DEROGABILITÀ E INDEROGABILITÀ DEI DISTACCHI
Il chiarimento contenuto nell’ordinanza n. 24827/2020 della Corte di cassazione ha ribadito che le distanze fra costruzioni previste dal piano regolatore generale o dal regolamento edilizio comunale non sono derogabili dai privati, a differenza di quelle stabilite dal codice civile. In caso contrario, le clausole pattizie sono invalide con conseguente risarcimento del danno e obbligo di demolizione del manufatto illecitamente costruito.
Alla base della decisione della Suprema Corte, la differente finalità delle distanze imposte dal codice civile e dal Prg.
Il caso in esame e la relativa ordinanza ha risolto definitivamente un contenzioso fra il comune e alcuni proprietari autori della sopraelevazione di un edificio a distanza inferiore rispetto a quella fissata dall’ordinamento comunale.
Le distanze intese dal codice civile riflettono l’esigenza di tutelare interessi privatistici dei confinanti e, dunque, con il loro accordo sono derogabili in virtù dell’autonomia contrattuale in base articolo 1322, comma 2 del codice civile.
Quelle degli strumenti urbanistici comunali, invece, sono imposte a tutela di interessi superiori e generali, quali la salubrità dell’ambiente, la tutela della salute e un ordinato assetto urbanistico e decoro urbano e, per questo, non sono derogabili dai privati con convenzioni stipulate fra loro.
Proprio perché deve essere garantita la tutela di interessi che travalicano quelli dei proprietari confinanti, per queste ultime l’ordinamento giuridico ha scelto di non lasciarle in balia di accordi derogatori.
Ne consegue che, il soggetto che ha subìto un danno per la violazione della distanza minima fra costruzioni da parte del proprietario del fondo confinante può esercitare in giudizio sia l’azione ripristinatoria sia quella risarcitoria.
Le due azioni coesistono tanto in ipotesi di violazione delle norme codicistiche quanto di quelle pubblicistiche degli strumenti urbanistici locali, a prescindere dalla consistenza della violazione.
Con l’unica differenza che nella prima delle due azioni va provato il danno nella sua effettiva consistenza, mentre nella seconda il diritto alla demolizione deriva automaticamente dall’accertamento della violazione, a prescindere sia dall’esistenza o entità del danno sia dell’intervenuto ordine del Comune di demolire il manufatto.
Il medesimo principio è valido in caso di violazione delle distanze minime dai confini.
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