazione, l’appaltatore non può revocare la sua offerta, sino alla scadenza del termine stabilito per la stipula del contratto (art. 11, comma 7).
Il contratto non può essere stipulato prima del decorso di 30 giorni dalla comunicazione ai controinteressati (e cioè agli altri possibili aggiudicatari) del provvedimento di aggiudicazione definitiva; tale disposizione sembrerebbe avere la finalità di mettere l’amministrazione in condizione di valutare la fondatezza o meno di eventuali ricorsi dei controinteressati, in modo da non procedere alla stipula del contratto, qualora vi sia il fondato timore che il ricorso possa essere accolto. Tuttavia, la norma risulta mal congegnata, visto che il termine per stipulare il contratto è di 60 giorni ed analogamente il termine per impugnare è di 60 giorni decorrenti dalla comunicazione dell’esito della gara.
Dalla lettura complessiva degli articoli 11 e 12 si evince che il momento dell’approvazione dell’aggiudicazione è obbligatorio per tutte le amministrazioni appaltanti; al contrario, è stabilito che le amministrazioni possano prevedere anche l’approvazione del contratto, che perciò è un momento soltanto eventuale. Ove prevista nel singolo ordinamento, questa deve avere luogo nel termine ivi stabilito, ovvero in mancanza di questo, nel termine di 30 giorni. Decorso il primo ovvero il secondo termine, il contratto si intende tacitamente approvato.
6. Accesso agli atti
Risultano ribaditi i principi, peraltro già pacifici nella prassi amministrativa, secondo cui il diritto di accesso non è consentito: 1) nelle procedure aperte, relativamente all’indicazione di tutti i soggetti che hanno presentato offerta, fino alla scadenza del termine di presentazione delle offerte stesse; 2) nelle procedure ristrette e nelle gare informali, in relazione all’indicazione dei soggetti che hanno formulato richiesta di invito e dei soggetti che sono stati invitati, prima della scadenza del termine di presentazione delle offerte stesse; 3) in relazione alle offerte, prima dell’aggiudicazione definitiva, e cioè dell’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria. Quest’ultima prescrizione indurrebbe a ritenere che l’atto impugnabile in sede giurisdizionale sia unicamente l’aggiudicazione definitiva, posto che soltanto dopo questa è consentito il diritto di accesso; verrebbe così superata un’annosa diatriba giurisprudenziale, in ordine all’impugnabilità dell’aggiudicazione provvisoria, di quella definitiva o di entrambe.
Vengono poi espressamente esclusi dal diritto di accesso: a) le informazioni fornite dagli offerenti, nell’ambito delle offerte o delle giustificazioni, che costituiscano segreti tecnici o commerciali, nonché gli aspetti riservati delle offerte stesse; b) i pareri legali; c) le relazioni riservate del direttore dei lavori e dell’organo di collaudo sulle riserve dell’appaltatore.
Peraltro, mentre per gli atti sub b) e c) il divieto di accesso è assoluto, per quelli sub a), inerenti cioè gli aspetti delle offerte coinvolgenti segreti tecnici o commerciali, il diritto di accesso è consentito al concorrente che lo chiede in vista della difesa in giudizio. In tal modo, di fatto, il divieto viene annullato, potendo comunque accedere l’interessato ai documenti segreti, ove manifesti l’intendimento di promuovere ricorso. Tale conclusione appare in realtà contraddittoria, perché ove interpretata in tal senso avremmo una singolare disposizione che prima pone un divieto perentorio e poi, di fatto, lo rende inefficace. Su tale presupposto, può ipotizzarsi che residui un margine di discrezionalità dell’amministrazione, nel valutare se effettivamente l’atto segreto sia rilevante o meno ai fini della difesa in giudizio, consentendo l’accesso soltanto in caso affermativo.
7. I contratti misti (omissis)
Parte II: Appalti dei settori ordinari
Titolo I: I contratti di rilevanza comunitaria
1. Ambito di applicabilità del codice
Sostanzialmente immutato resta l’ambito di applicabilità soggettivo della nuova normativa rispetto a quello stabilito dalla previgente. In linea generale, è stabilito all’art. 32, comma 1 lettera a) che la normativa del codice debba essere applicata da tutte le amministrazioni aggiudicatrici, intendendosi con tale definizione (art. 3, commi 25 e 26) le amministrazioni statali, gli enti pubblici territoriali, ogni altro ente pubblico, nonché infine gli organismi di diritto pubblico. Tale ultima nozione risulta, come peraltro nel precedente ordinamento, di portata essenziale ed onnicomprensiva, in quanto identifica qualsiasi organismo, avente anche forma privatistica, e perciò societaria, che risponda alle tre seguenti caratteristiche: a) sia dotato di personalità giuridica; b) abbia la finalità di perseguire interessi collettivi e perciò non abbia alcuna connotazione industriale o commerciale; c) sia finanziato in modo maggioritario da soggetti pubblici ovvero sia soggetto al controllo di questi ovvero, infine, abbia un organo di amministrazione costituito da membri dei quali più della metà sia di designazione da parte dei medesimi soggetti pubblici.
2. Opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione
Il codice, su tale delicata materia, ha apportato innovazioni rilevanti sul piano pratico della semplificazione ed accelerazione degli interventi, considerati i limiti imposti dall’Unione Europea, a seguito della sentenza della Corte di Giustizia n. 399/1998 e del parere della Commissione n. 2182/2001. Secondo queste ultime, allorché il titolare del permesso a costruire un’opera privata assume l’obbligo di eseguire opere di urbanizzazione, in luogo del pagamento del contributo dovuto per il rilascio del permesso, deve rispettare la disciplina pubblicistica, costituendo le opere di urbanizzazione opere pubbliche a tutti gli effetti. Più in particolare, detto orientamento riguarda non soltanto le opere di urbanizzazione sopra soglia, ma anche quelle sotto soglia, relativamente alle quali peraltro si ritiene sufficiente l’applicazione dei principi generali del Trattato in materia di imparzialità e concorrenza.
La rigida applicazione di tali principi, nel nostro ordinamento, determinerebbe alcune controindicazioni, perché obbligherebbe sempre e comunque il titolare del permesso a costruire ad appaltare a terzi le opere di urbanizzazione con tutte le disfunzioni in termini logistici, funzionali e temporali, conseguenti la coesistenza di due diverse imprese relativamente alla realizzazione di opere strettamente correlate.
Il nostro legislatore ha, perciò, tentato di contemperare i principi comunitari con le esigenze di snellezza, connaturate alle modalità di realizzazione di opere rientranti nella categoria dell’edilizia privata, stabilendo particolari modalità di esecuzione delle opere a scomputo, a seconda che si tratti di opere di urbanizzazione primaria e secondaria e a seconda che l’importo di queste si collochi al di sotto o al di sopra della soglia comunitaria. Per comodità, si ricorda che le opere di urbanizzazione primaria sono quelle interconnesse, funzionalmente e fisicamente, all’edificio principale (fognature, rete idrica, parcheggi, strade residenziali etc.), mentre sono secondarie quelle aventi una loro netta autonomia, anche se al servizio dell’assetto urbanistico nel quale l’edificio deve sorgere (asili, scuole, mercati etc.) (legge 29.9.1964 n. 847).
Le due disposizioni che disciplinano le opere a scomputo sono l’art. 122, comma 8 e l’art. 32, comma 1, lett. g).
In base alla prima di dette norme, relativamente alle opere sotto soglia, il titolare del permesso a costruire ha facoltà di eseguire direttamente le opere di urbanizzazione primarie correlate al singolo intervento assentito.
La portata semplificatrice di tale norma risulta evidente, considerato che il paventato obbligo di dover appaltare a terzi le opere di urbanizzazione primaria avrebbe determinato, come si è detto, lungaggini, disfunzioni operative ed organizzative, nonché confusione di ruoli.
La soluzione legislativa ora detta risulta, perciò, non soltanto utile sul piano dell’opportunità, ma anche corretta giuridicamente, proprio perché si ispira al principio generale comunitario (art. 31, punto 1, lett. b, direttiva n. 2004/18), che consente l’affidamento diretto all’esecutore dei lavori principali, nei casi in cui, per ragioni di natura tecnica, l’appalto ulteriore (nel nostro caso le opere di urbanizzazione) possa esser affidato unicamente ad un operatore determinato.
Per quanto concerne, invece, le opere di urbanizzazione primaria e secondaria sopra soglia e quelle secondarie sotto soglia, il legislatore a seguito degli indirizzi espressi dall’Unione europea ha contemperato la tutela della concorrenza con la possibilità del titolare del permesso a costruire di eseguire direttamente dette opere.
In tal senso, l’art. 32, comma 1, lett. g) ha previsto, rimettendone la scelta all’amministrazione, la seguente alternativa:
1. l’applicazione del codice, e perciò l’appalto a terzi delle opere di urbanizzazione da parte dell’amministrazione, mediante procedura ad evidenza pubblica;
2. una procedura, modellata sulla falsariga del project financing, in base alla quale il titolare del permesso a costruire assume veste di promotore, elabora la progettazione preliminare delle opere di urbanizzazione, indice una gara sulla base di questa e, successivamente, ha facoltà di esercitare il diritto di prelazione nei confronti dell’aggiudicatario, corrispondendogli il valore del 3% dell’ammontare dell’appalto ed assumendo, in tal caso, il diritto ad eseguire dette opere.
Non risulta previsto nella norma, in base a quali criteri l’amministrazione possa optare per l’appalto pubblico direttamente da essa bandito ovvero per l’attuazione della predetta procedura fondata sul promotore. Nel silenzio normativo, sembra doversi ritenere che l’amministrazione sia soggetta ai principi generali che regolano l’azione amministrativa e possa, perciò, optare discrezionalmente per l’una o per l’altra forma, a seconda che le circostanze specifiche del caso facciano ritenere l’una o l’altra più conforme agli interessi perseguiti di celere realizzazione degli interventi.
Dal punto di vista procedurale, il privato, una volta acquisito il permesso a costruire (e sempre che ovviamente l’amministrazione, nello stesso, abbia deciso di avvalersi della procedura del promotore), entro 90 giorni dal rilascio di questo, deve presentare all’amministrazione la progettazione preliminare delle opere di urbanizzazione. Il predetto termine di 90 giorni non sembra avere carattere perentorio, sicché dalla sua inosservanza non deriva alcun automatico effetto decadenziale, ma naturalmente è salva la potestà dell’ente pubblico di mettere in mora il privato, ingiungendogli a pena di decadenza il rispetto di un termine ulteriore; infine, deve ritenersi consentito che l’amministrazione preveda l’automatica decadenza, nel caso di mancata presentazione della progettazione preliminare entro 90 giorni, per cui in tal caso tale termine assume carattere perentorio. In ogni caso di decadenza, l’amministrazione non ha altra via che procedere direttamente all’indizione di gara pubblica per l’appalto delle opere di urbanizzazione.
Pur nel silenzio della norma, è da ritenere che l’amministrazione debba approvare la progettazione preliminare ad essa presentata e, di conseguenza, possa eventualmente richiedere integrazioni o aggiustamenti alla stessa. Quanto alle modalità di gara, poiché la stessa è bandita sulla base della progettazione preliminare, è da ritenere che essa debba avere luogo, di massima, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, nel contesto del quale i concorrenti siano tenuti ad elaborare e presentare, unitamente agli altri elementi dell’offerta, la progettazione definitiva delle opere.
Lo svolgimento dell’intera procedura di gara, a partire dal bando e fino all’aggiudicazione, è attribuita alla competenza del promotore; non è detto se l’esito della gara sia soggetto all’approvazione dell’amministrazione, per cui è da ritenere che quest’ultima possa riservarsi, nel contesto del permesso a costruire o comunque in altro atto amministrativo, tale potere. Una volta conclusa la gara con l’aggiudicazione definitiva, il promotore può esercitare, entro 15 giorni dall’aggiudicazione (termine da ritenere perentorio, perché posto a garanzia della posizione dell’aggiudicatario), diritto di prelazione nei confronti dell’aggiudicatario, ma alla condizione che tale facoltà sia stata espressamente indicata nel bando di gara.
Ne consegue che, ove il diritto di prelazione non sia previsto nel bando ovvero pur essendo previsto il promotore non intenda esercitarlo, l’aggiudicatario eseguirà le opere con corrispettivo a carico del promotore titolare del permesso a costruire, con cui stipulerà il relativo contratto. Al contrario, qualora il promotore eserciti il diritto di prelazione, acquisisce il diritto ad eseguire direttamente le opere di urbanizzazione, ma in tal caso è tenuto a corrispondere all’aggiudicatario il 3% del valore dell’appalto aggiudicato, e cioè al netto del ribasso formulato in sede di gara. In ogni caso, l’esecuzione delle opere di urbanizzazione, in quanto considerate dalla norma lavori pubblici ad ogni effetto, è soggetta ai controlli da parte dell’amministrazione, stabiliti dalla legislazione speciale, e comunque alla normativa sugli appalti pubblici che dovrà essere richiamata nel relativo atto contrattuale.
Non si può in questa sede disconoscere come la regolamentazione sopra esposta dia luogo a non pochi dubbi interpretativi, per cui è auspicabile che, nel termine dei due anni stabilito dalla legge n. 62/2005 per eventuali miglioramenti normativi al codice, si dia luogo ai necessari aggiustamenti, onde rendere la disciplina completa e precisa anche nei dettagli.
Per quanto riguarda, infine, le opere di urbanizzazione secondaria sotto soglia (per le quali, come si è visto sopra, il codice impone la procedura di gara mediante promotore) va segnalata la norma transitoria di cui all’art. 253, comma 8, secondo cui detta nuova procedura di gara non si applica alle opere di urbanizzazione secondaria relativamente alle quali i provati, titolari del permesso di costruire, abbiano già assunto nei confronti dell’amministrazione comunale, alla data di entrata in vigore del codice, e cioè alla data del 1° luglio 2006, l’obbligo di eseguire detti lavori direttamente a scomputo degli oneri di urbanizzazione. In tal caso, dunque, il momento discriminante in ordine all’applicabilità della nuova disciplina è costituito non dalla convenzione tra Comune e privato, ma semplicemente dalla formalizzazione dell’obbligo di eseguire direttamente i lavori di urbanizzazione secondaria da parte di quest’ultimo.
3. Lavori in house (omissis)
4. Divieto di concessioni di committenza. Eccezioni. Centrali di committenza (omissis)
5. Associazioni temporanee di imprese di tipo orizzontale
Sotto il vigore della previgente legislazione, generalmente si riteneva che le Ati di tipo orizzontale potessero concorrere, non soltanto agli appalti per i quali veniva richiesta un’unica categoria, ma anche a quelli per i quali era richiesta una pluralità di categorie. In quest’ultimo caso, si riteneva che l’Ati orizzontale dovesse, nel suo complesso, soddisfare tutte le categorie e relativi importi richiesti. Conseguenza di ciò era che ad un appalto composto da più categorie potessero concorrere sia associazioni verticali, sia associazioni orizzontali, determinandosi per le prime l’effetto della solidarietà esclusivamente per la mandataria e per le seconde per tutte le associate.
L’art. 37, comma 1 ultima parte del codice stabilisce ora, in modo preciso, che per raggruppamento orizzontale si intende una riunione di concorrenti finalizzata a realizzare i lavori della stessa categoria. Da tale disposizione sembra desumersi che, d’ora in avanti, non è più consentito che Ati di tipo orizzontale concorrano ad appalti comprendenti non soltanto la categoria prevalente, ma anche categorie scorporate. In questa ipotesi, la partecipazione dovrebbe perciò ritenersi limitata alle Ati verticali, nelle quali la mandataria assume l’esecuzione della parte principale e le mandanti delle parti indicate come scorporate.
Tale impostazione appare, in linea di principio, condivisibile e sembra rispondere a logica e chiarezza, perché reintroduce una linea distintiva ben definita tra appalti che possono essere assunti da Ati orizzontali e appalti che possono essere assunti da Ati verticali.
6. Divieti di partecipazione alle gare e controlli sui requisiti
In tema di divieti di partecipazione alle gare, il codice contiene alcune significative innovazioni.
È ribadito il divieto di partecipazione alla stessa gara di soggetti che si trovino tra loro in una delle situazioni di controllo ex art. 2359 c.c.. In aggiunta a tale divieto, viene legislativamente recepito (art. 34, comma 2, parte 2°) il consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui non possono concorrere alle gare soggetti riconducibili ad un unico centro decisionale (stessi amministratori, stessa sede, elementi quali per esempio stesse modalità di formulazione delle offerte, tali da indurre a ritenere che provengano dallo stesso soggetto etc.).
La norma, molto opportunamente, specifica il criterio cui deve ispirarsi la stazione appaltante nell’assumere il provvedimento di esclusione, in quanto dispone che la riconducibilità ad un unico centro decisionale deve essere accertata dall’ente appaltante sulla base di univoci elementi. Viene così stabilito un preciso limite alla discrezionalità dell’amministrazione, che può esercitare il potere di esclusione, solo allorché disponga di elementi significativi che non lascino margini di dubbio sul collegamento sostanziale tra i concorrenti.
Il nuovo codice, invece, non risolve (e in verità avrebbe potuto farlo agevolmente) il problema della partecipazione alla stessa gara del consorzio stabile e dei suoi consorziati. Permane in proposito una contraddizione normativa, visto che l’art. 36, comma 5 vieta la partecipazione alla stessa procedura di gara del consorzio e di tutti i suoi consorziati, mentre l’art. 37, comma 7, seconda parte, vieta la partecipazione esclusivamente ai consorziati, per i quali il consorzio concorre e che perciò eseguiranno i lavori. Sul punto, va ricordato un pregevole indirizzo giurisprudenziale (Cons. St. IV 4.2.2003 n. 560; TAR Sardegna, sez. I n. 1445 del 20.6.2005), che ritiene il divieto circoscritto soltanto ai consorziati per i quali il consorzio concorre, sulla base del principio di conservazione di cui all’art. 1367 c.c., per effetto del quale, ove il divieto non lo si intendesse circoscritto ai consorziati esecutori dei lavori, la disposizione che preclude soltanto a loro di concorrere di fatto non avrebbe alcun senso. Anche l’Autorità di vigilanza si è espressa in tal senso con determinazione n. 11 del 9.6.2004. Peraltro, sia la giurisprudenza, sia l’Autorità hanno posto, tra gli argomenti decisivi a sostegno della predetta tesi, il rilievo che la norma meno restrittiva (quella cioè che preclude la partecipazione soltanto alle imprese per cui il consorzio concorre) era stata introdotta nel contesto della legge n. 109/1994 successivamente a quella più restrittiva (infatti, quest’ultima era stata introdotta con la legge n. 216/1995 e l’altra con la legge n. 415/1998). Questo importante argomento oggi risulta in qualche modo sminuito dalla circostanza che entrambe le disposizioni, tra loro contraddittorie, sono ribadite nell’ambito di un unico codice. Tale rilievo, ad avviso di questa associazione, impone cautela, in ragione del fatto che l’art. 36, comma 5 stabilisce perentoriamente una severa sanzione penale (turbativa d’asta) proprio in relazione alla contestuale partecipazione alla stessa gara del consorzio stabile e di tutti i suoi consorziati. Sul punto, non può che auspicarsi un chiarimento in sede di circolare da parte del Ministero ovvero di determinazione da parte dell’Autorità, che consenta certezza di comportamenti da parte degli operatori economici del settore.
Alcune significative innovazioni risultano introdotte, relativamente ai requisiti di ordine generale dei concorrenti e alla conseguente esclusione degli stessi dalla gara per effetto del mancato possesso di detti requisiti (art. 38).
Innanzitutto, va notato che i divieti vengono espressamente estesi anche ai subappaltatori, il che indurrebbe a ritenere che, all’atto della richiesta di autorizzazione, l’appaltatore debba fornire all’amministrazione dichiarazioni sostitutive del subappaltatore, circa l’assenza di tali cause di esclusione in capo al subappaltatore stesso e che l’amministrazione comunque abbia titolo per procedere alle verifiche, in ordine alla veridicità delle dichiarazioni (art. 38, comma 3).
Per quanto concerne le specifiche cause di esclusione, risultano introdotte le seguenti innovazioni:
1. dalle procedure concorsuali (fallimento, liquidazione coatta etc.), quali cause di esclusione, è stata eliminata l’amministrazione controllata. Tale modifica è pienamente condivisibile, considerato che finalità dell’amministrazione controllata è proprio il risanamento dell’impresa che si trovi in uno stato di temporanea difficoltà economica (e non di insolvenza generalizzata) e presuppone evidentemente la continuazione dell’esercizio dell’impresa, finalità queste che verrebbero totalmente vanificate ove venisse preclusa la possibilità di assumere ulteriori appalti;
2. per quanto concerne la causa di esclusione inerente la pendenza di un procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione ai sensi della legge n. 1423/1956, viene esplicitato (per quanto in via interpretativa generalmente si perveniva comunque a tale conclusione) che essa opera anche nei confronti del convivente della persona sottoposta al procedimento.
3. viene chiarito che costituiscono causa di esclusione anche i decreti penali di condanna divenuti irrevocabili. Inoltre, sia per quanto concerne questi ultimi, sia per quanto concerne le sentenze passate in giudicato, sia infine i patteggiamenti viene stabilito che essi debbano riguardare reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale. Tale dizione normativa, rispetto al testo dell’art. 75 del D.P.R. n. 554/1999 introduce due nuovi elementi: innanzitutto, il reato deve avere carattere di gravità; in secondo luogo, deve trattarsi di reati che, in senso lato e atecnico, abbiano arrecato un danno allo Stato o alla Comunità europea. Resterebbero, perciò, fuori dalla portata della causa di esclusione quei reati che, ancorché gravi, abbiano determinato danni esclusivamente a persone fisiche. Viene chiarito che comunque costituiscono cause di esclusione tutti i reati di partecipazione ad organizzazioni criminali, nonché quelli di corruzione, frode e riciclaggio, secondo la definizione dell’art. 45 della direttiva 2004/18.
4. per quanto concerne la grave negligenza o la malafede nell’esecuzione del contratto, viene chiarito che queste, per assurgere a causa di esclusione, debbano essere oggetto di adeguata motivazione da parte della stazione appaltante, che perciò ha l’onere di assumere un provvedimento formale, nel quale dia conto dell’esistenza dell’inadempienza e della sua gravità. Inoltre, la formulazione complessiva della disposizione conferma che la causa di esclusione può essere fatta valere esclusivamente dalla stazione appaltante nei cui confronti ha avuto luogo l’inadempimento. La disposizione aggiunge, quale causa di esclusione, l’errore grave commesso nell’esercizio dell’attività professionale, senza specificare che questa può essere fatta valere esclusivamente da parte dell’ente appaltante nei cui confronti l’errore è commesso; la norma suscita qualche perplessità, considerato che la nozione di errore grave, concettualmente, rientra in quella più ampia ed onnicomprensiva di grave negligenza. D’altra parte, sul piano logico, avrebbe poco senso trattare due fattispecie sostanzialmente analoghe (e cioè la grave negligenza e l’errore grave) in modo totalmente disomogeneo. Su tali presupposti, sembra potersi sostenere che l’intera fattispecie di cui all’art. 38 lettera f) concerne cause di esclusione, che possono essere fatte valere soltanto dall’ente appaltante nei cui confronti hanno avuto luogo i comportamenti in questione.
5. per quanto riguarda le violazioni concernenti i contributi previdenziali ed assistenziali, è stabilito che esse debbano essere definitivamente accertate (l’art. 75 lettera e) del D.P.R. n. 554/1999 stabiliva che esse dovessero essere debitamente accertate). La nuova formulazione induce a ritenere che, qualora venga instaurato contenzioso giurisdizionale, perché la causa di esclusione possa divenire operante, debba attendersi che la questione passi in giudicato.
6. vengono introdotte espressamente, quali cause di esclusione (ancorché non si dubitasse della loro rilevanza), sia la circostanza di non essere in regola con la normativa sui disabili di cui alla legge n. 68/1999, sia la circostanza di essere incorsi nella sanzione interdittiva, consistente nel divieto a contrattare con la pubblica amministrazione, per reati commessi da amministratori o dipendenti dell’impresa, ai sensi della legge n. 231/2001.
Relativamente a tutte le cause di esclusione, viene chiarito che il concorrente può attestare la loro assenza mediante dichiarazione sostitutiva, ai sensi del D.P.R. n. 445/2000.
Viene ribadito che le amministrazioni procedono d’ufficio per i concorrenti (è da ritenere con metodo a campione) agli accertamenti, in ordine alla veridicità delle dichiarazioni presentate, ai sensi degli artt. 43 e 71 del D.P.R. n. 445/2000; procedono sempre a tali accertamenti relativamente all’aggiudicatario. Per quanto concerne la regolarità contributiva dell’aggiudicatario, non ha luogo l’accertamento d’ufficio, in quanto quest’ultimo ha l’obbligo di presentare la certificazione di regolarità contributiva (documento unico di regolarità contributiva).
L’articolo 48 conferma la disposizione di cui all’art. 10, comma 1 quater della legge n. 109/1994, circa la verifica nel corso del procedimento di gara, dei requisiti di capacità tecnico-economica, relativamente al 10% degli offerenti. È da osservare che la norma parla specificamente di requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa e questi, a seguito dell’entrata in vigore del sistema delle certificazioni SOA, vengono richiesti in occasione di ogni gara, in base agli artt. 3, comma 6 e 28 del D.P.R. n. 34/2000, soltanto per gli appalti superiori ad euro 20.658.276,00 (requisito del fatturato) e per gli appalti inferiori ad euro 150.000 (lavori eseguiti, costo del personale e adeguata attrezzatura tecnica). Di conseguenza, la disposizione in argomento ha portata limitata, in quanto trova applicazione esclusivamente nei casi in cui l’amministrazione richiede, nella singola gara, specifici requisiti tecnici ed economici (così ad esempio, oltre che nei casi citati, anche in materia di beni culturali).
Assai approssimativa ed imprecisa risulta la formulazione dell’art. 51, che prevede l’ipotesi di cessione di azienda, trasformazione, fusione etc. da parte dei soggetti partecipanti alla gara e stabilisce che, in tal caso, essi sono comunque ammessi alla gara, previo accertamento sia dei requisiti di ordine generale, che dei requisiti di ordine speciale. La norma ha un senso concreto e logico, soltanto se la si intende nel senso precedentemente delineato dall’art. 35, comma 4 della legge n. 109/1994, e cioè nel senso che, nelle more della voltura della certificazione SOA da parte del cedente al cessionario, quest’ultimo può concorrere alla gara, presentando l’atto notarile di cessione, affitto, fusione etc., nonché il certificato SOA del cedente e dimostrando i propri requisiti di ordine generale. Ne consegue che, laddove la disposizione fa riferimento all’esigenza di accertamento dei requisiti di ordine speciale, questo va riferito all’attestazione SOA della cedente, di fatto trasferito alla cessionaria.
7. Avvalimento (omissis)
8. Oggetto del contratto. Attività progettuale da parte delle imprese (omissis)
9. Liberalizzazione della scelta tra appalti a corpo e a misura
A differenza di quanto faceva la legge n. 109/1994, che decisamente privilegiava ed indirizzava l’azione delle pubbliche amministrazioni verso la scelta dell’appalto a corpo, il codice delinea un’ampia sfera di discrezionalità dell’ente appaltante nello scegliere l’una o l’altra forma in base alle proprie esigenze. Di fatto, perciò, la scelta viene totalmente liberalizzata, in quanto non ancorata a rigidi criteri predeterminati.
La disposizione del codice (art. 53, comma 4) poi enuncia le definizioni di appalto a corpo e a misura, ricalcando pedissequamente quelle tradizionali. Nell’appalto a misura il computo metrico estimativo a base del progetto, e perciò il prezzo di appalto, ha mero carattere presuntivo, in quanto il prezzo definitivo potrà variare a consuntivo, in base alle effettive misurazioni, e perciò in base alle quantità effettivamente occorse.
Relativamente agli appalti a corpo, invece, il prezzo pattuito non può essere modificato, e perciò si prescinde dalle quantità effettivamente occorse, ma naturalmente sempre che non vengano apportate variazioni rispetto ai disegni di progetto, perché in tal caso, ove l’appaltatore esegua maggiori lavorazioni necessarie, in base all’art. 1661 c.c., ha diritto al maggior corrispettivo.
Sempre con riguardo agli appalti a corpo, la disposizione del codice può dare luogo ad equivoci, laddove afferma che il prezzo convenuto non può essere modificato, sulla base della verifica della quantità o della qualità della prestazione. Il riferimento alla quantità, nei termini di cui sopra, appare sicuramente corretto; il riferimento alla qualità, invece, non può che essere inteso nel senso che la prestazione debba risultare idonea a conseguire il risultato di progetto (esempio: una componente impiantistica idonea al funzionamento dell’impianto), non potendosi ritenere che l’amministrazione possa ad libitum richiedere uno standard di qualità maggiore di quello ragionevolmente desumibile dalle indicazioni progettuali.
10. Procedure di gara
Il codice abbandona le definizioni tradizionali di pubblico incanto, licitazione privata, appalto concorso, trattativa privata e le sostituisce, recependo in toto le corrispondenti definizioni comunitarie, per cui vengono a delinearsi quattro tipi di procedure:
a. procedure aperte;
b. procedure ristrette;
c. procedure negoziate, con o senza pubblicazione del bando;
d. dialogo competitivo.
A tali procedure va aggiunta una forma particolare, costituita dagli accordi quadro (art. 59), che può aver luogo con procedura aperta o ristretta, a seconda delle esigenze dell’amministrazione.
11. Procedure aperte e ristrette
In base alla definizione di cui all’art. 3, commi 37 e 38, sono procedure aperte quelle nelle quali, a seguito della pubblicazione del bando, qualsiasi impresa in possesso dei requisiti prescritti può presentare offerta; sono invece procedure ristrette quelle nelle quali le imprese con apposita domanda di partecipazione chiedono di partecipare, ma possono presentare offerta soltanto quelle invitate dall’amministrazione. Come tra breve si vedrà, tale definizione di procedura ristretta deve essere opportunamente intesa sulla base della disciplina che il codice stesso detta al riguardo.
Intanto, occorre sottolineare che l’amministrazione ha ampia discrezionalità nello scegliere la procedura aperta o quella ristretta, anche se esiste una disposizione di indirizzo (art. 55, comma 2) che, in un certo senso, consiglia agli enti appaltanti di adottare le procedure ristrette soltanto nei casi in cui l’appalto ha ad oggetto attività progettuale dopo l’aggiudicazione ovvero quando il criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa; nei casi cioè in cui sussiste una pluralità di elementi da valutare in sede di gara, tra cui generalmente vi è anche la progettazione definitiva (ed eventualmente esecutiva) da parte dei concorrenti.
Nonostante la definizione di procedura ristretta prima ricordata, l’art. 55, comma 6 stabilisce che a questa debbono essere invitati tutti i soggetti che ne abbiano fatto richiesta e che siano in possesso dei requisiti stabiliti dal bando; pertanto, sul piano pratico, la procedura ristretta diviene totalmente assimilabile alla procedura aperta, salvo che per la pluralità di fasi procedurali (domanda di partecipazione ed inviti).
Peraltro, la norma fa salvo quanto stabilito all’art. 62, il quale dispone alcune modalità del tutto particolari in ordine al numero dei concorrenti da invitare. È detto, infatti, che nelle procedure ristrette relative a lavori di importo pari o superiore a 40 milioni di euro, nonché nelle procedure negoziate con pubblicazione del bando e nel dialogo competitivo relativi ad appalti di qualsiasi valore, le amministrazioni possono (e perciò hanno facoltà e non obbligo) indicare il numero minimo ed eventualmente anche il numero massimo dei concorrenti, che selezioneranno sulla base di criteri oggettivi predeterminati. Nelle procedure ristrette, il numero minimo non può essere inferiore a 20; nelle procedure negoziate e nel dialogo competitivo, il numero minimo non può essere inferiore a 6.
Come si vede, in materia di procedure ristrette di lavori pubblici, la facoltà di restringere la concorrenza con previsione della c.d. forcella risulta assai circoscritta, in quanto:
a. tale meccanismo è applicabile soltanto ad appalti pari o superiori a 40 milioni di euro;
b. il numero minimo dei concorrenti da invitare non può essere inferiore a venti.
Allorché l’amministrazione ricorra alla forcella, stabilendo il numero massimo dei concorrenti che inviterà, è tenuta a prevedere e indicare nel bando di gara i criteri oggettivi sulla base dei quali selezionerà i concorrenti da invitare, ove le domande di partecipazione risultino in numero superiore a quello massimo predeterminato.
Peraltro, qualora il numero degli aspiranti concorrenti, selezionati sulla base dei criteri oggettivi predeterminati, risulti inferiore al numero prestabilito (venti o sei), le amministrazioni hanno facoltà di proseguire la procedura, invitando i concorrenti a presentare offerte, ovvero di ritenerla esaurita, ripetendola con previsione di requisiti e criteri meno selettivi.
Quanto al momento della presentazione delle offerte, qualora il bando nulla dica (art. 55, comma 4) in ordine al numero minimo delle offerte necessarie a consentire la conclusione della procedura, si procede ad aggiudicazione anche ove sia pervenuta una sola offerta valida. In tal caso, però, resta ferma la possibilità per l’amministrazione di non procedere ad aggiudicazione, con provvedimento motivato che rilevi la non convenienza o inidoneità dell’offerta (art. 81, comma 3). È, peraltro, data facoltà alle amministrazioni di prevedere nel bando che non si procederà ad aggiudicazione nel caso di una sola offerta valida ovvero anche nel caso di due sole offerte valide. In questa ipotesi il procedimento non ha alcuna prosecuzione e va senz’altro ripetuto.
12. Procedure negoziate
L’impostazione dell’art. 24 della legge n. 109/1994, per la verità assai angusta, viene totalmente sovvertita, poiché agli articoli 56 e 57 del codice risultano recepite totalmente le disposizioni comunitarie che ammettono la procedura negoziata in tutta una serie di ipotesi che, se applicate con rigore ed in presenza di tutti i presupposti in esse stabiliti, possono risultare di notevole utilità nel settore degli appalti pubblici.
Vengono previste due forme di procedura negoziata, e cioè quelle con previa pubblicazione di un bando e quelle senza pubblicazione di un bando.
Le prime sono possibili in tre casi, e cioè:
a. quando, in una prima gara, siano state presentate offerte tutte irregolari o inammissibili. Tale ipotesi si applica però soltanto ai lavori di importo inferiore ad un milione di euro;
b. in casi eccezionali, quando non risulta possibile la preliminare determinazione dei prezzi da porre a base di appalto;
c. relativamente ai lavori da realizzare a scopo di ricerca.
Le stazioni appaltanti richiedono la presentazione di offerte concernenti gli elementi che ritengono opportuni (e perciò soltanto il ribasso ovvero questo unitamente ad altri elementi) e, successivamente all’esito di questa prima fase, aprono una fase di negoziazione con tutti gli offerenti, onde ottenere eventuali migliorie economiche ed eventualmente migliorie concernenti anche altri aspetti del rapporto (ad esempio, diminuzione del termine di esecuzione o modalità esecutive particolari etc.).
È data la possibilità alle amministrazioni di prevedere, nel bando di gara o nel capitolato speciale, che la prima parte della procedura si svolga per fasi successive, finalizzate alla riduzione del numero dei concorrenti con cui attuare la negoziazione definitiva. Ciò sta a significare che, per esempio, l’amministrazione può articolare la prima parte della procedura in due fasi, ammettendo alla seconda soltanto i due o tre concorrenti che si siano meglio classificati nella prima. Successivamente, darà luogo soltanto con questi alla negoziazione finale, nel contesto della quale richiederà miglioramenti alle offerte già presentate.
Sia nel caso di negoziazione con tutti gli offerenti, sia nel caso ora detto di negoziazione soltanto con quelli selezionati, se il criterio adottato è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, è da ritenere che l’amministrazione possa affinare i criteri indicati nel bando, onde richiedere ai concorrenti elementi specifici più appropriati in relazione alle particolarità tecnico-economiche delle offerte.
Per quanto concerne le procedure negoziate senza pubblicazione del bando di gara, l’amministrazione può procedervi a seguito di provvedimento che, con adeguata motivazione, dia conto della sussistenza di tutti i presupposti giuridici e di fatto per ricorrervi, nei seguenti casi:
a. un primo esperimento di gara andato deserto; in tal caso, nella procedura negoziata non possono essere sostanzialmente modificate le condizioni di gara del primo esperimento. Inoltre, la fattispecie è applicabile esclusivamente ad appalti di importo inferiore ad un milione di euro;
b. qualora sussistano ragioni di natura tecnica, per cui l’appalto può essere affidato soltanto ad una determinata impresa;
c. nei casi di estrema urgenza, quando ricorrono tre condizioni, e cioè: 1) l’urgenza stessa derivi da eventi imprevedibili; 2) non sia compatibile con i termini necessari ad espletare una normale procedura di gara; 3) l’urgenza non sia riconducibile a colpe o negligenze dell’ente appaltante.
d. lavori complementari divenuti necessari all’esecuzione dell’opera per effetto di una circostanza imprevista, purché il loro valore non superi il 50% del valore del contratto iniziale. È da ritenere che, per lavori complementari, si intendano i lavori aventi natura extra-contrattuale, e cioè quelli che di fatto costituiscono opere ulteriori rispetto a quelle originariamente previste in contratto (es., un ulteriore tratto di galleria ovvero un ulteriore svincolo stradale), ma che sono divenuti indispensabili per la completezza tecnica e funzionale dell’opera nel suo complesso considerata (nell’esempio fatto, la galleria non risulterebbe funzionale senza una diramazione ulteriore o, analogamente, la strada non risulterebbe funzionale, senza l’ulteriore svincolo). Il chiarimento ora fatto è rilevante per distinguere tale ipotesi da quella delle maggiori opere necessarie, aventi carattere contrattuale (es., maggiori consolidamenti per realizzare il tratto di galleria originariamente previsto ovvero maggiori fondazioni per realizzare la strada originariamente prevista). In tal caso, si ricade nell’istituto della variante in corso d’opera, trattandosi di maggiori lavorazioni necessarie a realizzare l’oggetto contrattuale originariamente previsto, e perciò a tale specifica disciplina dovrà farsi riferimento;
e. lavori similari a quelli oggetto dell’appalto originario, ove ricorrano tre condizioni: 1) che tale possibilità sia stata prevista nel bando; 2) che la procedura negoziata avvenga nei tre anni successivi alla stipula del primo contratto; 3) che i lavori similari risultino indicati in un progetto base, posto a fondamento del primo esperimento di gara.
Relativamente a tutte e cinque le dette ipotesi, è stabilito che, qualora risulti possibile, l’ente appaltante individua, tramite informazioni di mercato, almeno tre soggetti idonei da invitare alla negoziazione. Vi è da notare che tale prescrizione ha carattere soltanto eventuale (ove possibile), ciò in quanto in alcuni casi la negoziazione è di fatto ad esecutore determinato, come nel caso dei lavori complementari o della ripetizione di opere simili, mentre in altri casi l’amministrazione deve valutarne la concreta possibilità, potendosi per esempio verificare che l’esigenza di tutelare l’incolumità pubblica abbia un’urgenza tale da non consentire neppure la negoziazione con tre imprese ovvero che sussistano ragioni di natura tecnica talmente rilevanti (es., un’opera imprevista da eseguire all’interno della stessa sezione di scavo) per le quali l’affidamento debba necessariamente avvenire ad opera dell’originario esecutore.
Nei casi in cui non si tratti di affidamento ad esecutore determinato, l’amministrazione sceglie almeno tre imprese in possesso della qualificazione richiesta, sulla base delle informazioni di cui dispone circa i soggetti operanti nel mercato; è però stabilito che debba essere rispettato il criterio della rotazione, in base al quale in ipotesi di procedure negoziate successive l’amministrazione ha il dovere di individuare soggetti diversi rispetto a quelli invitati alla negoziazione dell’appalto precedente. Una volta individuati i tre (o più) soggetti, questi vengono invitati a presentare offerta sugli elementi ritenuti opportuni (prezzo ovvero anche altri elementi) e successivamente si apre la negoziazione nel contesto della quale l’amministrazione richiede tutti gli ulteriori miglioramenti ritenuti utili per l’affidamento dell’appalto).
13. Il dialogo competitivo (omissis)
14. L’accordo quadro (omissis)
15. Le aste elettroniche (omissis)
16. Criteri di aggiudicazione
L’articolo 81 prevede che, sia nell’ambito delle procedure aperte, sia di quelle ristrette e negoziate, l’amministrazione possa optare ai fini dell’aggiudicazione per il criterio del prezzo più basso o per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
È stabilito che gli enti appaltanti scelgono, indicandolo nel bando di gara, il criterio di aggiudicazione che ritengono più adeguato alle caratteristiche dell’appalto. La norma delinea così un ambito di discrezionalità assai ampio dell’amministrazione, che di fatto può effettuare liberamente le sue scelte in ordine al criterio di aggiudicazione da adottare. Si tratta di un’innovazione di portata sostanziale, considerato che nel regime della legge n. 109/1994 la possibilità di ricorrere al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa era circoscritto ad ipotesi del tutto eccezionali, e cioè ai casi di appalti in cui fosse prevalente la componente tecnologica o relativamente ai quali le possibili soluzioni progettuali assumessero particolare rilevanza tecnica (art. 21, comma 1 ter).
La scelta dell’ampliamento della discrezionalità dell’amministrazione, operata dal codice, recepisce l’impostazione delle direttive comunitarie e, d’altra parte, dà piena attuazione alla sentenza della Corte di giustizia n. 247/02 del 7.10.2004, secondo le indicazioni contenute all’art. 25, comma 1 lettera d) della legge n. 62/2005 di delega al Governo per l’emanazione del codice.
Naturalmente, sulla base dei principi generali del diritto amministrativo di logica, razionalità e proporzionalità, la discrezionalità deve essere attuata correttamente e conformemente agli interessi da realizzare, per cui è da ritenere che permanga, quantomeno sotto il profilo delle regole di buona amministrazione, la regola generale di non utilizzare il complesso criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (complesso nei contenuti, nelle valutazioni e nella procedura, nonché dispendioso per gli operatori economici), relativamente agli appalti che non presentino particolari difficoltà tecniche e che, cioè, abbiano carattere di ordinarietà.
Meritevole di nota è la disposizione di cui all’art. 81, comma 3 che attribuisce all’ente appaltante il generale potere di non procedere ad aggiudicazione, se nessuna offerta risulti conveniente o idonea. Relativamente al criterio del prezzo più basso, ciò sta a significare che, ancorché non anomala, l’offerta cui dovrebbe essere aggiudicato l’appalto potrebbe essere ritenuta eccessivamente alta, e perciò non economica, in quanto non conforme alle risposte che ci si attendeva dal mercato. Naturalmente, in tal caso, il provvedimento di diniego di aggiudicazione, pur se fondato sulla norma giuridica in questione, deve contenere un’adeguata motivazione, che dia conto delle ragionevoli aspettative rispetto all’andamento del mercato e dell’inadeguatezza rispetto a queste dell’offerta formulata.
Per quanto concerne il criterio del prezzo più basso, viene ribadito che le modalità di attuazione dello stesso possono essere due, e cioè il prezzo più basso determinato mediante ribasso sull’importo a base d’asta ovvero il meccanismo dell’offerta a prezzi unitari, nel quale, come è noto, sono i concorrenti a formulare tutti i prezzi unitari inerenti ciascuna categoria di lavoro. La scelta tra il sistema del maggior ribasso ovvero dei prezzi unitari, anche in tal caso, è rimessa alla discrezionalità più ampia dell’amministrazione. Questa, peraltro, dovrebbe ispirarsi al criterio dell’adozione, in linea di principio, del meccanismo più semplice, e cioè quello del maggior ribasso; ciò nella presunzione che i prezzi unitari formulati a seguito dell’elaborazione della progettazione esecutiva siano aderenti alla realtà economica e tecnica, siano cioè congrui e siano il frutto di analisi aderenti alle prestazioni che l’appaltatore dovrà rendere.
Il sistema dell’offerta dei prezzi unitari dovrebbe, perciò, ad avviso di questa associazione, costituire l’eccezione ed essere circoscritto alle ipotesi di appalti, la cui complessità ovvero specificità faccia ritenere opportuno verificare la capacità delle imprese nel formulare i prezzi unitari attinenti a ciascuna categoria di lavoro; altra ipotesi, nella quale l’offerta dei prezzi unitari potrebbe risultare proficua, è quella in cui l’amministrazione abbia dubbi sulla correttezza dei prezzi unitari scaturiti dalla progettazione.
Sulla base di quanto ora detto, appare perciò singolare e poco comprensibile sul piano logico la disposizione (art. 82, comma 3), che, confermando pedissequamente la norma di cui all’art. 21, comma 1 lettera c) della legge n. 109/1994, relativamente ai contratti nei quali vi sia una parte a corpo e una parte a misura, impone l’adozione del sistema dell’offerta dei prezzi unitari.
17. Offerta economicamente più vantaggiosa
Il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, come è noto, è un criterio particolarmente complesso, nel quale l’aggiudicazione non avviene soltanto sulla base del prezzo offerto, ma anche di altri elementi predeterminati ed individuati nel bando di gara.
L’articolo 83 del codice elenca numerosi elementi di valutazione, ampliando l’enunciazione della normativa previgente (tra i più significativi, in tema di lavori, da ricordare: il prezzo, il pregio tecnico dell’attività progettuale dei concorrenti, il pregio sotto l’aspetto estetico, ambientale, i successivi costi di manutenzione, l’eventuale assistenza tecnica che l’impresa si impegna a fornire dopo il collaudo, il tempo di esecuzione), ma ciò che più rileva è che afferma espressamente che l’enunciazione ha carattere esemplificativo; il che sta a significare che l’amministrazione ha facoltà di stabilire elementi anche diversi da quelli oggetto dell’elencazione dell’art. 83, purché naturalmente congruenti con le caratteristiche dell’appalto e con le esigenze di una seria ed approfondita valutazione delle offerte sotto l’aspetto tecnico ed economico. Va ricordato, in proposito, che comunque tale ampia discrezionalità non può spingersi fino a stabilire requisiti che attengano all’idoneità soggettiva del concorrente, considerato che la stessa giurisprudenza ha in varie occasioni sottolineato che tali requisiti rilevano esclusivamente nella fase di ammissione alla gara e che l’offerta deve riguardare soltanto elementi oggettivi inerenti il prezzo, le modalità di esecuzione dell’opera ed eventualmente altre prestazioni accessorie.
Per quanto concerne i punteggi attribuibili a ciascun elemento di valutazione, la norma prevede due ipotesi. La prima, costituente regola generale, è quella nella quale la ponderazione di ciascun elemento di valutazione è predeterminabile con espressa previsione del bando; in tal caso il bando deve indicare il punteggio massimo attribuibile a ciascun elemento di ogni offerta, con facoltà di indicare una soglia minima, al di sotto della quale l’offerta stessa viene automaticamente considerata non idonea. In questa ipotesi, lo scarto tra il punteggio massimo attribuibile e la soglia minima deve essere appropriato, il che sta a significare che la soglia deve avere entità ragionevole e non essere, perciò, tale da limitare eccessivamente il confronto concorrenziale tra le offerte presentate.
La seconda ipotesi (comma 3), per la verità, sembra avere carattere del tutto eccezionale, perché riguarda il caso in cui la predeterminazione nel bando dei punteggi massimi attribuibili a ciascun elemento sia impossibile per ragioni oggettive. Non può sfuggire che l’impossibilità di stabilire punteggi relativi ad elementi tecnici di valutazione riguarda casi assolutamente marginali e del tutto ipotetici, considerato che in linea di principio risulta sempre possibile predeterminare il peso inerente ogni aspetto tecnico delle offerte. Presumibilmente, ricorre tale ipotesi, allorché si chieda ai concorrenti un risultato tecnico non quantificabile nella sua entità massima, con la conseguenza che il punteggio massimo potrà essere stabilito a valle del confronto, una volta acquisiti i risultati conseguibili dalle varie offerte. Relativamente a tali ipotesi è prescritto che la stazione appaltante indichi nel bando di gara le motivazione per le quali, nel caso specifico, la ponderazione numerica preventiva dei singoli elementi è impossibile; la prescrizione, evidentemente, ha la finalità di consentire ad ogni interessato il controllo circa la logicità delle scelte dell’amministrazione e l’effettiva sussistenza dei presupposti che impediscono la predeterminazione di parametri numerici oggettivi. Comunque, allorché si ricada in questa ipotesi, l’amministrazione è sempre tenuta ad indicare quantomeno l’ordine decrescente di importanza dei criteri di valutazione che saranno adottati, così vincolandosi, seppure in modo meno stringente, a parametri di giudizio predefiniti.
È, in ogni caso, data facoltà (e non obbligo) all’amministrazione di stabilire sub-criteri e sub-punteggi attinenti ciascun elemento di valutazione: così per esempio, relativamente al pregio tecnico, potrebbero essere previsti vari aspetti particolari della soluzione tecnica proposta (la funzionalità; la qualità dei materiali; l’armonizzazione con altre opere esistenti etc.), con relativi sub-punteggi massimi da attribuire a ciascuno. Costituisce invece obbligo, per la commissione giudicatrice preposta alla valutazione delle offerte, predeterminare in apposito verbale, dopo il suo insediamento ma prima dell’apertura delle offerte, i criteri motivazionali (è da ritenere prevalentemente di natura tecnica), cui si atterrà nell’attribuzione a ciascuna offerta dei punteggi inerenti ogni elemento di valutazione. Come si vede, la legge tende a rendere quanto più possibile oggettivo il giudizio finale della commissione, ancorandolo a vari elementi predeterminati a cascata, e cioè gli elementi di valutazione, i punteggi massimi ed eventualmente minimi, i sub-pesi ed infine i criteri motivazionali.
Il codice nulla dice in ordine all’inquadramento giuridico ed alla natura del giudizio finale della commissione. Dalla lettura complessiva delle norme sembra potersi affermare che tale giudizio costituisca l’aggiudicazione provvisoria, l’aggiudicazione cioè soggetta alla condizione di efficacia dell’approvazione da parte dell’organo di controllo che la rende definitiva. Quanto alla natura giuridica in senso stretto, si tratta di atto di giudizio, con valore di parere relativamente vincolante; ciò perché la norma definisce la commissione, come commissione giudicatrice, una commissione cioè con prerogative altamente tecniche, sicché sarebbe singolare che l’organo di controllo preposto all’aggiudicazione definitiva potesse modificare il giudizio tecnico espresso dalla commissione. Quest’ultimo perciò, in linea di principio, non è sindacabile, salva l’ipotesi in cui l’organo di controllo non ravvisi nell’operato della commissione vizi di illegittimità, quali per esempio la violazione di norme tecniche ovvero macroscopiche illogicità di giudizio. In tali ipotesi, è da ritenere che l’organo di controllo, una volta rilevati con ampia motivazione tali vizi, possa segnalarli alla commissione, perché in sede di riconvocazione sani il suo operato. È, inoltre, da ritenere che l’organo di controllo preposto all’aggiudicazione definitiva possa discostarsi dal giudizio della commissione, qualora ritenga l’offerta prescelta non rispondente alle finalità tecniche o alle aspettative economiche che l’amministrazione si prefiggeva; in tal caso, l’aggiudicazione provvisoria potrà essere posta nel nulla, con motivazione che dia conto della non rispondenza dell’offerta alle esigenze dell’ente, e conseguente ripetizione della gara.
Per quanto concerne la commissione giudicatrice, l’articolo 84 in parte conferma la previgente disciplina ed in parte vi apporta alcune sostanziali innovazioni: la conferma, laddove prevede che la commissione sia composta da tre o cinque esperti nello specifico settore dell’appalto e che sia comunque presieduta da un dirigente della stazione appaltante; introduce, invece, un’innovazione, laddove stabilisce che, di regola, gli altri commissari siano scelti tra i funzionari della stazione appaltante. È poi previsto che, ove nell’organico di questo vi sia un’accertata carenza di funzionari dotati di professionalità adeguate, i commissari siano prescelti dall’organo deliberante dell’ente tra le categorie: a) dei professionisti, scelti nell’ambito di un elenco che viene formato dall’amministrazione, in base alle professionalità utili, scegliendo tra rose di candidati fornite dagli ordini professionali; b) professori universitari di ruolo, scelti con lo stesso metodo, ma con indicazione delle rose di candidati fornite dalle rispettive facoltà di appartenenza.
In luogo del sorteggio previsto dalla precedente legislazione, viene ora stabilito che, nell’ambito delle predette categorie, i commissari siano prescelti sulla base di criteri di rotazione. La formulazione della norma, per la verità un po’ generica, rimette alla discrezionalità dell’amministrazione la determinazione del contenuto del criterio di rotazione che, per esempio, potrebbe ragionevolmente stabilire che lo stesso professionista o professore non possa essere nominato commissario, prima del decorso di un certo termine dall’incarico precedente ovvero prima che un certo numero di altri incarichi siano stati assegnati ad altri commissari.
18. Criteri di individuazione delle offerte anomale
Relativamente al criterio del prezzo più basso, viene mantenuto il principio secondo cui le stazioni appaltanti devono valutare la congruità delle offerte che presentino un ribasso eccedente la media aritmetica dei ribassi delle offerte ammesse, con esclusione del 10% delle offerte di maggiore e di minor ribasso, media incrementata dalla media aritmetica degli scarti delle offerte che superano la prima media.
Peraltro, relativamente agli appalti sotto soglia, l’art. 122, comma 9 introduce un’importante innovazione, in quanto dà facoltà all’amministrazione appaltante di prevedere, con apposita clausola del bando, l’esclusione automatica di tutte le offerte che eccedono la media, come sopra calcolata. In altri termini, viene rimesso relativamente agli appalti sotto soglia, alla discrezionalità della stazione appaltante decidere se attuare il metodo dell’esclusione automatica ovvero adeguarsi al criterio generale per gli appalti sopra soglia, secondo cui le offerte che eccedono la media vanno sottoposte a verifica di congruità in contraddittorio con l’offerente.
Per quanto concerne il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, viene mantenuto sia per gli appalti sopra soglia, sia per quelli sotto soglia il sistema, secondo cui le stazioni appaltanti devono procedere alla valutazione di congruità di quelle offerte, relativamente alle quali ricorrano due elementi, e cioè:
a) il punteggio assegnato all’elemento prezzo sia pari o superiore i quattro quinti del punteggio massimo previsto per tale elemento;
b) la somma dei punteggi assegnati agli altri elementi sia pari o superiore alla somma dei corrispondenti punteggi massimi stabiliti nel bando.
Viene così confermata una norma di dubbia logicità, posto che nelle gare espletate con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa ad un punteggio particolarmente elevato non necessariamente corrispondono prezzi unitari bassi, ben potendo il prezzo complessivo offerto risultare basso per effetto della contrazione delle quantità che una soluzione progettuale ingegnosa abbia potuto realizzare. D’altra parte, non si vede quale nesso logico abbia riconnettere una presunta anomalia economica all’elevato punteggio assegnato a tutti gli elementi diversi dal prezzo.
Disposizione di particolare rilievo è quella introdotta dall’art. 86, comma 3 che autorizza in ogni caso le stazioni appaltanti a valutare la congruità anche di offerte non eccedenti la soglia di anomalia (nel criterio del maggior ribasso) ovvero non eccedenti i quattro quinti dei punteggi sopra detti (nel criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa), quando, sulla base di elementi concreti e specifici, l’offerta appaia comunque anormalmente bassa. Si pensi, per esempio, al caso di una media particolarmente elevata, tale perciò da indurre a ritenere sospette di anomalia anche le offerte che, pur non superandola, siano sensibilmente elevate, ovvero per esempio al caso di punteggi, nel criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, inferiori ai quattro quinti dei punteggi massimi, ma assegnati ad un’offerta i cui prezzi unitari sono palesemente sottostimati rispetto ai corrispondenti prezzi di mercato.
Da notare che, nel criterio del maggior ribasso, il sistema della media (sia per gli appalti superiori alla soglia comunitaria, quale soglia oltre la quale deve procedersi alla verifica, sia per gli appalti inferiori, per i quali il bando abbia espressamente previsto l’esclusione automatica) non trova applicazione, quando le offerte ammesse in gara sono inferiori a cinque; in questa ipotesi, le amministrazioni si avvalgono della possibilità in via generale loro offerta dalla disposizione di cui all’art. 86, comma 3, prima commentata.
Ulteriore innovazione di particolare rilievo è quella secondo cui le offerte devono essere corredate delle giustificazioni idonee a consentire la verifica della loro congruità relativamente a tutte le voci di prezzo e perciò, in sostanza, all’importo complessivo dell’appalto (come si ricorderà, in precedenza, tale obbligo concerneva voci di prezzo costituenti almeno il 75% dell’importo posto a base di gara).
È consentito che il bando di gara o la lettera di invito indichino le modalità di presentazione di dette giustificazioni, per la evidente finalità di rendere omogenea l’analisi delle giustificazioni presentate dai vari concorrenti.
Qualora le giustificazioni presentate a corredo dell’offerta vengano ritenute sufficienti e perciò tali da escludere il giudizio di anomalia, ha luogo l’aggiudicazione provvisoria.
Se invece le giustificazioni non vengono ritenute sufficienti per escludere l’anomalia dell’offerta, l’ente appaltante deve chiedere al concorrente l’integrazione delle giustificazioni e potrà procedere all’esclusione, solo dopo avere attuato un contraddittorio con l’offerente, secondo la procedura di cui si dirà tra breve.
Quanto al contenuto sostanziale delle giustificazioni che l’amministrazione richiede sia in sede di offerta, sia eventualmente in sede di ulteriore verifica, questo è enunciato dall’art. 87, che prevede che tali giustificazioni riguardino: l’economia del procedimento, le soluzioni tecniche adottate, le condizioni favorevoli di cui dispone l’offerente, l’originalità del progetto etc.. Da notare che l’elencazione della norma è formulata a titolo esemplificativo, il che sta a significare che l’ente appaltante non è vincolato ad indicare gli elementi descritti, ma secondo il suo giudizio discrezionale può indicarne di ulteriori, purché naturalmente idonei e finalizzati a consentire una seria valutazione dell’anomalia dell’offerta. In proposito, non si può non ricordare come, tradizionalmente, sia secondo la prassi amministrativa, sia secondo la giurisprudenza, elemento focale da richiedere per le finalità in questione sono le analisi dei prezzi, e cioè la scomposizione del prezzo da cui emergono le componenti elementari sia sotto l’aspetto quantitativo, sia sotto l’aspetto del costo.
Ne consegue che, ove la prassi sin qui seguita venga confermata, le amministrazioni richiederanno, unitamente alle offerte, le analisi dei prezzi, nonché altri elementi tra quelli indicati nell’art. 87 o eventualmente ulteriori, idonei a giustificare componenti elementari che risultino sottoquotate rispetto ai corrispondenti valori di mercato.
Da notare, infine, che in sede di verifica ulteriore in contraddittorio, l’amministrazione secondo l’art. 87, comma 1 ha facoltà di chiedere giustificazioni, in aggiunta a quelle già presentate e ritenute pertinenti agli elementi costitutivi dell’offerta, il che sta a significare che l’amministrazione gode di un certo margine di discrezionalità nell’individuare tutte quelle ulteriori giustificazioni, la cui esigenza sia emersa dall’offerta e dalle primitive giustificazioni ed analisi presentate.
Dal punto di vista procedimentale, è stabilito (art. 88) che, nei casi in cui l’amministrazione non ritenga sufficienti le giustificazioni presentate con l’offerta ha una triplice possibilità, da scegliere discrezionalmente:
1. indicare all’offerente le componenti dell’offerta ritenute anormalmente basse, richiedendo in merito ulteriori elementi giustificativi;
2. non indicare dette componenti, ma invitare genericamente l’offerente a fornire tutte le ulteriori giustificazioni che ritenga utili;
3. indicare le componenti ritenute anormalmente basse ed invitare specificamente l’offerente a fornire le ulteriori giustificazioni necessarie.
Quest’ultima modalità appare la più completa e rispondente all’esigenza di verifica approfondita dell’offerta. È previsto che per la presentazione delle ulteriori giustificazioni sia assegnato all’offerente un termine non inferiore a 10 giorni ed inoltre la possibilità per l’amministrazione di costituire, ove lo ritenga necessario, una commissione di esperti per la verifica dell’anomalia.
In ogni caso, e cioè sia quando all’esame proceda l’amministrazione con i suoi funzionari, sia quando vi proceda la commissione, è previsto (nonostante la non felice formulazione normativa) che possano essere richiesti ulteriori chiarimenti all’impresa, che deve fornirli entro un termine non inferiore a cinque giorni. Allorché neppure questi chiarimenti ulteriori siano risultati idonei a fugare i dubbi in ordine all’anomalia, è prevista un’ulteriore fase di chiarimenti in contraddittorio, mediante la convocazione dell’offerente ed invito allo stesso ad indicare ogni ulteriore elemento utile.
Al termine di tale complessa procedura, qualora il giudizio della stazione appaltante sia di inaffidabilità dell’offerta, questa procede alla sua esclusione. Secondo un condivisibile indirizzo giurisprudenziale, detta esclusione deve essere congruamente e concretamente motivata, con indicazione delle componenti dell’offerta ritenute eccessivamente basse e dei corrispondenti prezzi di mercato; naturalmente, deve trattarsi di componenti che abbiano un’incidenza sensibile sul complesso dell’offerta, e che perciò non abbiano carattere marginale.
Sotto il profilo procedurale, la verifica nei termini sin qui descritti ha luogo sulla prima miglior offerta classificata e se questa, in quanto ritenuta anormalmente bassa, viene esclusa, si procede con la stessa procedura, progressivamente, su ogni offerta successivamente classificata.
19. Verifica preventiva dell’interesse archeologico in sede di progetto preliminare (omissis)
20. Disciplina specifica dei contratti sotto soglia
Secondo la previsione generale dell’art. 121, ai contratti di importo inferiore alla soglia comunitaria si applicano in toto le disposizioni della parte I (e cioè i principi generali, artt. 1-27), della parte IV (e cioè il contenzioso, artt. 239-246), della parte V (e cioè le disposizioni di coordinamento e transitorie, artt. 247-257); si applicano, inoltre, le disposizioni della parte II (e cioè quelle concernenti in generale la materia dei settori ordinari, comprese le norme relative ai contratti di rilevanza comunitaria, artt. 28-205), ma soltanto in quanto non derogate dalle norme specifiche del titolo II (artt. 121-125), concernenti appunto i contratti sotto soglia comunitaria.
In estrema sintesi, i punti oggetto di specifica disciplina (art. 122) attengono alla pubblicità e ai termini (commi 1-6), alla procedura negoziata (comma 7), alle opere a scomputo (comma 8), al criterio dell’esclusione automatica delle offerte anomale (comma 9), alla procedura ristretta semplificata (art. 123) ed, infine, ai lavori in economia (art. 125).
Per quanto concerne le norme sulla pubblicità e i termini, non vi sono particolari commenti da fare, trattandosi di disposizioni che non pongono dubbi interpretativi, ma richiedono soltanto un’attenta lettura, ai fini della loro puntuale applicazione. È da segnalare che risultano modificati e semplificati gli obblighi di pubblicità, in quanto vengono previste soltanto due fasce di importo:
gli appalti di importo pari o superiore a 500.000 euro (ma ovviamente inferiori alla soglia comunitaria). Questi devono essere pubblicati sulla Gazzetta ufficiale italiana, sul profilo del committente, e cioè sul sito informatico dell’ente appaltante (art. 3, comma 35), sul sito informatico del Ministero delle infrastrutture, sul sito informatico dell’Osservatorio e, per estratto, su almeno uno dei quotidiani a diffusione nazionale, ovvero su uno dei quotidiani a maggior diffusione locale. Risulta, perciò di fatto, venuto meno l’obbligo di pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione, precedentemente previsto per gli appalti di importo compreso tra 500.000 ed 1 milione di euro.
gli appalti di importo inferiore a 500.000 euro. Questi sono pubblicati nell’albo pretorio del comune ove si eseguono i lavori (ove questi ricadano in più comuni è da ritenere che la pubblicazione vada fatta negli albi pretori di tutti i comuni interessati) e nell’albo dell’ente appaltante.
Viene, comunque, fatta salva la possibilità, per l’ente appaltante, di attuare forme di pubblicità aggiuntive rispetto a quelle stabilite dalla legge, onde realizzare una maggiore conoscenza della procedura e, perciò, una maggiore concorrenza.
Per quanto concerne le opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione ed il criterio dell’esclusione automatica, di tali argomenti si è già trattato rispettivamente ai precedenti paragrafi 2 e 18 della parte II.
Un cenno particolare richiedono le procedure negoziate relative agli appalti sotto soglia. L’articolo 122, comma 7 afferma che, in tal caso, sono applicabili in toto gli articoli 56 e 57, concernenti le procedure negoziate per gli appalti sopra soglia e di cui si è trattato al paragrafo 12 della parte II.
La disposizione però afferma che le procedure negoziate sono applicabili, oltre che nelle ipotesi previste dalle predette norme, anche per i lavori di importo complessivo non superiore a 100.000 euro. Ciò sta a significare che, per gli appalti inferiori a tale limite, le amministrazioni non sono vincolate alle ipotesi previste dagli artt. 56 e 57 (gara deserta, motivi di natura tecnica, lavori complementari etc.), ma possono attuare la procedura negoziata in qualsiasi altra ipotesi da loro ritenuta opportuna.
Pur nel silenzio della norma, è da ritenere che il provvedimento debba comunque essere motivato sulla base dei principi generali, che richiedono appunto la motivazione in tutti i casi che, in qualche modo, costituiscono deroga ad un principio generale.
È poi da ritenere che, relativamente alla procedura negoziata senza pubblicazione del bando, questa come si è detto è possibile anche al di fuori dei casi previsti dall’art. 57, ma nel rispetto della disposizione procedurale di cui al comma 6 della stessa norma, che prevede un confronto concorrenziale tra almeno tre operatori economici, sempre che ovviamente siano rintracciabili in tale numero sul mercato degli appalti e sempre che le circostanze non siano tali da imporre l’affidamento diretto ad un determinato appaltatore.
Sostanzialmente invariata resta la procedura della licitazione privata semplificata, applicabile agli appalti di importo inferiore a 750.000 euro (oggi procedura ristretta semplificata), disciplinata dall’art. 23 della legge n. 109/1994 e 77 del D.P.R. n. 554/1999 ed ora trasfusa in un’unica norma del codice, e cioè l’art. 123.
Viene chiarito che la procedura ristretta semplificata può riguardare gli appalti aventi ad oggetto la sola esecuzione, restando così esclusi da tale procedura tutte quelle forme che prevedono attività progettuale da parte dell’appaltatore.
Il numero minimo dei concorrenti da invitare ad ogni procedura viene portato da trenta a venti. Rimane per il resto invariata la procedura, e cioè la pubblicazione dell’elenco dei lavori, da effettuare entro il 30 novembre di ogni anno; le domande da parte degli interessati, da formulare entro il 15 dicembre successivo; la formazione dell’elenco che la stazione appaltante deve attuare entro il 30 dicembre (anziché come nella precedente normativa il 31) ed, infine, l’ordine di iscrizione nell’elenco, da effettuare mediante sorteggio pubblico.
Da notare che resta fermo il numero massimo di domande da presentare, che per i consorzi e le associazioni di imprese è pari a 180, mentre per gli altri operatori economici è pari a 30.
Nella precedente disciplina era previsto che, in sede di domanda, dovesse essere prodotta la dichiarazione di non avere presentato domande eccedenti il numero massimo previsto. Tale prescrizione non risulta riprodotta all’art. 123, ma sostituita da una forma di controllo da parte dell’Osservatorio, al quale devono essere trasmessi, da parte delle amministrazioni che attuano la procedura, tutti gli elenchi di imprese. L’Osservatorio, mediante programma informatico, verifica il rispetto del numero massimo di elenchi in cui le imprese sono state inserite e, qualora accerti che tale numero è stato superato, dispone la cancellazione delle iscrizioni, avvenute successivamente al raggiungimento del numero massimo consentito.
Per il resto rimane immutata la disciplina secondo cui i soggetti inseriti in elenco sono invitati ad ogni gara, secondo l’ordine di iscrizione in elenco, e possono ricevere ulteriori inviti soltanto dopo che siano stati invitati tutti i soggetti inseriti nell’elenco stesso, in possesso dei requisiti di qualificazione richiesti.
Sostanzialmente invariata resta, infine, la disciplina dei lavori in economia (art. 125), salve le seguenti modifiche:
1. restano immutate le tipologie dei lavori eseguibili in economia (comma 6), ma la manutenzione di opere e di impianti (lettera b) viene elevata da 50.000 a 100.000 euro;
2. per quanto riguarda il cottimo fiduciario, viene consentito l’affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento per i lavori di importo inferiore a 40.000 euro, in luogo del precedente limite di 20.000 euro (art. 144 del D.P.R. n. 554/1999);
3. sempre relativamente al cottimo, per gli appalti di importo compreso tra 40.000 e 200.000 euro, viene stabilito l’obbligo per l’ente appaltante di procedere a consultazione, e cioè gara informale, tra almeno 5 operatori economici prescelti sulla base di indagini di mercato ovvero individuati in elenchi predisposti dallo stesso ente appaltante. Come si vede, risulta introdotta la possibilità per l’amministrazione di predisporre elenchi di operatori economici, ai quali devono essere iscritti i soggetti che ne facciano richiesta e che siano in possesso dei requisiti prescritti per l’assunzione di appalti pubblici.
Sia nel caso in cui l’amministrazione opti per la scelta dei 5 operatori da consultare attraverso indagini di mercato, sia nel caso in cui opti per tale scelta, attingendo ai propri elenchi, deve rispettare i principi di trasparenza, rotazione e parità di trattamento, e perciò invitare ai cottimi successivi soggetti diversi da quelli invitati al cottimo precedente.
Si segnala, infine, la disposizione transitoria dell’art. 253, comma 22, che fa salve tutte le norme attuative dei lavori in economia, contenute nel D.P.R. n. 554/1999 (art. 88 ed art. da 142 a 148), non derogati dalle disposizioni del codice.
21. Le concessioni di lavori pubblici (omissis)
Parte III: La disciplina dei settori speciali (omissis)
Premessa
1. Ambito di applicazione (omissis)
2. Soglie (art. 215)
3. Esclusioni
4. Procedure di gara
5. Pubblicità
6. Qualificazione
7. Appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria
8. Normativa comune ai settori ordinari
9. Esecuzione dei lavori
Parte IV: Contenzioso
1. Accordo bonario e transazione come mezzo di risoluzione delle riserve
Sostanzialmente invariata è rimasta la disciplina dell’accordo bonario, trasfusa nell’art. 240 del codice, in base alla quale, qualora l’importo delle riserve formulate dall’appaltatore sui documenti contabili ecceda il 10% dell’importo dell’appalto, il responsabile del procedimento, su impulso del direttore dei lavori, avvia appunto la procedura finalizzata all’eventuale conclusione dell’accordo bonario. Peraltro, viene confermata la disposizione che stabilisce che il responsabile del procedimento debba preliminarmente valutare l’ammissibilità e la non manifesta infondatezza delle riserve, ai fini del raggiungimento del predetto limite del 10%. Ciò sta a significare che, qualora ritenga le riserve anche in parte inammissibili ovvero anche in parte manifestamente infondate (sicché a seguito di tale giudizio non viene raggiunto il valore del 10%), non deve dare luogo all’avvio del procedimento, comunicando tale sua motivata decisione all’appaltatore.
La disposizione, evidentemente, tende a scoraggiare formulazione di riserve strumentali, e cioè avanzate esclusivamente allo scopo di raggiungere l’importo del 10% del valore del contratto, in modo da attivare il procedimento di risoluzione tramite accordo bonario. Il giudizio di inammissibilità riguarda la mancata tempestiva formulazione, e perciò la decadenza dalla pretesa; quello di non manifesta infondatezza concerne, invece, il merito della pretesa stessa e va inteso nel senso che, qualora al responsabile del procedimento, a seguito di una prima sommaria istruttoria, permangano dubbi, tali cioè da non consentirgli di ritenere con certezza infondate le pretese, deve avviare il procedimento.
Come si vede, il procedimento finalizzato all’accordo bonario è caratterizzato nei suoi presupposti da delicate valutazioni e comunque è un procedimento oneroso e complesso. In un’ottica semplificatrice, il codice ha perciò introdotto una disposizione, e cioè l’art. 239, che consente alle amministrazioni di definire transattivamente le questioni oggetto di riserve, anche al di fuori dei casi in cui è previsto il procedimento di accordo bonario. Ciò sta a significare che la soluzione transattiva delle controversie è possibile, relativamente a pretese che non raggiungano il 10% dell’importo dell’appalto. Invece, allorché la pretesa raggiunga tale limite ed il responsabile del procedimento non esprima, come sopra detto, una valutazione pregiudiziale di inammissibilità o manifesta infondatezza, ha senz’altro luogo il procedimento di accordo bonario, in quanto, considerata la rilevanza del petitum, lo stesso è articolato in passaggi procedurali e forme decisionali mirate ad assicurare maggiori garanzie, in ordine alla correttezza delle valutazioni, e perciò della definizione della vertenza.
La transazione può avere luogo o su iniziativa dell’impresa, che formula una proposta al riguardo, ovvero su iniziativa dell’amministrazione.
Nel primo caso, la proposta dell’impresa viene esaminata dal competente dirigente dell’amministrazione, il quale, dopo avere acquisito il parere obbligatorio del responsabile del procedimento, sottopone la questione con la propria proposta all’organo deliberante dell’ente appaltante per la decisione definitiva.
Nel secondo caso, il dirigente dell’amministrazione può egli stesso assumere l’iniziativa e, previa audizione dell’impresa, formulare alla stessa una proposta transattiva; naturalmente, in tal caso, la proposta non ha carattere di definitività, in quanto l’accordo transattivo, ove raggiunto, è comunque soggetto ad approvazione da parte dell’organo deliberante dell’ente, salva l’ipotesi (peraltro del tutto remota) che quest’ultimo non abbia espressamente delegato il dirigente a concludere in modo definitivo la transazione, dandogli le direttive del caso.
In ogni caso, e cioè sia quando l’iniziativa venga assunta dall’impresa, sia quando venga assunta dall’amministrazione, allorché l’importo della transazione ecceda l’importo di 100.000 euro, è sempre necessario il preventivo parere dell’avvocatura dell’ente appaltante (e cioè dell’avvocatura dello Stato o della Regione per gli enti che si avvalgono di queste e, negli altri casi, del servizio di avvocatura interna, ove sussista) ovvero, per gli enti che non abbiano alcuna forma istituzionale di avvocatura, del funzionario più alto in grado, competente e responsabile, nell’ambito della struttura organizzativa, della materia del contenzioso.
È da ritenere che il parere sopra detto abbia natura giuridica di parere obbligatorio, ma non vincolante, pur non potendosi disconoscere, sul piano pratico, la sua rilevanza, connessa alla specifica competenza in materia del soggetto che lo emette.
Sul piano sostanziale, va ricordato che la transazione è il contratto con il quale le parti prevengono una lite o pongono fine ad una lite insorta, facendosi reciproche concessioni (art. 1965 cod. civ.). Correlando quest’ultima nozione alla materia de qua, sembra potersi affermare che, a fronte della pretesa formulata dall’impresa con la riserva, l’amministrazione debba formarsi, attraverso i passaggi procedimentali prima detti, un suo convincimento circa l’entità del petitum spettante e, successivamente, in rapporto al margine di dubbio che permanga in ordine alla maggior somma richiesta, tentare la chiusura transattiva ad un importo intermedio, che tenga conto dei possibili rischi connessi ad un contenzioso giurisdizionale e di eventuali altri elementi sensibili per il perseguimento degli interessi della collettività.
Va ricordato che le reciproche concessioni possono riguardare anche rapporti diversi da quello specifico, che ha formato oggetto della pretesa. In base a tale principio, l’amministrazione in luogo del petitum o di parte di esso, potrebbe, ad esempio, concedere un maggior termine di ultimazione, disapplicare la penale, rinunciare a far valere modeste imperfezioni all’opera non incidenti sulla sua funzionalità etc..
Non si può, infine, disconoscere che nella materia in questione, essendo una delle due parti un soggetto pubblico, la soluzione transattiva delle vertenze assume connotati di particolare delicatezza, visto che l’amministrazione non può ad libitum fare concessioni patrimoniali, né rinunciare a suoi diritti. È, perciò, da ritenere che la transazione debba avere alla propria base un’articolata istruttoria, sia sull’an, sia sul quantum e che le concessioni o rinunce dell’amministrazione debbano essere fondate su un ragionevole margine di dubbio, che la inducano a ritenere che un eventuale contenzioso giurisdizionale potrebbe avere esiti maggiormente pregiudizievoli della transazione stessa.
Parte V: Disposizioni di coordinamento, finali e transitorie – abrogazioni
1. Norme transitorie
La disposizione transitoria essenziale è quella contenuta al 1° comma dell’art. 253, in base al quale il codice trova applicazione relativamente alle gare ed ai contratti, i cui bandi siano pubblicati successivamente alla sua entrata in vigore, e perciò successivamente al 1° luglio 2006; relativamente alle ipotesi di gare senza preventiva pubblicazione di bando (esempio: procedura negoziata senza preventiva pubblicazione del bando) viene stabilito che il codice trova applicazione, qualora i relativi inviti siano inviati successivamente al 1° luglio 2006.
Per quanto concerne il nuovo regolamento generale di attuazione del codice e la perdurante vigenza, nelle more dell’approvazione di questo, delle norme di cui al D.P.R. n. 554/1999 e al D.P.R. n. 34/2000, nonché del capitolato generale di appalto di cui al D.M. n. 145/2000 fino all’emanazione del nuovo capitolato generale, si rinvia a quanto detto al paragrafo 2 della parte I.
Diretta applicazione di quanto ora detto è la norma di cui al successivo comma 9, secondo cui, per quanto concerne i requisiti delle associazioni temporanee di imprese e dei consorzi ordinari, fino all’emanazione del nuovo ordinamento, continuano ad avere piena applicazione le disposizioni contenute nei commi da 1 a 7 dell’art. 95 del D.P.R. n. 554/1999e perciò per esempio, per quanto riguarda le associazioni orizzontali, l’esigenza che l’impresa mandataria possegga i requisiti nella misura minima del 40 % e che ciascuna mandante possegga i requisiti nella misura minima del 10%, fermo restando che la somma dei requisiti delle imprese associate copra l’importo a base di gara.
Particolare rilevanza ha sul piano pratico la disposizione di cui al comma 21, che demanda ad un successivo decreto, da emanarsi da parte del Ministro delle infrastrutture d’intesa con l’Autorità di vigilanza, le modalità di verifica della veridicità dei certificati dei lavori pubblici e delle fatture utilizzati ai fini del rilascio delle attestazioni SOA (in relazione ai lavori privati, ai sensi dell’art. 25, comma 5 lettera c) del D.P.R. n. 34/2000) relativamente alle attestazioni rilasciate alle imprese dalle SOA nel periodo intercorso tra il 1° marzo 2000 ed il 1° luglio 2006. La disposizione precisa che, una volta emanato il decreto, la verifica deve essere conclusa entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto stesso. Infine, per quanto la disposizione non sia particolarmente precisa, è da ritenere che tale verifica sia demandata all’Autorità di vigilanza, in quanto istituzionalmente preposta al controllo sull’attività delle SOA.
Per quanto, infine, riguarda norme transitorie particolari riguardanti specifici istituti, se ne è fatto cenno nella presente circolare, trattando di questi ultimi, cui pertanto si fa rinvio (opere a scomputo di urbanizzazione secondaria sotto soglia – comma 8 -; verifica preventiva dell’interesse archeologico – comma 18 -; lavori in economia – comma 22 -; concessioni già assentite alla data del 30 giugno 2002 – comma 25 -).
2. Sospensione di alcuni istituti del codice fino al 1° febbraio 2007 (omissis)
(N.B. tale argomento è trattato in questo Notiziario nell’articolo precedente)
Testo integrale della Circolare Ance
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