LE DISTANZE TRA EDIFICI NON SI MISURANO IN MODO RADIALE MA IN MODO LINEARE
Corte di Cassazione, sentenza n. 10580/2019 (commento a cura del geom. Antonio Gnecchi)
Le distanze tra edifici non si misurano in modo radiale come avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare. Lo scopo del limite imposto dall’art. 873 c.c. è di impedire la formazione di intercapedini nocive. Lo ha ribadito la seconda sezione civile della Corte di cassazione nella sentenza pubblicata il 16 aprile. In questa recente sentenza viene richiamato un consolidato orientamento della Cassazione, secondo cui “le distanze tra edifici non si misurano in modo radiale come avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare; anzitutto lo scopo del limite imposto dall’art 873 c.c. è quello di impedire la formazione di intercapedini nocive, sicché la norma cennata non trova giustificazione se non nel caso che i due fabbricati, sorgenti da bande opposte rispetto alla linea di confine, si fronteggino, anche in minima parte, nel senso che, supponendo fi farle avanzare verso il confine in linea retta, si incontrino almeno in un punto “ (così Cass. 2548/1972, più di recente cfr. Cass. 9649/2016). Ai Comuni, pertanto, è sì consentito, ai sensi dell’art. 873 c.p.c., stabilire negli strumenti urbanistici distanze maggiori, ma non alterare il metodo di calcolo lineare.
La Cassazione non fa altro che confermare quanto abbiamo sostenuto in occasione del nuovo REC, in relazione ai requisiti generali delle opere edilizie, ed in particolare ai limiti inderogabili di distanza tra i fabbricati (e dai confini).
La Regione Lombardia, in sede di recepimento del RET e la divulgazione dello schema tipo di cui alla DGR 24 ottobre 2018, n. XI/695, aveva sostenuto che la distanza tra fabbricati si doveva misurare a raggio.
Era, invece, nostro parere che tale distanza dovesse essere misurata perpendicolarmente al prolungamento delle pareti “finestrate” di edifici che si fronteggiano.
Tale principio è stato sostenuto da una corretta interpretazione dell’art. 873 del Codice civile, che demandava la norma agli strumenti urbanistici locali. Questi ultimi, a loro volta, prevedevano le distanze ai sensi dell’art. 9 del DM n. 1444 del 1968, stabilendo la distanza minima tra edifici come sopra specificato. La sentenza richiama il consolidato orientamento della Cassazione in tal senso, per cui i PGT, attraverso le NTA del PdR, dovranno adeguarsi a questo principio, anche nel caso dovessero stabilire distanze maggiori come consente il DM 1444, ma non possono però modificare questo sistema di calcolo.
Sarà possibile, invero, disapplicare la misura radiale (ovvero a raggio), qualora le norme del PGT stabilissero questo sistema di calcolo. Alla stessa stregua, sebbene nel nostro REC non sono previste norme igienico edilizie di questo genere, concernenti indici o parametri di natura edilizia o urbanistica, la sentenza dalla Cassazione n. 10580/2019 (ultima in ordine di tempo) pone un punto fermo sulla questione obbligando i comuni ad attenersi a questo metodo di calcolo nella definizione e nella verifica della distanza tra edifici all’interno dei propri strumenti urbanistici, da inserire nelle successive varianti o revisioni.
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