22.03.2006 - lavori pubblici

LAVORI PUBBLICI – L’IMPRESA NON HA DIRITTO DI VISIONARE LA RELAZIONE RISERVATA DEL COLLAUDATORE

LAVORI PUBBLICI – L’IMPRESA NON HA DIRITTO DI VISIONARE LA RELAZIONE RISERVATA DEL COLLAUDATORE LAVORI PUBBLICI – L’IMPRESA NON HA DIRITTO DI VISIONARE LA RELAZIONE RISERVATA DEL COLLAUDATORE
(Consiglio di Stato, Sezione V del 26 aprile 2005, n. 1916)

In tema di sottrazione all’accesso delle relazioni riservate del direttore dei lavori e del collaudatore, non è configurabile l’inapplicabilità dell’art. 10 d.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554, in forza delle norme transitorie contenute nell’art. 232 dello stesso decreto, in quanto non vi è soluzione di continuità tra le norme anteriori che statuivano la segretezza o riservatezza delle relazioni del collaudatore e del direttore dei lavori ed il regolamento del 1999.

FATTO
Il comune di B. e la società N. & Figli (d’a in poi: appaltatrice) avevano concluso un contratto d’appalto per l’ampliamento della casa comunale, e l’appaltatrice nel corso dell’esecuzione dell’opera aveva formulato riserve sulle decisioni del direttore dei lavori, secondo la procedura prevista dalle norme sui lavori pubblici. L’appaltatrice con domanda del 27 aprile 2004 ha chiesto l’accesso alle relazioni riservate redatte dal direttore dei lavori e dal collaudatore sulle riserve, e il sindaco di B., con atto 21 maggio 2004 n. 6789, mentre ha inviato copia dell’atto di collaudo e della relativa approvazione, ha negato l’ostensione delle relazioni riservate, perché espressamente sottratte all’accesso dall’articolo 10 del regolamento sui lavori pubblici emanato con decreto del presidente della repubblica 21 dicembre 1999 n. 554.
L’appaltatrice con ricorso al tribunale amministrativo regionale per l’Umbria notificato il 22 giugno 2004 ha sostenuto che il regolamento non si applica al contratto in questione, concluso prima dell’entrata in vigore del regolamento, e che si applica invece l’articolo 100 del regolamento emanato con regio decreto 25 maggio 1895 n. 350 e richiamato nel capitolato speciale d’appalto; non però, nella parte in cui prevede la relazione come segreta, che è recessiva rispetto ai princìpi sull’accesso agli atti amministrativi stabiliti dalla legge 7 agosto 1990 n. 241; ha chiesto, in ogni caso, la disapplicazione dell’articolo 10 del regolamento del 1999.
L’impiegato comunale designato come responsabile del procedimento (di accesso) con lettera 30 giugno 2004 n. 8745 indirizzata al legale dell’appaltatrice ha confermato il diniego d’accesso, motivandolo con ampie considerazioni giuridiche. L’appaltatrice, con atto contenente motivi aggiunti notificato il 20 luglio 2004, ha impugnato anche questo secondo diniego, confutandone la motivazione.
Il tribunale amministrativo regionale con la sentenza indicata in epigrafe ha accolto il ricorso, osservando che l’articolo 10 del regolamento del 1999 trova fondamento nell’aggettivo “riservata” con cui l’articolo 31-bis della legge n. 109 del 1994 qualifica la relazione, e che tale fondamento è venuto meno con la legge 1 agosto 2002 n. 166, che, modificando il suddetto articolo 31-bis, non prevede più la qualifica di “riservata”.
Appella il comune di B., deducendo, con ampie argomentazioni, che la decisione del tribunale amministrativo contrasta con gli articoli 31-bis della legge n. 109 del 1994 e 10 del regolamento del 1999
L’appaltatrice, costituitasi in giudizio, sostiene che l’applicabilità dell’articolo 10 del regolamento del 1999 è preclusa dalla norma transitoria contenuta nell’articolo 232, comma 4, del regolamento medesimo («… le norme del regolamento diverse da quelle da quelle di cui ai commi 1, 2, 3 non si applicano alle situazioni definite o esaurita sotto la disciplina precedentemente vigente»), dal momento che la controversia sull’esecuzione dell’appalto non era definita alla data di entrata in vigore del regolamento.

DIRITTO
Come si è detto nell’esposizione dei fatti di causa, l’articolo 10 del regolamento sui lavori pubblici emanato con decreto del presidente della repubblica 21 dicembre 1999 n. 554, di esecuzione della legge 11 febbraio 1994 n. 109 sui lavori pubblici, sottrae all’accesso le relazioni riservate del direttore dei lavori e del collaudatore, e non c’è ragione per cui la norma non debba essere applicata (vedasi, sul punto, la decisione di questa sezione 14 aprile 2004 n. 2163). La circostanza, posta dal primo giudice a fondamento della domanda d’accesso, che l’articolo 31 della legge n. 109 del 1994 nel testo modificato dalla legge 1 agosto 2002 n. 166 non rechi più l’aggettivo “riservata” che qualificava la relazione, a giudizio del Collegio è insignificante, sia perché è ben chiaro a quali documenti si riferisce l’articolo 10 del regolamento, sia perché il collaudo delle opere pubbliche è ancora disciplinato dall’articolo 100 del regio decreto 25 maggio 1895 n. 350, che definisce “segreta” la relazione del collaudatore. D’altra parte, com’è stato osservato nella decisione 17 settembre 2003 n. 5285 della sesta sezione, il divieto sancito dall’articolo 10 del regolamento citato è conforme all’articolo 24, comma 1, della legge 7 agosto 1990 n. 241, che fa salvi dal diritto d’accesso i «casi di segreto o di divieto di divulgazione … previsti dall’ordinamento»; inoltre la segretezza della relazione di collaudo, sancita dall’articolo 100 del regolamento del 1895, è fatta salva dal comma 5 dell’articolo 24 della legge n. 241 del 1994, secondo cui resta ferma «ogni altra disposizione attualmente vigente che limiti l’accesso a documenti amministrativi».
La questione prospettata dalla società resistente, d’inapplicabilità dell’articolo 10 del regolamento in forza delle norme transitorie contenute nell’articolo 232 del regolamento medesimo, non si pone, non essendovi soluzione di continuità tra le norme anteriori che statuivano la segretezza o riservatezza delle relazioni del collaudatore e del direttore dei lavori (secondo la stessa sentenza impugnata, la legge n. 109 del 1994 nel testo in vigore fino al 2002) e il regolamento del 1999.
L’appello, in conclusione, è fondato e va accolto. La relativa novità della questione costituisce giusto motivo per compensare le spese di giudizio dei due gradi.


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