LAVORI PUBBLICI – POTERE DISCREZIONALE DI DISAMINA E VALUTAZIONE IN CAPO ALLA STAZIONE APPALTANTE DEI REATI CHE INCIDONO SULLA MORALITA’ PROFESSIONALE DEI PARTECIPANTI
LAVORI PUBBLICI – POTERE DISCREZIONALE DI DISAMINA E VALUTAZIONE IN CAPO ALLA STAZIONE APPALTANTE DEI REATI CHE INCIDONO SULLA MORALITA’ PROFESSIONALE DEI PARTECIPANTI LAVORI PUBBLICI – POTERE DISCREZIONALE DI DISAMINA E VALUTAZIONE IN CAPO ALLA STAZIONE APPALTANTE DEI REATI CHE INCIDONO SULLA MORALITA’ PROFESSIONALE DEI PARTECIPANTI
(Consiglio di Stato, Sezione V del 31 gennaio 2006, n. 349)
La disposizione dell’articolo 75 del D.P.R. 554/99 recante Cause di esclusione dalle gare di appalto per l’esecuzione di lavori pubblici, come correttamente osservato dall’Autorità per la Vigilanza sui lavori Pubblici nella Determinazione n.16/23 del 5 dicembre 2001, è molto più articolata e complessa di quella utilizzata ai fini della qualificazione delle imprese, che fa riferimento soltanto ad inesistenza di sentenze definitive di condanna passate in giudicato ovvero di sentenze di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale a carico del titolare, del legale rappresentante, dell’amministratore o del direttore tecnico per reati che incidono sulla moralità professionale (art. 17, comma 1, lett.c), del D.P.R. 34/2000).
Per il Consiglio di Stato, sezione IV il 18 maggio 2004 con sentenza n. 3185, con riferimento all’art. 12 D.L.vo 17 marzo 1995 n. 157, ma con argomentazioni estensibili al disposto dell’art. 75 D.P.R. n. 554/1999, che la lett. b) di detto art. 12 – secondo cui sono esclusi dalla partecipazione alla gara i concorrenti nei cui confronti sia stata emessa sentenza di condanna passata in giudicato ovvero sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., per qualsiasi reato che incide sulla loro moralità professionale o per delitti finanziari – per il modo in cui è formulata, che collega l’esclusione alla generalità delle trasgressioni che incidono sulla moralità professionale o ai delitti finanziari, è qualificante la commissione di reati di una certa natura sotto l’aspetto sostanziale, nel senso che si è voluto evitare l’affidamento del servizio a coloro che abbiano commesso reati lesivi degli stessi interessi collettivi che, nelle veste di aggiudicatari, sarebbero chiamati a tutelare (cfr. altresì Cons. Stato, sez. V, 27/03/2000, n. 1770).
La mancanza di parametri fissi e predeterminati e la genericità della prescrizione normativa lascia un ampio spazio di valutazione discrezionale alla stazione appaltante, e consente alla stessa margini di flessibilità operativa al fine di un equo apprezzamento delle singole concrete fattispecie, con considerazione di tutti gli elementi delle stesse che possono incidere sulla fiducia contrattuale, quali, a titolo esemplificativo, l’elemento psicologico, la gravità del fatto, il tempo trascorso dalla condanna, le eventuali recidive et similia.
E’ chiaro, infatti, che la norma attribuisce, in mancanza di apposita specificazione delle norme di parte speciale, un ampio margine di apprezzamento alle amministrazioni appaltanti, cui spetta decidere quali imprese escludere dalle procedure di affidamento degli appalti, in conseguenza di fatti costituenti reato (anche di non rilevante entità, come dimostra il richiamo all’istituto dell’applicazione della pena su richiesta) che siano da esse ritenuti indici di inaffidabilità morale o professionale; deve essere condiviso, infatti, il rilievo in base al quale il concetto di (im)moralità professionale presuppone la realizzazione di un fatto di reato idoneo a manifestare una radicale e sicura contraddizione coi principi deontologici della professione.
Invero, la stessa indeterminatezza dei concetti di affidabilità morale e professionale a cui è legato l’effetto espulsivo comporta necessariamente l’esercizio, da parte dell’Amministrazione aggiudicante, di un potere discrezionale di valutazione dei reati ascritti agli interessati. Ciò tanto più se si considera che, nell’ipotesi di cui all’art. 444 c.p.p., l’applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento) non comporta necessariamente l’affermazione della responsabilità del reo. Nello stesso senso deve essere interpretato l’art. 24, comma 1, lett. c) della Direttiva 93/37/CEE il quale fa riferimento a qualsiasi reato che incida sulla sua moralità professionale. Da ciò consegue, altresì, che non è sufficiente l’accertamento in capo al soggetto interessato di una condanna penale, giacché il dettato normativo richiede una concreta valutazione da parte dell’amministrazione rivolta alla verifica, attraverso un apprezzamento discrezionale che deve essere adeguatamente motivato, dell’incidenza della condanna sul vincolo fiduciario da instaurare attraverso il contratto con l’Amministrazione stessa, senza che tale apprezzamento possa ritenersi compiuto per implicito attraverso la semplice enunciazione delle fattispecie di reato alle quali si riferisce la condanna.
Inoltre, quando si deve valutare l’affidabilità o la moralità professionale di un soggetto non può prescindersi anche dalla considerazione della sua professionalità per come nel tempo si è manifestata.
Ne discende, pertanto, che i margini di insindacabilità attribuiti all’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione appaltante di valutare una condanna penale, ai fini dell’esclusione di un concorrente da una gara d’appalto, non consentono, comunque, al pubblico committente di prescindere dal dare contezza di avere effettuato la suddetta disamina e dal rendere conoscibili gli elementi posti alla base dell’eventuale definitiva determinazione espulsiva (Cons. Stato, sez. V, 28 aprile 2003, n. 2129).
E’, peraltro, corretto sostenere che ciò debba avvenire avendo riguardo al tipo di rapporto che con un determinato soggetto deve essere instaurato, alla gravità del reato in relazione alla tipologia del rapporto ed alle condizioni che in concreto inducono a ritenere che un vincolo contrattuale con quel soggetto non debba essere costituito.
Detto diversamente, l’esercizio della predetta potestà dev’essere motivato e, siccome la motivazione, ai sensi dell’art. 3 della Legge 7.8.1990, n. 241, è fondata sulle risultanze dell’istruttoria, cioè su un accertamento di fatto concreto, dette valutazioni non andranno espresse su categorie astratte di reati, ma tenendo conto delle circostanze in cui un reato è stato commesso, per dedurne un giudizio di affidabilità o inaffidabilità.
La norma perciò non richiede apprezzamenti assoluti del tipo la commissione di tale reato è (o non è) indice di inaffidabilità morale o professionale, ma un’accurata indagine sul singolo fatto, giudicato come costituente reato, su cui si fonderà il giudizio, richiesto all’amministrazione.
. . . omissis. . .
FATTO
Con sentenza del TAR della Basilicata n. 806/2004, veniva accolto il ricorso (iscritto al nr. 233/2004 R.G.) proposto dalla ditta C.P. di S.D. per l’annullamento della mancata aggiudicazione definitiva dei lavori di ristrutturazione e adeguamento del convento dei Cappuccini; del verbale di riesame della gara, redatto dalla commissione in data 23 aprile 2004, a mezzo del quale la commissione ha escluso la ricorrente in primo grado, pervenendo all’aggiudicazione provvisoria dei lavori a favore di una diversa impresa; di ogni ulteriore atto connesso, conseguente e/o consequenziale comunque lesivo degli interessi della ricorrente, ivi compreso il parere dell’avv. Malta (gravato altresì con ricorso per motivi aggiunti) trasmesso all’Amministrazione con nota del 10 febbraio 2004 e meramente richiamato nel provvedimento che ha disposto la mancata aggiudicazione definitiva dei lavori; del provvedimento (gravato con ricorso per motivi aggiunti) di aggiudicazione definitiva dei lavori ad altra impresa (CT.); è stata, invece, respinta l’istanza per il risarcimento dei danni subiti e subendi dalla ricorrente di primo grado.
La sentenza è stata appellata dal Comune di G.N. che contrasta le argomentazioni del giudice di primo grado.
La ditta C.P. di S.D. si è costituita per resistere all’appello.
La CT. non si è costituita in giudizio.
Alla pubblica udienza del 21 giugno 2005, il ricorso veniva trattenuto per la decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato e deve essere respinto.
1. La C.P. di S.D. ha partecipato alla gara, bandita dal Comune di G.N., per i lavori di ristrutturazione e adeguamento del Convento dei Cappuccini. La compagine sociale risultava aggiudicataria, in via provvisoria, della gara con il ribasso del 18,18%. Tuttavia, con il provvedimento gravato in primo grado l’Amministrazione ha escluso di poter procedere alla definitiva aggiudicazione in suo favore dell’appalto perché, in occasione della verifica dei requisiti relativi alla moralità professionale di cui all’art. 75 D.P.R. n. 554 del 1999, ha ritenuto che la condanna con sentenza patteggiata del rappresentante della capogruppo Co.Proget per il reato di cui all’art. 51, primo comma, lett. a), D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22 (per aver raccolto e trasportato rifiuti di materiali inerti da demolizione edile su terreno di proprietà di soggetto committente di lavori edilizi) fosse ostativa all’aggiudicazione della gara (sentenza la cui esistenza era stata peraltro dichiarata dalla ricorrente). Ha conseguentemente disposto l’esclusione dell’A.T.I. C.P. di S.D. dalla procedura e, sulla base della nuova media delle offerte, ha aggiudicato la gara alla ditta CT. .
2. In primo luogo deve essere chiarito che erra l’appellante allorché afferma che il Giudice di primo grado non si è pronunciato sull’eccezione riguardante l’omessa impugnazione da parte della ditta C.P. di S.D. della clausola (a dire dell’amministrazione comunale) immediatamente lesiva racchiusa nel disciplinare di gara. Risulta, invece, che il Giudice di primo grado, con percorso motivazionale immune da vizi e pienamente condivisibile, ha ritenuto priva di pregio l’eccezione di inammissibilità atteso che il disciplinare richiedeva di dichiarare, a pena di esclusione, di non trovarsi nelle condizioni previste dall’art. 75, primo comma, lett. a), b), c), d), e), f), g), h) D.P.R. n. 554/1999. Con la dichiarazione resa in data 18 dicembre 2003 la ricorrente affermò di non trovarsi nelle condizioni previste dall’art. 75, primo comma, lett. a), b), c), d), e), f), g), h) D.P.R. n. 554/1999 pur avendo riportato una condanna penale ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., non ritenendo che il reato commesso avesse inciso sull’affidabilità morale e professionale. La C.P. non doveva quindi impugnare in parte qua il bando non essendo questo, a suo avviso (e a causa dell’indeterminatezza della clausola normativa in esame), ostativo alla partecipazione alla gara, preclusa solo alle ditte che avessero commesso reati incidenti sull’affidabilità morale e professionale
3. E’ necessario, a questo punto, richiamare l’indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato secondo il quale (per una recente applicazione cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2005 n. 32) in sede di gara per l’aggiudicazione dei contratti con la Pubblica Amministrazione la stazione appaltante è tenuta ad applicare in modo incondizionato le clausole inserite nella lex specialis in ordine ai requisiti di partecipazione, ovvero le cause di esclusione dalla gara. Ed invero, solo la puntuale osservanza delle prescrizioni del bando o della lettera di invito, ancorchè le stesse siano ulteriori rispetto a quelle previste dalle leggi di settore, ma pur sempre ricollegabili in via diretta all’interesse pubblico da perseguire, è idonea a consentire l’uniformità di regole nei confronti di tutti i partecipanti alle gare per la stipula dei contratti con la Pubblica Amministrazione.
Invero, il formalismo che caratterizza la disciplina delle procedure di gara o di concorso risponde, da un lato, ad esigenze pratiche di certezza e celerità, dall’altro, e soprattutto, alla necessità di garantire l’imparzialità dell’azione amministrativa e la parità di condizioni tra i concorrenti. Soltanto nel varco aperto da un’equivoca formulazione della lettera di invito o del bando di gara può esservi spazio per un’interpretazione che consenta la più ampia ammissione degli aspiranti. Pertanto, l’Amministrazione è tenuta al rispetto della normativa alla quale si è essa stessa autovincolata, per avere emanato il bando di gara sulla convinzione della idoneità delle stesse prescrizioni a perseguire la finalità della migliore scelta possibile del contraente in relazione all’oggetto dell’appalto. Del resto la rigorosa previsione delle clausole in ordine al possesso dei requisiti per la partecipazione ai pubblici appalti è controbilanciata dall’interesse della stessa Pubblica Amministrazione a circoscrivere la gara alle sole imprese munite dei necessari presupposti funzionali all’esecuzione delle obbligazioni contrattuali.
Merita di essere ricordato, quanto alla gara oggetto di impugnativa, che non viene in rilievo il profilo della puntuale osservanza delle prescrizioni della lex specialis nella prospettazione offerta dall’odierno appellante. Infatti, come sarà fra breve precisato, anche la (doverosa) applicazione delle regole che disciplinano le procedure comparative di offerenti o di concorrenti richiede, a fronte di concetti giuridici indeterminati (quali quelli che ci occupano), l’esternazione della motivazione (con particolare riferimento all’iter logico – giuridico seguito dall’Amministrazione) che sorregge la scelta compiuta.
4. Ciò premesso, merita di essere ricordato che l’articolo 75 (Cause di esclusione dalle gare di appalto per l’esecuzione di lavori pubblici) del Decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554 – Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni prevede che (comma 1) sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento degli appalti e delle concessioni e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: [
] c) nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, oppure di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati che incidono sull’affidabilità morale e professionale; il divieto opera se la sentenza è stata emessa nei confronti del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; del socio o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo o in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico se si tratta di altro tipo di società o consorzio. In ogni caso il divieto opera anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l’impresa non dimostri di aver adottato atti o misure di completa dissociazione della condotta penalmente sanzionata [
].
Tale disposizione, come correttamente osservato dall’Autorità per la Vigilanza sui lavori Pubblici nella Determinazione n. 16/23 del 5 dicembre 2001, è molto più articolata e complessa di quella utilizzata ai fini della qualificazione delle imprese, che fa riferimento soltanto ad inesistenza di sentenze definitive di condanna passate in giudicato ovvero di sentenze di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale a carico del titolare, del legale rappresentante, dell’amministratore o del direttore tecnico per reati che incidono sulla moralità professionale (art. 17, comma 1, lett. c), del D.P.R. 34/2000).
Questo Consesso ha di recente chiarito (Consiglio di Stato, IV, 18 maggio 2004 n. 3185), con riferimento all’art. 12 D.L.vo 17 marzo 1995 n. 157, ma con argomentazioni estensibili al disposto dell’art. 75 D.P.R. n. 554/1999, che la lett. b) di detto art. 12 – secondo cui sono esclusi dalla partecipazione alla gara i concorrenti nei cui confronti sia stata emessa sentenza di condanna passata in giudicato ovvero sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., per qualsiasi reato che incide sulla loro moralità professionale o per delitti finanziari – per il modo in cui è formulata, che collega l’esclusione alla generalità delle trasgressioni che incidono sulla moralità professionale o ai delitti finanziari, sta a significare che nella considerazione del Legislatore è qualificante la commissione di reati di una certa natura sotto l’aspetto sostanziale, nel senso che si è voluto evitare l’affidamento del servizio a coloro che abbiano commesso reati lesivi degli stessi interessi collettivi che, nelle veste di aggiudicatari, sarebbero chiamati a tutelare (cfr. altresì Cons. Stato, sez. V, 27/03/2000, n. 1770).
Orbene, la mancanza di parametri fissi e predeterminati e la genericità della prescrizione normativa lascia un ampio spazio di valutazione discrezionale alla stazione appaltante, e consente alla stessa margini di flessibilità operativa al fine di un equo apprezzamento delle singole concrete fattispecie, con considerazione di tutti gli elementi delle stesse che possono incidere sulla fiducia contrattuale, quali, a titolo esemplificativo, l’elemento psicologico, la gravità del fatto, il tempo trascorso dalla condanna, le eventuali recidive et similia.
E’ chiaro, infatti, che la norma attribuisce, in mancanza di apposita specificazione delle norme incriminatici di parte speciale, un ampio margine di apprezzamento alle amministrazioni appaltanti, cui spetta decidere quali imprese escludere dalle procedure di affidamento degli appalti, in conseguenza di fatti costituenti reato (anche di non rilevante entità, come dimostra il richiamo all’istituto dell’applicazione della pena su richiesta) che siano da esse ritenuti indici di inaffidabilità morale o professionale; deve essere condiviso, infatti, il rilievo in base al quale il concetto di (im)moralità professionale presuppone la realizzazione di un fatto di reato idoneo a manifestare una radicale e sicura contraddizione coi principi deontologici della professione (Cons. Stato, sez. V, 01/03/2003, n. 1145; Cons. Stato, sez. V, 25/11/2002, n. 6482; Cons. Stato, sez. V, 18/10/2001, n. 5517, che ha ritenuto legittima la scelta dell’amministrazione appaltante di non escludere da una gara d’appalto il concorrente condannato con decreto penale per un reato contravvenzionale omissivo e di pericolo, a struttura normalmente colposa, quale quello previsto dall’art. 677 c.p. – omissioni di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina – ove dalla condotta per la quale è stato condannato non emergano elementi particolarmente sintomatici di una scarsa moralità professionale).
Invero, la stessa indeterminatezza dei concetti di affidabilità morale e professionale a cui è legato l’effetto espulsivo comporta necessariamente l’esercizio, da parte dell’Amministrazione aggiudicante, di un potere discrezionale di valutazione dei reati ascritti agli interessati. Ciò tanto più se si considera che, nell’ipotesi di cui all’art. 444 c.p.p., l’applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento) non comporta necessariamente l’affermazione della responsabilità del reo.
Nello stesso senso deve essere interpretato l’art. 24, comma 1, lett. c) della Direttiva 93/37/CEE il quale fa riferimento a qualsiasi reato che incida sulla sua moralità professionale.
Da ciò consegue, altresì, che non è sufficiente l’accertamento in capo al soggetto interessato di una condanna penale, giacché il dettato normativo richiede una concreta valutazione da parte dell’amministrazione rivolta alla verifica, attraverso un apprezzamento discrezionale che deve essere adeguatamente motivato, dell’incidenza della condanna sul vincolo fiduciario da instaurare attraverso il contratto con l’Amministrazione stessa, senza che tale apprezzamento possa ritenersi compiuto per implicito attraverso la semplice enunciazione delle fattispecie di reato alle quali si riferisce la condanna. Inoltre, quando si deve valutare l’affidabilità o la moralità professionale di un soggetto non può prescindersi anche dalla considerazione della sua professionalità per come nel tempo si è manifestata. Ne discende, pertanto, che i margini di insindacabilità attribuiti all’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione appaltante di valutare una condanna penale, ai fini dell’esclusione di un concorrente da una gara d’appalto, non consentono, comunque, al pubblico committente di prescindere dal dare contezza di avere effettuato la suddetta disamina e dal rendere conoscibili gli elementi posti alla base dell’eventuale definitiva determinazione espulsiva (Cons. Stato, sez. V, 28 aprile 2003, n. 2129).
E’, peraltro, corretto sostenere che ciò debba avvenire avendo riguardo al tipo di rapporto che con un determinato soggetto deve essere instaurato, alla gravità del reato in relazione alla tipologia del rapporto ed alle condizioni che in concreto inducono a ritenere che un vincolo contrattuale con quel soggetto non debba essere costituito. Detto diversamente, l’esercizio della predetta potestà dev’essere motivato e, siccome la motivazione, ai sensi dell’art. 3 della Legge 7.8.1990, n. 241, è fondata sulle risultanze dell’istruttoria, cioè su un accertamento di fatto concreto, dette valutazioni non andranno espresse su categorie astratte di reati, ma tenendo conto delle circostanze in cui un reato è stato commesso, per dedurne un giudizio di affidabilità o inaffidabilità. La norma perciò non richiede apprezzamenti assoluti del tipo la commissione di tale reato è (o non è) indice di inaffidabilità morale o professionale, ma un’accurata indagine sul singolo fatto, giudicato come costituente reato, su cui si fonderà il giudizio, richiesto all’amministrazione.
In tale senso già si era pronunciata la giurisprudenza, sia pure con riferimento alla normativa pregressa di analogo tenore (art. 13 l. 8 agosto 1977 n. 584, modificato dall’art. 27 l. 3 gennaio 1978 n. 1), affermando la necessità, ai fini dell’esclusione da una gara di appalto, di una discrezionale valutazione dell’Amministrazione, insindacabile in sede giudiziale se non mediante la dimostrazione della sussistenza di vizi logici ovvero dell’erronea rappresentazione dei fatti, in ordine alla rilevanza di una condanna penale, subita dall’imprenditore partecipante alla gara stessa (Cons. Stato, sez. VI, 30 gennaio 1998, n. 125).
Ne consegue che, nel caso di specie e come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, l’amministrazione appellante (alla quale era demandato il compito di apprezzare se eventuali condanne potessero implicare un vulnus alla moralità professionale del soggetto partecipante alla gara), oltre ad indicare la condanna subita dal legale rappresentante della società ricorrente in primo grado, avrebbe dovuto, esercitando il ridetto potere discrezionale conferitole dalla legge, espressamente valutare l’incidenza in concreto della condanna medesima sul piano dell’affidamento morale e professionale dell’impresa interessata (attraverso la disamina di alcuni rilevanti connotati concreti della fattispecie penale chiamata in causa) e solo nel caso di un esito negativo di tale esame, procedere all’esclusione della società.
In considerazione dei tratti distintivi della fattispecie in esame, dunque, non risulta legittima l’esclusione senza che sia stata data adeguata contezza di un (previo prudente) apprezzamento delle ragioni che, nel concreto, precludevano l’eventuale affidamento del servizio in ragione del precedente penale.
5. La sentenza gravata merita conferma anche nella parte in cui ha rigettato l’istanza risarcitoria proposta dalla ricorrente in primo grado e riproposta in sede d’appello.
Il Giudice di primo grado osservò correttamente che non era in quel momento prevedibile l’esito del riesame della posizione della concorrente da parte della stazione appaltante
Inoltre, costituisce ius receptum il principio secondo il quale la domanda risarcitoria non sostenuta dalle allegazioni necessarie all’accertamento della responsabilità dell’amministrazione risulta proposta in modo generico e, quindi, va respinta; grava, infatti, sul danneggiato l’onere di provare, ai sensi dell’art. 2697 c.c., tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito (Cons. Stato, Sez. V, 25/01/2002, n. 416; Cons. Stato, Sez. V, 06/08/2001, n. 4239; Cons. Stato, Sez.V, 19 Aprile 2005, n. 1792). Invero, il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica dell’annullamento giurisdizionale ma richiede la positiva verifica di tutti i requisiti previsti dalla legge: oltre alla lesione della situazione soggettiva d’interesse tutelata dall’ordinamento, è indispensabile che sia accertata la colpa dell’amministrazione, e l’esistenza di un danno al patrimonio e che sussista un nesso causale tra la condotta lesiva ed il danno subito
Nel caso in esame, la richiesta risarcitoria non è stata giustificata nè accompagnata da elementi probatori dell’indicazione del danno asseritamente subito: la mancanza della necessaria dimostrazione del danno non consente, dunque, di accogliere la domanda.
Per le ragioni esposte il ricorso deve quindi essere respinto con la conseguente conferma della sentenza impugnata.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione V) rigetta l’appello in epigrafe e per l’effetto conferma la sentenza impugnata
Compensa le spese. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 21 giugno 2005.
ANCE Brescia - Riproduzione e utilizzazione riservata ai sensi dell’art. 65 della Legge n. 633/1941