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22.11.2012 - lavoro

RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO – LEGGE N. 92/2012- MIINISTERO DEL LAVORO – CONTRATTO DI LAVORO A TERMINE – COMPUTO DEL PERIODO MASSIMO DI TRENTASEI MESI – INTERPELLO N. 32/2012

Il Ministero del Lavoro con l’interpello n. 32 del 19 ottobre 2012, che si pubblica in calce alla presente, ha precisato che, in tema di contratto di lavoro a termine, nel limite dei trentasei mesi vanno computati anche i periodi di somministrazione a tempo determinato.

Rimanendo fermo, comunque, che il periodo massimo di 36 mesi si riferisce esclusivamente ai contratti a tempo determinato (ex art. 5, co. 4bis del D.Lgs. n. 368/2001).

Da ciò ne deriva che, trascorsi i trentasei mesi, si potrà comunque ricorrere alla somministrazione, non essendo quest’ultima soggetta al vincolo di cui sopra.

Il Ministero del Lavoro sottolinea come tale orientamento trovi fondamento anche nella disciplina comunitaria.

Ministero del Lavoro

Roma, 19 ottobre 2012

Interpello n. 32

Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 – L. n. 92/2012 (riforma lavoro) – contratto di lavoro a tempo determinato – computo del periodo massimo di trentasei mesi.

L’Assolavoro ha presentato istanza di interpello al fine di conoscere il parere di questa Direzione generale in ordine alla corretta interpretazione del disposto normativo ex art. 5, comma 4 bis, D.Lgs. n. 368/2001, afferente al computo del periodo massimo di occupazione del lavoratore in caso di successione di più contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti.

In particolare, l’istante chiede se sia possibile per un’azienda utilizzatrice, una volta esaurito il periodo massimo di trentasei mesi consentito dalla legge, far ricorso al contratto di somministrazione a tempo determinato nei confronti del medesimo lavoratore.

In via preliminare, occorre ricordare che prima dell’entrata in vigore della Legge n. 92/2012, l’articolo 5, comma 4 bis, D.Lgs. n. 368/2001 prevedeva che “qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi (…) il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato”.

Rispetto alla previgente disciplina, la nuova formulazione stabilisce che, ai fini del calcolo del periodo massimo di trentasei mesi, “si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi soggetti, ai sensi del comma l bis dell’articolo 1 del presente decreto e del comma 4 dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, inerente alla somministrazione di lavoro a tempo determinato”.

La novella normativa è, principalmente, finalizzata a scongiurare l’elusione della disciplina limitativa. Conseguentemente, come già chiarito da questo Ministero con circ. n. 18/2012, a far data dal 18 luglio u.s. “nel limite dei 36 mesi andranno computati anche i periodi di occupazione – sempre con mansioni equivalenti – formalizzati attraverso una somministrazione a tempo determinato”.

È stato, altresì, chiarito con la citata circolare che il periodo massimo costituisce solo “un limite alla stipulazione di contratti a tempo determinato e non – invece – al ricorso alla somministrazione di lavoro”. Ne deriva che, una volta raggiunti i trentasei mesi, il datore di lavoro potrà ricorrere alla somministrazione a tempo determinato con lo stesso lavoratore.

Del resto, il Legislatore, con la disposizione in esame, ha inciso sulla disciplina regolatrice del contratto a tempo determinato di cui al D.Lgs.n. 368/2001 e non sulla normativa relativa alla somministrazione a tempo determinato di cui al D.Lgs. n. 276/2003; ciò in quanto i due istituti contrattuali rappresentano degli strumenti di flessibilità differenti. È dunque evidente che il Legislatore non ha introdotto ex novo nel nostro ordinamento un limite legale di durata alla somministrazione di lavoro a tempo determinato.

Tale soluzione interpretativa trova peraltro conferma nella diversa disciplina comunitaria posta a fondamento dei due istituti.

La direttiva comunitaria sul lavoro a tempo determinato (1999/70/CE), recepita con il D.Lgs. n. 368/2001, ha imposto agli Stati membri, per prevenire gli abusi “derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”, richiedendo misure restrittive anche alla durata massima dei contratti (clausola 5). La stessa Direttiva, tuttavia, nel preambolo, esclude l’applicabilità dei principi ivi contenuti ai lavoratori a termine “messi a disposizione di un’azienda utilizzatrice da parte di un’agenzia di lavoro interinale”, evidenziando pertanto come alla somministrazione di lavoro non trovino applicazione le restrizioni in argomento.

Inoltre va ricordato che, ai sensi dell’art’art. 22, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003, “in caso di somministrazione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro è soggetto alla disciplina di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, per quanto compatibile, e in ogni caso con esclusione delle disposizioni di cui all’articolo 5, commi 3 e seguenti” (fra cui, pertanto, anche il limite dei trentasei mesi di cui al comma 4 bis dello stesso art. 5).

In materia di somministrazione di lavoro restano comunque ferme le disposizioni limitatrici introdotte dalla contrattazione collettiva.

Alla luce delle considerazioni sopra svolte, in risposta al quesito avanzato, si ritiene dunque che un datore di lavoro, una volta esaurito il periodo massimo di trentasei mesi, possa impiegare il medesimo lavoratore ricorrendo alla somministrazione di lavoro a tempo

determinato.


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