LA QUALIFICAZIONE TECNICO-GIURIDICA DEGLI INTERVENTI EDILIZI
(A cura del Geom. Antonio Gnecchi)
Approfondimento della nozione di qualificazione tecnico-giuridica degli interventi quale attività specificatamente posta a carico del responsabile del procedimento relativamente alla richiesta di permesso di costruire, ovvero alla presentazione della DIA o SCIA, con particolare attenzione alla qualificazione tecnico-giuridica degli interventi edilizi di tipo “manutentivo-conservativo”.
Di seguito si esaminano le definizioni degli interventi definiti all’art. 3 del TUE alla luce della giurisprudenza sia amministrativa che penale, ma con richiamo a quelle definite dall’art. 27 della L.R. n. 12 del 2005,
IL TUE di cui al dPR n. 380/2001, quale testo contenente i principi fondamentali e generali della disciplina dell’attività edilizia (caratterizzanti, come si ricorda la Consulta, gli esercizi unitari della disciplina su tutto il territorio nazionale), nel disciplinare il procedimento per il rilascio del permesso di costruire, specifica che il responsabile del procedimento deve (cfr art. 20, comma 3, ovvero art. 38, co. 3, LR n. 12/05):
curare l’istruttoria,
acquisire, avvalendosi dello SU, secondo quanto previsto all’art. 5, co. 3, i prescritti parere, e gli altri atti di assenso eventualmente necessari
valutare la conformità del progetto alla normativa vigente,
formulare una proposta di provvedimento, corredata da una dettagliata relazione, con la qualificazione tecnico-giuridica dell’intervento richiesto.
Secondo il dettato letterale della norma, la proposta di provvedimento finale, positivo o negativo, dovrebbe essere in esito della valutazione di conformità alla normativa vigente del progettato intervento edilizio e contenere la qualificazione tecnico-giuridica dell’intervento stesso.
La dettagliata relazione prevista, dovrebbe dare riscontro dell’istruttoria, ovvero delle risultanze della stessa e della suddetta qualificazione tecnico-giuridica oltre della valutazione di conformità, in altri termini, la relazione dovrebbe dare evidenza dell’iter logico-intellettivo seguito dall’istruttore.
In questo modo il legislatore richiederebbe al responsabile del procedimento di motivare la propria proposta di provvedimento ed ogni altra valutazione, in quanto condizione di legittimità del provvedimento finale.
Infatti, in osservanza dell’obbligo di motivazione (cfr art. 3, co. 1, L n. 241/90), la proposta di provvedimento, analogamente alla decisione finale, dovrebbe indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che determinano la decisione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria.
La proposta, dunque, è fondata necessariamente sugli accertamenti e sulle valutazioni di vario tipo, per cui rappresenta un giudizio complesso non limitato alla conformità del progetto alla normativa vigente, bensì esteso a tutti i presupposti richiesti per il rilascio del titolo abilitativo edilizio (cfr art. 12, co. 1 e 2, del TUE).
Forse è utile, ai fini della comprensione distinguere le valutazioni e gli accertamenti tipicamente istruttori dalle valutazioni di conformità, anche per la diversa incidenza che potrebbe avere la qualificazione tecnico-giuridica degli interventi nei due ambiti.
Le valutazioni e gli accertamenti (presupposti di fatto) tipici dell’istruttoria, che andranno a sostanziarne le risultanze, si ritengono essere, principalmente, quelli relativi a:
condizioni di ammissibilità della richiesta,
requisiti di legittimazione (dei richiedenti, dell’edificio, etc.)
completezza e congruità della documentazione amministrativa a corredo della domanda.
Bisogna ricordarsi di quanto stabilisce l’articolo 9-bis del TUE in base al quale non si richiede documentazione che non sia già nella disponibilità dell’amministrazione.
Le valutazioni di conformità alla disciplina vigente si ritengono essere sia quelle di riscontro oggettivo (per es. altezze, distanze, volumi, superfici, etc.), sia quelle connotate da discrezionalità tecnica, ossia quelle valutazioni concernenti apprezzamenti o giudizi tecnici precedenti il momento volitivo ed incidenti su quello conoscitivo.
Il TUE, come detto, non chiarisce cosa sia e quale funzione abbia la qualificazione tecnico-giuridica dell’intervento, quindi il dato letterale della norma non consente di sapere a quale fase sia prodromica, cioè se a quella istruttoria e/o a quella valutativa, né precisa in cosa debba consistere in concreto.
La qualificazione tecnico-giuridica è verosimilmente un giudizio argomentato dell’intervento edilizio progettato, finalizzato a determinare la categoria di appartenenza rispetto a quelle definite legislativamente e con l’ulteriore fine di determinare da un lato il regime giuridico dell’intervento, dall’altro le conformità attese per lo stesso, e non ultimo, l’aspetto economico del relativo titolo abilitativo.
Per determinare la categoria dell’intervento, che dovrebbe esplicitare la sua natura “tecnica”, è necessario riferirsi alle definizioni degli interventi edilizi espresse, come noto, dall’art. 3 del TUE; il comma 2 di detto articolo precisa che dette definizioni prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei RE.
Tuttavia occorre ricordare che, in regione Lombardia, le definizioni degli interventi edilizi sono quelle stabilite dall’articolo 27, della legge regionale n. 12/2005, quale legislazione concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale
E’ a questa disciplina edilizia che i comuni, in regione Lombardia, si devono attenere per esercitare l’attività edilizia dei propri territori.
Occorre però considerare anche l’orientamento della Corte Costituzionale sulla natura giuridica delle definizioni legali (vedi box sulla sentenza n. 309/2011).
La sentenza mette in evidenza che le definizioni del TUE sono da ritenersi principi fondamentali NON DEROGABILI dalla legislazione concorrente regionale, che definisce le categorie di intervento, purché in conformità a quelle statali e disciplinano, nel contempo, il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e al contributo, nonché agli abusi edilizi e all’applicazione delle relative sanzioni amministrative e penali.
La distinzione delle definizioni statali mette in evidenza da una parte gli interventi edilizi “rilevanti”, quali la nuova costruzione, la ristrutturazione urbanistica e la ristrutturazione edilizia, e dall’altra quelli “residuali”, ovvero quelli c.d. “minori”, come il restauro e risanamento conservativo e le manutenzioni.
La sentenza si occupa nel dettaglio della ristrutturazione edilizia per quanto attiene alla modifica della sagoma, ma pone l’accento anche sulla tutela del paesaggio, di competenza statale, qualora si renda necessario stabilire la linea di distinzione tra le ipotesi di nuova costruzione e quelle degli altri interventi edilizi.
Le categorie di intervento edilizi definite dal TUE si caratterizzano in ordine a più profili:
1) la finalizzazione dell’intervento:
a) finalità conservativa degli organismi edilizi e/o delle loro parti:
I. con le manutenzioni (ordinarie e straordinarie)
II. con i restauri e risanamenti conservativi
b) finalità trasformativa degli organismi edilizi:
I. degli organismi edilizi ovvero del territorio sia in senso edilizio che urbanistico,
II. dei tessuti urbanistico-edilizi del territorio sia in senso edilizio che urbanistico,
III. del territorio sia in senso urbanistico che edilizio
2) le modalità esecutive della finalizzazione di cui sopra:
a) mediante un insieme sistematico di opere (cfr. gli interventi di restauro e risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia, di ristrutturazione urbanistica. Le nuove costruzioni è intervento implicitamente costituito da un insieme sistematico di opere),
b) mediante opere non riconducibili a detto insieme sistematico.
La determinazione del regime giuridico di subordinazione dell’intervento proposto, quindi la sua natura “giuridica” (rilevanza penale, onerosità, etc.) consiste nello stabilire se lo stesso costituisce:
attività edilizia libera realizzabile:
• senza alcun titolo abilitativo (cfr. art. 6, comma 1),
• con comunicazione dell’inizio dei lavori (cfr. art. 6, comma 2);
intervento di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio subordinato
• a permesso di costruire (cfr. art. 10, ovvero art. 33, LR 12/05);
• a DIA alternativa (cfr. art. 22, comma 3, ovvero art. 41, co. 1, LR 12/05),
intervento non riconducibile alle precedenti categorie (cfr. art. 22, comma 1), ovvero in variante in corso d’opera (cfr. art. 22, comma 2, ovvero art.41, co. 2, LR 12/05), e subordinato:
• a segnalazione certificata di inizio attività – SCIA (cfr. art, 5, comma 2, lett. b) e c) della legge n. 106/2011, di modifica all’art. 19 della L. n. 241 del 1990),
• a permesso di costruire “facoltativo” (cfr. art. 22, comma 7 e art. 20, comma 11)
Intervento subordinato a permesso di costruire in deroga (cfr. art. 14, ovvero art. 40, LR 12/05,
Intervento in accertamento di conformità (cfr. artt 36 e 37, comma 4).
Al regime giuridico di appartenenza dipende, infine, la valutazione di conformità alla normativa vigente, o meglio la conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei RE e della normativa urbanistico-edilizia vigente (cfr art. 12 del TUE).
Gli interventi edilizi definiti dal TUE (e dalla legislazione regionale) dichiarano come presupposto di legittimità la conformità urbanistico-edilizia, anche in seguito di condono o sanatoria edilizia.
Si ritiene evidenziare la differenza esistente tra conformità urbanistica e conformità edilizia. La prima è da riferire ai parametri di conformazione dei suoli (indici, volumi, superfici, destinazione d’uso, tipologie insediative/edilizie, caratterizzazioni formali, etc.), la seconda, invece, è da riferire alla tutela di beni giuridici essenziali, quali la salute e la sicurezza (cfr. artt 32, comma 1, e 41, comma 1, della Costituzione), e agli altri interessi generali tutelati nell’ordinamento giuridico, quali l’eliminazione /superamento delle BBAA e l’efficienza energetica degli edifici.
Per quanto concerne la giurisprudenza si ritiene dare evidenza ai seguenti principi: costantemente affermato da questa Corte Suprema il principio secondo il quale il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso attraverso la suddivisione dell’attività edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più limitate per la loro più modesta incisività sull’assetto territoriale. L’opera deve essere considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti” (per tutte Cass. Pen. , sez. II, sent. 26 settembre 2011, n. 34764).
“Nel vagliare un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere, come qui accade, deve effettuarsi una valutazione globale delle stesse atteso che “la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l’effettiva portata dell’operazione”, ovvero che, nel caso in cui un’opera consista nella ristrutturazione di un immobile effettuata tramite la realizzazione di “corposi interventi edili, essa non è scomponibile in distinte fasi cosicché possano individuarsi interventi soggetti ad autorizzazione ed altri soggetti a concessione, ma va valutata nella sua unitarietà e risulta soggetta al regime concessorio”.
L’operazione che deve compiere il responsabile è duplice: di carattere obiettivo, di rilevazione ed acclaramento degli elementi descrittivi e progettuali dell’intervento; e di carattere valutativo, con riferimento alle caratteristiche fisiche, strutturali e funzionali dell’intervento progettato; il tutto con un apprezzamento di insieme di carattere oggettivo e teleologico delle singole opere rappresentate, senza operare artificiosi frazionamenti, ovvero senza considerare autonomamente i segmenti dell’unitario intervento” .
Di seguito si riporta uno schema sintetico utile all’individuazione della qualificazione tecnico-giuridica degli interventi edilizi:
Qualificazione degli interventi edilizi |
|
tecnica |
giuridica |
Inquadramento dell’intervento nelle categorie definite dal TUE ovvero nella legislazione regionale non in contrasto con i principi espressi nelle definizioni del TUE |
Inquadramento dell’intervento così come definito, in uno dei regimi giuridici degli interventi stabiliti nel TUE |
Attività edilizia libera Attività edilizia libera con CIL o CILA Permesso di costruire Permesso di costruire in deroga Accertamento di conformità |
•Manutenzione ordinaria •Manutenzione straordinaria •Restauro e sanamento conservativo •Ristrutturazione edilizia: leggera •Nuova costruzione • Ristrutturazione urbanistica |
Nell’ambito della qualificazione tecnico-giuridica, sia per il progettista che per il responsabile del procedimento e dell’istruttoria, assume importanza capire le disposizioni normative riguardanti la disciplina dell’attività dell’edilizia ed in particolar modo le definizioni degli interventi, così come stabiliti in base ai principi fondamentali e generali espressi dalla normativa nazionale.
Si tratta di un’esigenza determinata dal fatto che la pratica professionale registra richieste di titoli
abilitativi per interventi descritti in materia diversa rispetto alle definizioni normative (ad esempio, richieste per interventi di soprelevazione e/o di ampliamento di fabbricato esistente, interventi per la costruzione di portici, tettoie, pensiline, pergolati, gazebo, recinzioni, sistemazione interne di alloggi o di fabbricati, riparazione o sostituzione del tetto, costruzione di autorimessa, rifacimento di solai, e via elencando) oppure normative regionali o locali riportanti definizioni diverse da quelle a livello nazionale oppure aggiuntive (es. interventi di sostituzione edilizia, etc.).
Il TUE di cui al dPR n. 380/2001 riporta (cfr. art 3), ai fini della disciplina dell’attività edilizia, le definizioni degli interventi edilizi riconducendoli a sei categorie: manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, nuova costruzione e ristrutturazione urbanistica.
Con l’entrata in vigore della legge n. 10/1977 e successive fino al 1996, le disposizioni normative hanno espresso da un lato le attività comportanti trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, e dall’altro i criteri della loro subordinazione ad uno dei due regimi giuridici individuati
oneroso e penalmente rilevante per la concessione edilizia
gratuito e non penalmente rilevante per l’autorizzazione edilizia.
Le definizioni degli interventi edilizi (di cui all’articolo 3) del TU determinano, di fatto, una specificazione degli interventi costituenti l’attività edilizia in disciplina (interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, etc.), e una qualificazione degli stessi quanto alla loro natura: devono essere interventi necessariamente edilizi.
In altri termini, nel TUE, non è espressamente specificata la finalizzazione degli interventi costituenti l’attività edilizia in disciplina, diversamente dalla legge n. 10/1977 e cioè che le attività da considerare ai fini della disciplina stessa sono (solo) quelle comportanti trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.
Tuttavia, il TUE, nel definire gli interventi di “nuova costruzione”, specifica, con criterio residuale che sono “quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alla lettere precedenti”. Pertanto sussiste “continuità” giuridica tra la precedente e l’attuale disciplina dell’attività edilizia nella quale assumono dunque rilievo tutti gli interventi edilizi di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio (verrebbe da dire “solo” gli interventi edilizi di quel tipo).
Anche per il TUE lo scopo della definizione legale degli interventi edilizi è quella di attribuire ai medesimi l’idoneo regime giuridico, ossia quello di essere:
attività edilizia libera”, con o senza preventiva comunicazione (CIL o CILA)
oppure intervento subordinato a “permesso di costruire”o a DIA alternativa e/o sostitutiva
oppure intervento realizzabile con segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).
È opportuno ripetere che l’art. 3 del TUE, alla stessa stregua dell’art. 27, LR n. 12/2005, di definizione degli interventi edilizi, individua, come già ricordato, sei categorie di interventi costituenti attività edilizia di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio, e cioè:
Manutenzione ordinaria,
Manutenzione straordinaria,
Restauro e risanamento conservativo,
Ristrutturazione edilizia,
Nuove costruzioni,
Ristrutturazioni urbanistiche.
Si tratta di categorie che sembrano rispondere ad un doppio criterio di classificazione:
1) criterio finalistico degli interventi:
Manutentivo integrativo:
• delle finiture (riparazione, rinnovamento e sostituzione di finiture, integrazione di impianti tecnologici esistenti);
• delle strutture e realizzazione-integrazione servizi igienico-sanitari e tecnologici;
rstaurativo-conservativo e assicurativo degli organismi edilizi (rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali, funzionalità);
trasformativo degli organismi edilizi
sostitutivo del tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso (quindi trasformativo dei tessuti urbanistico-edilizi).
2) criterio modale o di modalità realizzativa/esecutiva degli interventi:
mediante opere (di riparazione, rinnovamento, sostituzione o necessarie per rinnovare e sostituire anche parti strutturali degli edifici nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici),
mediante modifiche (necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici );
meiante un insieme sistematico di opere (rivolto a conservare l’organismo edilizio o a trasformare gli organismi edilizi per cui possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente), miante demolizione e ricostruzione.
Categorie che si possono semplificare nel modo seguente:
interventi finalizzati alla conservazione degli organismi edilizi:
• di manutenzione ordinaria o straordinaria,
• di restauro e risanamento conservativo,
interventi finalizzati alla trasformazione:
• degli organismi edilizi: ristrutturazione edilizia “leggera” o “pesante”;
• dei tessuti urbanistico-edilizi: ristrutturazione urbanistica.
A parte il fatto che diventa difficile comprendere come un intervento manutentivo-conservativo possa comportare una trasformazione urbanistica e/o edilizia del territorio, il suddetto criterio (che possiamo chiamare: finalistico e modale), di conseguenza, caratterizza la qualificazione dell’intervento ossia la sua appartenenza ad una determinata categoria edilizia; cosicché, ad esempio, le stesse opere di un intervento finalizzato alla conservazione dell’organismo edilizio:
se singolarmente considerate configurano una manutenzione, ordinaria qualora riferita alle finiture, straordinaria qualora riferita anche alle strutture;
se costituiscono un insieme sistematico, invece, configurano un restauro e risanamento conservativo.
Anche la dottrina dà evidenza agli interventi trasformativi, quali:
il restauro conservativo:
Tale intervento è costituito, per un verso, da “un insieme sistematico di opere” incidente in particolare sugli elementi costitutivi dell’edificio, il che rappresenta l’elemento differenziale rispetto agli interventi di manutenzione – e, per altro verso, nella finalità di conservare l’edificio assicurandone la funzionalità nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo edilizio.
La ristrutturazione edilizia:
Tale intervento è costituito da “un insieme sistematico di opere”, come nel caso del restauro e risanamento conservativo, ma diversamente che in questo, rivolto alla “trasformazione” di un organismo edilizio esistente.
A seconda che la trasformazione porti o meno ad un organismo “in tutto o in parte diverso dal precedente” (a seguito di aumento di unità immobiliari, o di modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o della superficie oppure, per gli immobili compresi nelle zone omogenee A, di mutamenti della destinazione d’uso) si distingue una ristrutturazione cd. pesante da una cd. leggera (cfr, art. 10, comma 1, lett. c), in rapporto all’art. 3, comma 1, lett. d)).
Quello che è importante è l’analisi dei singoli interventi edilizi e cioè le singole categorie edilizie, al fine di mettere in evidenza le caratteristiche peculiari e le nozioni tecnico-giuridiche, alla luce degli indirizzi giurisprudenziali, sia amministrativi che penali.
La definizione degli interventi edilizi del TUE risponde all’esigenza di identificare l’attività edilizia comportante trasformazione edilizia e urbanistica del territorio, e come tale, limitata ex ante la sua realizzazione attraverso la sua subordinazione ad un differenziato controllo autoritativo di legittimazione e conformazione.
E’ necessario precisare, però, che tale identificazione deve necessariamente avvenire con riferimento alle definizioni di cui all’art. 27 della LR n. 12/2005, non in contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale.
La qualificazione tecnico-giuridica degli interventi edilizi, con particolare riguardo a quelli di tipo manutentivo – conservativo.
A integrazione di quanto sopra esposto, si può affermare che gli interventi edilizi possono avere o meno “valenza/rilevanza” urbanistica in ragione della loro natura conservativa o trasformativa in senso edilizio (l’elemento–oggetto da considerare l’edificio) e/o in senso urbanistico (l’elemento-oggetto da considerare è il territorio), così che gli interventi edilizi definiti dal TUE, oltre che il senso finalistico dell’intervento (conservativo o trasformativo) considerano anche un profilo modale: essere realizzati o meno attraverso un insieme sistematico di opere…..
Consegue che sia gli interventi edilizi conservativi sia quelli trasformativi debbono essere riguardati in riferimento:
1. all’edificio,
2. al territorio.
Gli interventi riferiti al territorio, saranno quelli a valenza / rilevanza prettamente urbanistica, per cui, con riferimento alle definizioni legali, saranno gli interventi di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio di nuova costruzione e di ristrutturazione urbanistica.
Gli interventi relativi agli edifici, invece, possono avere valenza / rilevanza:
– solo edilizia, come nel caso degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria,
– oppure anche urbanistica, laddove producessero trasformazioni edilizie e urbanistiche del territorio come nel caso degli interventi di ristrutturazione edilizia e, per certa misura, di quelli di restauro e risanamento conservativo allorquando modificassero la destinazione d’uso urbanisticamente rilevante.
Per quanto concerne gli interventi edilizi sull’esistente, di tipo “manutentivo – conservativo”, la giurisprudenza amministrativa e penale è concorde nel qualificare “esistente” un edificio che sia dotato almeno di mura perimetrali e copertura, ovvero di strutture orizzontali, e che sia in stato conservativo tale da apprezzarne anche la destinazione d’uso.
Per altri versi, l’edificio si può ritenere esistente quando non si qualifica come rudere o diruto, ricorrendo tale ipotesi in caso di assenza di elementi strutturali in quanto rendono impossibile valutare l’esistenza e la consistenza dell’edificio da considerare (sulla nozione vedi Box — nozione di rudere).
Nozione di “rudere”
TAR Piemonte, sez. I, 4 aprile 2013, n. 410:
Orbene, la giurisprudenza è ferma nel riconoscere i caratteri di “rudere” in un manufatto “costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali” (TAR Veneto, sez. II, 5 giugno 2008, n. 1667) ovvero in un immobile in cui sia “presente solo parte della muratura perimetrale, vi è assenza di copertura e di strutture orizzontali” (TAR Salerno, sez. II, 26 settembre 2007, n. 1927).
Quanto agli interventi di ripristino di edifici diruti, la giurisprudenza precisa la relativa nozione
riportandola agli organismi edilizi dotati di sole mura perimetrali e privi di copertura (TAR Napoli, sez. IV, 14 dicembre 2006, n. 10553) e, correttamente, nega che gli stessi possano essere classificati come restauro e risanamento conservativo (TAR Napoli, sez. VIII, 4 marzo 2010, n. 1286 e sez. VI, 9 novembre 2009, n. 7049; TAR Latina, 15 luglio 2009, n. 700).
Essa pone, inoltre, una condivisibile distinzione tra le ipotesi in cui esista un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da consentire la sua fedele ricostruzione, nel quale caso è possibile parlarsi di demolizione e fedele ricostruzione, e dunque di ristrutturazione (o risanamento); e le ipotesi in cui, invece, manchino elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare, configurandosi in quest’evenienza, invero, un intervento di nuova costruzione (TAR Napoli, sez. VIII, 4 marzo 2010, n. 1286; TAR Veneto, sez. II, 5 giugno 2008, n. 1667), per l’assenza degli elementi strutturali dell’edificio, in modo tale che, seppur non necessariamente “abitato” o “abitabile”, esso possa essere comunque individuato nei suoi connotati e le caratteristiche dell’edificio da recuperare (TAR Napoli, 9 novembre 2009, n. 7049); Cons. Stato, sez. VI, 15 settembre 2006, n. 5375).
TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 18 marzo 2013, n. 258:
Al riguardo va ricordato che la giurisprudenza ha specificato che costituiscono edifici diruti gli organismi
edilizi dotati di sole mura perimetrali e privi di copertura (cfr, TAR Campania, sez. IV, 14 dicembre 2006, n. 10553), escludendo che gli interventi svolti sugli stessi possano essere classificati come restauro e risanamento conservativo (cfr. TAR Campania, sez. VIII, 4 marzo 2010, n. 1286; idem, sez. VI, 9 novembre 2009, n. 7049; TAR Latina, 15 luglio 2009, n. 700).
Inoltre, è stato chiarito che si deve distinguere tra le ipotesi in cui esista un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da consentire la sua fedele ricostruzione, nel quale caso è possibile parlare di demolizione e fedele ricostruzione, e dunque di ristrutturazione; e le ipotesi in cui, in vece, manchino elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare, configurandosi in quest’evenienza, invero, un intervento di nuova costruzione (cfr. TAR Veneto, Venezia, sez. II, 5 giugno 2008. N. 1667), per l’assenza degli elementi strutturali dell’edificio, in modo tale che esso possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali (cfr. Cons, di Stato, sez. V, 10 febbraio 2004, n. 475).
TAR Campania, Salerno, sez. II, 11 gennaio 2013, n. 51:
Inoltre, la giurisprudenza dalla quale il Collegio non trova ragioni per discostarsi, è da tempo consolidata nel ritenere che la ricostruzione su ruderi o su di un edificio da tempo demolito (perché di questo presumibilmente si tratta nel caso in oggetto) costituisce nuova costruzione e non certo restauro conservativo o manutenzione straordinaria (cfr. Cons. Sta. , sez. IV, 1669/2007; sez. V, 15 aprile 2004, n. 2142; TAR Liguria, sez. I, 24 gennaio 2002, n, 53; Cons. St., sez. V, 1 dicembre 1991, n. 2021; Cass. penale, sez. III, 20 febbraio 2001, n. 658; id. 20 febbraio 2001, n. 13982; id. n. 45240/2007).
TAR Lombardia, Milano, sez. II, 24 maggio 2012, n. 1429:
La giurisprudenza amministrativa ha – del resto – ben chiara la differenza fra “edificio” e “rudere”; così ad esempio: “(…) si intende per rudere un manufatto costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in cui sia presente solo parte della muratura perimetrale, vi è assenza di copertura e di strutture orizzontali, onde non può certamente parlarsi di un edificio allo stato esistente” (TAR Campania, Salerno, sez. I, 16 febbraio 2012, n. 240; si vedano anche TAR Campania, Napoli, sez. IV, 23 dicembre 2010, n. 28002; tribunale di Chieti, 2 gennaio 2009, n. 2 e Cass. penale, sez. III, 21 ottobre 2008, n. 42521).
TAR Veneto, sez. II, 8 febbraio 2012, n. 207:
Costituisce giurisprudenza consolidata e condivisibile che la ricostruzione di ruderi deve essere considerata, a tutti gli effetti, realizzazione di una nuova costruzione, non essendo equiparabile alla ristrutturazione edilizia, con la conseguenza che per la sua realizzazione è necessario il permesso di costruzione, non essendo possibile far ricorso alla denuncia di inizio attività, ai sensi dell’art. 1, co. 6, L. 21 dicembre 2001, n. 443″ (Cons. St. , sez. IV, 15 settembre 2006, n. 5375; Conf. Cons. St., sez. V, 10 febbraio 2004, n. 475; TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 4 marzo2010 n. 1286).§
NOTA: A questo proposito, però, ricordo che il decreto “Sblocca Italia” (legge n. 98 del 2013), ha
modificato la definizione degli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3, co. 1, lett. d), del dPR n. 380/2001, introducendo in tale ambito anche quelli consistenti nel ripristino di edifici o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.
Ne consegue che la giurisprudenza amministrativa e penale potrebbe cambiare l’orientamento sin qui tenuto sul recupero dei ruderi e dei diruti.
Nozione di “organismo edilizio”
Si ritiene opportuno evidenziare le varie nozioni riferite ad “organismo edilizio” rinvenibili in dottrina e in giurisprudenza oltre che nella normativa tecnica.
“Quanto alla nozione di organismo edilizio, l’orientamento maggioritario della Cassazione ha avuto modo di precisare che «può consistere sia in una sola unità quale in ipotesi potrebbe essere quella oggetto della concessione sia in una pluralità di porzioni volumetriche ed in un manufatto a più piani, sicché l’integrale diversità da quella oggetto della concessione è rapportabile ad ogni struttura … pertanto è possibile riferire l’espressione “organismo edilizio” anche ad una singola unità edilizia oggetto di una più ampia concessione» … In dottrina, si evidenzia, viceversa che la possibilità di riferire l’inciso «organismo edilizio» anche alle singole porzioni di quest’ultimo violerebbe il divieto di analogia in malam partem, dovendo utilizzare come termine di paragone per valutare difformità piuttosto l’intero organismo edilizio” — Paolo D’Agostino e Riccardo Salomone, Trattato di diritto penale dell’impresa, volume XI, la tutela dell’ambiente, profili penali e sanzionatori, Wolters Kluwer Italia s.r.l., 2011.
Cas. pen, sez. VI, 7 gennaio 1999, n. 12271: “Con l’espressione «organismo edilizio» l’art. 71. 28 febbraio 1985, n. 47 indica sia una sola unità sia una pluralità di porzioni volumetriche; la costruzione in «totale difformità» dalla concessione edilizia — che nel secondo caso può riguardare ogni singola struttura dell’«organismo edilizio» — può derivare a) dalla esecuzione di un corpo autonomo, b) dall’effettuazione di modificazioni con opere interne o esterne tali da comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica (in quanto incidente sull’assetto del territorio, aumentando il c.d. carico urbanistico), ovvero c) dal mutamento di destinazione di uso di un immobile preesistente, che va equiparato al fatto della realizzazione di una costruzione edilizia in assenza o in totale difformità dalla concessione allorché esso non sia puramente funzionale, ma si realizzi attraverso opere strutturali implicanti una totale modificazione rispetto al preesistente e al previsto, che sia urbanisticamente rilevante secondo il disposto dell’art. 8 I. n. 47/1985”.
Cass. pen., sez. III, 27 gennaio 2009, n. 3593: “Nella previsione legislativa in esame: – l’espressione “organismo edilizio” indica sia una sola unità immobiliare sia una pluralità di porzioni volumetriche e la difformità totale può riconnettersi sia alla costruzione di un corpo autonomo sia all’effettuazione di modificazioni con opere anche soltanto interne tali da comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica in quanto incidente sull’assetto del territorio attraverso l’aumento del c.d. “carico urbanistico”.
Cass. sez. III, 23 novembre 2012, n. 45821 — Pres. Fiale Est. Ramacci Ric. Orlando: Questa Corte (sez. III, 27 gennaio 2009, n. 3593) ha già avuto modo di precisare che l’espressione «organismo edilizio» indica sia una sola unità immobiliare, sia una pluralità di porzioni volumetriche e la difformità totale può riconnettersi sia alla costruzione di un corpo autonomo, sia all’effettuazione di modificazioni con opere anche soltanto interne tali da comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica in quanto incidente sull’assetto del territorio attraverso l’aumento del c.d. «carico urbanistico».
La norma UNI 10838/1999, riferita all’edilizia, terminologia riferita all’utenza, alle prestazioni, al processo edilizio e alla qualità edilizia, ha come presupposto la considerazione che l’edificio non sia una semplice addizione di elementi (spazi, materiali, strutture, impianti, ecc.), bensì debba essere ricondotto a “sistema” perché ogni elemento è in relazione/connessione con gli altri secondo logiche più o meno complesse. A tal fine la norma definisce l’organismo edilizio (punto 2.11) come insieme strutturato di elementi spaziali (a loro volta definiti come “porzione di spazio fruibile destinata allo svolgimento delle attività di una unità ambientale” quale raggruppamento di attività dell’utente, derivanti da una determinata destinazione d’uso dell’organismo edilizio, compatibili spazialmente e temporalmente fra loro) e di elementi tecnici (quali “prodotto edilizio più o meno complesso capace di svolgere completamente o parzialmente funzioni proprie di una o più unità tecnologiche e che si configura come componente caratterizzante di un sub-sistema tecnologico”), interni ed esterni, pertinenti all’edificio, caratterizzati dalle loro funzioni e dalle loro reciproche relazioni.
Dal TUE risultano classificati, sotto il profilo finalistico, gli interventi manutentivi e gli interventi conservativi, sia in senso edilizio che in senso urbanistico, ovvero:
– interventi di manutenzione ordinaria: gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti;
– interventi di manutenzione straordinaria: le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni d’uso. Nel 2014, con la legge n. 164, tra questi interventi sono stati ricompresi inoltre quelli “consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari, con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari, nonché del carico urbanistico, purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’uso”.
– interventi di restauro e di risanamento conservativo: gli interventi edilizi rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentono destinazioni d’uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio.
Per quanto concerne la caratterizzazione dei tre interventi in esame, si nota che:
– le manutenzioni, sia ordinaria che straordinaria, e il restauro e il risanamento conservativo condividono, nei fatti, la medesima finalità e cioè la conservazione e l’assicurazione della funzionalità vuoi degli edifici-organismi edilizi che del territorio urbanisticamente inteso, anche se risulta concettualmente diverso un intervento di restauro e di risana¬mento conservativo dagli interventi di manutenzione, a sua volta diversi tra loro;
– le manutenzioni differiscono dal restauro e dal risanamento conservativo:
· nel soggetto-oggetto di riferimento, che sono:
Ø le finiture degli edifici e/o le parti anche strutturali degli edifici per le manutenzioni;
Ø gli organismi edilizi per il restauro e il risanamento conservativo;
· nella modalità attraverso la quale si persegue la conservazione e l’assicurazione della funzionalità:
Ø nel restauro e nel risanamento conservativo la finalità è perseguita mediante un insieme sistematico di opere;
Ø nelle manutenzioni, di conseguenza, dovrebbe venir meno l’insieme sistematico di opere, per cui la finalità dell’intervento dovrebbe essere perseguita attraverso singole opere ovvero attraverso un insieme di opere singolarmente considerate e cioè:
– opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici nella manutenzione ordinaria;
– opere e modifiche per rinnovare e sostituire le parti anche strutturali nella manutenzione straordinaria,
– opere e lavori necessari a “trasformare le unità immobiliari, mediante il loro frazionamento o accorpamento, quali interventi di straordinaria manutenzione;
– opere e lavori che comportano la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari, nonché del carico urbanistico, sempre che non modifichino la volumetria complessiva degli edifici i si mantenga l’originaria destinazione d’uso, sempre nell’ambito della straordinaria manutenzione.
Da queste preliminari considerazioni, si è portati a ritenere che nell’ambito delle definizioni legali degli interventi sugli edifici esistenti:
– tra il restauro-risanamento conservativo e le manutenzioni sussistono i concetti differenzianti di:
a) “organismo edilizio” (vedi il box con la nozione di “organismo edilizio”) rispetto a quello di edificio cui si riferiscono le “finiture” per le manutenzioni ordinarie e le “parti anche strutturali” e le “variazioni ammesse” per le manutenzioni straordinarie;
b) e quello di insieme sistematico di opere;
– di conseguenza, gli interventi di manutenzione, per poter essere qualificati come tali, non dovrebbero riguardare l’organismo edilizio bensì soltanto quegli elementi e quelle parti espressamente previsti, e non possono essere attuati mediante un insieme sistematico di opere, posto che, in caso contrario, verrebbe meno la distinzione tra interventi di restauro e di risanamento conservativo con quelli di manutenzione.
Le definizioni legali relative agli interventi di manutenzione scontano l’assenza della definizione di manutenzione, considerato che differisce, sotto il mero profilo concettuale, dalla conservazione.
Etimologicamente, la manutenzione significherebbe “mantenere” una cosa che duri nel tempo ed in efficienza. In buona sostanza dovrebbe trattarsi di un complesso di operazioni necessarie a conservare la funzionalità per le necessarie esigenze e l‘efficienza per rispondere alle proprie funzioni.
È doveroso però aggiungere che le manutenzioni straordinarie possono essere considerate delle modeste “trasformazioni edilizie” poiché consentono, dal 2013, il frazionamento o l’accorpamento di unità immobiliari, oltre che aumentare la superficie delle singole unità immobiliari e il carico urbanistico, purché a determinate condizioni.
Di fatto, con i provvedimenti legislativi di questi ultimi anni, alla manutenzione straordinaria è stata data una valenza urbanistica. di livello superiore, aggiungendo alle consolidate operazioni manutentive e conservative, anche una sorta di funzioni parzialmente “trasformative”, anche se limitate.
Di seguito si riportano alcune specificazioni sugli interventi manutentivi e conservativi.
Per quanto riguarda l’intervento di manutenzione ordinaria, questo si caratterizza dal fatto che riguarda:
opere di riparazione e sostituzione delle finiture degli edifici:
– la giurisprudenza amministrativa è orientata a far rientrare nel concetto di finiture di edifici, sia la sostituzione che il rinnovamento di serramenti e, quindi, di infissi, finestre e abbaini, anche con materiali di-versi dagli originali;
opre necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti, quali:
impianto termo-idraulico
impianto elettrico
ipianto idrico-igienico-sanitario.
Più complessa, invece, la nozione di manutenzione straordinaria, in quanto l’intervento si caratterizza per riguardare:
e modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici:
con la manutenzione ordinaria non si possono apportare modifiche come invece ammesso nella ma-nutenzione straordinaria, modifiche che possono riguardare qualsiasi parte dell’edificio, parti strutturali comprese (cfr. l’inciso “anche”);
la realizzazione e/o l’integrazione dei servizi igienico-sanitari e tecnologici;
il frazionamento o l’accorpamento di unità immobiliari con esecuzione di opere anche comportanti la variazione delle singole unità immobiliari, nonché del carico urbanistico;
avre delle condizioni, perché dette opere, modifiche, realizzazioni e integrazioni non devono comportar
alterazione della volumetria complessiva degli edifici;
modifiche della destinazione d’uso (rilevante ai fini urbanistici),
La casistica degli interventi che si qualificano ora nella manutenzione ordinaria ora in quella straordinaria è amplissima e difficilmente elencabile perché riportata da leggi regionali, regolamenti edilizi comunali e, non di meno, da una nutrita giurisprudenza amministrativa e penale
L’intervento di restauro e di risanamento conservativo.
Innanzitutto si osserva che il tenore letterale della categoria legislativamente definita contempla due tipologie di intervento:
– il restauro;-
e il risanamento conservativo.
Per espressa previsione la realizzazione di tali interventi deve:
– essere rivolta, in senso finalistico, alla conservazione dell’organismo edilizio e all’assicurazione dellaù
ua funzionalità;
– avvenire sono:
– rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo edilizio;
– destinazioni d’uso compatibili con gli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo edilizio;
esclusione degli interventi così definita nei beni culturali di cui alla parte II del d.lgs. 42/2004, in quanto per tali beni occorre rifarsi alla definizione di restauro data dall’art. 29, comma 4 di tale Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Tra gli interventi compresi nel restauro e risanamento conservativo, quello che rappresenta la maggior problematica è la nozione di “ripristino” perché sembra trovare delle specificazioni nelle norme tecniche di attuazione degli strumenti urbanistici comunali.
La giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2010, n. 7540), riferendosi ad un caso di ricostruzione del primo piano di un fabbricato, definito anche “ripristino di un corpo di fabbrica edilizio preesistente evidenziato dalla documentazione storica e fotografica d’epoca”, ha ricostruito la categoria di intervento edilizio delle opere anche sulla scorta della definizione locale, laddove precisa che “devono intendersi gli interventi di ricostruzione di quelle parti originali dell’edificio crollate o demolite che sono documentate in modo incontrovertibile (con foto, disegni, documenti, catasti) e la cui ricostruzione è indispensabile per la ricomposizione architettonica e tipologica dell’edificio stesso”, e che per “risanamento conservativo” si intende il complesso di operazioni volte a conservare gli elementi costitutivi principali dell’organismo edilizio ed inoltre che “nel risanamento conservativo è ammesso anche un riassetto e una ricomposizione delle singole tipologie , nel rispetto dell’impianto complessivo cui tali manufatti appartengono
Da quanto finora argomentato, risulta che gli interventi di restauro e di risanamento conservativo registrano un confine sottile con gli interventi di ristrutturazione edilizia; di qui l’importanza di apprenderne appieno la caratterizzazione per poter svolgere la qualificazione tecnico-giuridica normativamente richiesta ai progettisti e ai responsabili del procedimento.
La qualificazione tecnico-giuridica degli interventi edilizi, con particolare riguardo a quelli che modificano i prospetti degli edifici.
Particolare interesse rivestono gli interventi edilizi con i quali vengono modificati i prospetti degli edifici, essenzialmente per quanto riguarda l’onerosità degli stessi.
A questo proposito è determinante la qualificazione tecnico-giuridica di questi interventi al fine, appunto, di stabilire il relativo regime economico.
Nella definizione di ristrutturazione edilizia contenuta nell’art. 27 della LR n. 12/2005 non si fa alcun cenno alla modifica delle facciate o dei prospetti, ma ad un più ampio novero di “interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente …… omissis “.
Anche la definizione di cui all’art. 3, co. 1, lett. d) del TUE è pressoché simile a quella regionale, ma entrambe non fanno riferimento alla modifica dei prospetti che possa far pesare la bilancia a favore dell’una o dell’altra tipologia d’intervento.
In Lombardia, però, ci si deve attenere alle definizioni dell’art. 27 della LR n. 12/2005, sia per individuare la qualificazione tecnico-giuridica degli interventi che il regime economico degli stessi.
Il dPR n. 380/2001 ha subordinato, tra gli altri, gli interventi di ristrutturazione edilizia al rilascio del permesso di costruire che però, in Lombardia, è alternativo o sostitutivo alla presentazione della DIA (ora anche SCIA), comportando, ai sensi dell’art. 43 della LR n. 12/05, la corresponsione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, nonché del contributo sul costo di costruzione, in relazione alle destinazioni funzionali degli interventi stessi.
Ora, se gli interventi di ristrutturazione costituiscono un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, ci si chiede come la modifica dei prospetti di un edificio si possa configurare tra gli interventi di ristrutturazione edilizia definita dall’art. 27 della LR n. 12/2005, richiamandosi alla trasformazione edilizia e urbanistica di cui all’art. 10 del TUE?
Per quanto concerne la caratterizzazione di questi interventi si ritiene che possano rientrare tra la
manutenzione straordinaria, il restauro e risanamento conservativo e la ristrutturazione edilizia.
Come abbiamo precedentemente illustrato gli interventi di manutenzione straordinaria ed il restauro conservativo condividono, nei fatti, la medesima finalità e cioè la conservazione e la funzionalità degli edifici-organismi edilizi, anche se con le dovute distinzioni, mentre la ristrutturazione edilizia riveste una valenza/rilevanza urbanistica in ragione della sua natura trasformativa dell’edificio e del territorio nel quale quest’ultimo è collocato.
La giurisprudenza amministrativa ha pacificamente affermato che l’elemento che, in linea generale, contraddistingue la ristrutturazione deve rinvenirsi nella già avvenuta trasformazione del territorio, mediante una edificazione di cui si conservi la struttura fisica (sia pure con la sovrapposizione di un “insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”: art. 3, comma 1, lett. d), t.u.) ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita, ma – in quest’ultimo caso – con ricostruzione, se non “fedele”, comunque rispettosa della volumetria (ora non più nemmeno della sagoma) della costruzione preesistente.
Le categorie di intervento definite dal TUE e dalla legge regionale n. 12 del 2005, si caratterizzano, dunque, in ordine a due profili:
a) la finalizzazione dell’intervento che, a sua volta, si può distinguere tra finalità conservativa degli organismi edilizi e/o loro parti, mediante manutenzione ordinarie e straordinaria o con restauro e risanamento conservativo, oppure con finalità trasformative degli organismi edilizi , ovvero del territorio, sia in senso edilizio che urbanistico.
b) Le modalità esecutive della finalizzazione di cui sopra, mediante un insieme sistematico di opere, ovvero mediante opere non riconducibili a detto insieme sistematico.
Il problema che si pone, pertanto, in ordine alla modifica dei prospetti, riguarda la qualificazione tecnico giuridica di questi interventi ed il relativo regime economico.
Come sopra si diceva, una cosa è la definizione della “ristrutturazione edilizia” di cui all’art. 3 del TUE e art. 27, della LR n. 12/2005, nella quale non si fa espressamente cenno alla modifica dei prospetti, quale “elemento” discriminante per qualificarla, da sola o con altre opere, tra gli interventi di manutenzione straordinaria, di restauro e risanamento conservativo o di ristrutturazione edilizia.
Per questo tipo di intervento, non sembra essere cambiata la distinzione tra la cd “ordinaria” o “leggera” e quella cd. “pesante”, in quanto la prima – definita dall’art. 3, co. 1, lett. d), del dPR n. 380/2001 non fa cenno alla modifica dei prospetti, mentre quella di cui all’art. 10, co. 1, lett. c), stesso decreto, stabilisce che gli interventi di ristrutturazione edilizia che prevedono la modifica dei prospetti che determinano “un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”, sono subordinati al permesso di costruire.
Da qui deriva, per molti comuni, la convinzione che la sola modifica dei prospetti di un edificio, costituisca un intervento di trasformazione edilizia e urbanistica che attiene, appunto alla ristrutturazione cd.”pesante” e tale da essere, non solo subordinata al rilascio del permesso di costruire (o DIA sostitutiva), ma onerosa.
A questo si aggiunga che l’art. 43 della LR n. 12/2005 stabilisce che “i titoli abilitativi per interventi di nuova costruzione, ampliamento di edifici esistenti e ristrutturazione edilizia sono soggetti alla corresponsione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, nonché del contributo sul costo di costruzione, in relazione alle destinazioni funzionali degli interventi stessi”.
Non mi pare che la semplice modifica dei prospetti di un fabbricato costituisca un intervento rivolto a sostituire l’esistente tessuto urbanistico/edilizio con altro diverso, in assenza di “un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”.
Né tale ritengo si possa considerare la trasformazione di porte esterne in finestre e viceversa, lo spostamento di aperture, la chiusura o l’apertura di porte esterne e finestre sulle facciate di un edificio, e neppure che determini un’attività trasformativa di carattere complessivo dello stesso.
Sul punto, attenta dottrina ha infatti evidenziato come non sia facile operare una distinzione tra la ristrutturazione edilizia ad altre tipologie di intervento basandosi unicamente sulla natura delle opere realizzate, posto che anche quelle di manutenzione straordinaria o di restauro e risanamento, sono volte al rinnovo delle strutture o di parti funzionali, occorrendo fare invece riferimento alle finalità perseguite dalla ristrutturazione, proprio in quanto consistenti in un organismo in tutto o in parte diverso da quello precedente.
Tali opere, prese a sé stanti, sicuramente non rientrano tra gli interventi di ristrutturazione edilizia, ma di manutenzione straordinaria o di restauro o risanamento conservativo, quest’ultimo nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’edificio.
Possono, invero, essere eseguite le modifiche dei prospetti, compreso quelle delle gronde (o simili) del tetto, contestualmente ad altre opere ed, in questi casi, si delineano diverse situazioni, ovvero:
1) Le modifiche ai prospetti accompagnati ad altre opere o lavori con i quali costituiscono “un intervento rivolto a trasformare un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”, si identificano come ristrutturazione edilizia
2) Le modifiche dei prospetti accompagnati ad altre opere o lavori con i quali costituiscono “un intervento rivolto a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso”, si identificano nel restauro e risanamento conservativo.
3) Le modifiche ai prospetti accompagnati ad altre opere o lavori con i quali costituiscono “un intervento rivolto a modificare, rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché l’aggregazione o la divisione di unità immobiliari, si identificano nella manutenzione straordinaria.
E’ ovvio che alle opere rivolte alla sola modifica delle facciate non possono seguire altre e ulteriori opere al fine di limitare gli interventi alla manutenzione straordinaria o al restauro e risanamento conservativo, perché, in questi casi “L’opera deve essere considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti”, come enunciato dalla Cass. Pen. , sez. II, sent. 26 settembre 2011, n. 34764.
Anche le recenti modifiche introdotte, non hanno prodotto novità per quanto riguarda quelle opere edilizie che comportino modifica dei prospetti. Il concetto di prospetto, infatti, non va confuso con quello di sagoma.
Per sagoma deve intendersi la conformazione planovolumetrica della costruzione ed il suo perimetro, considerato in senso verticale ed orizzontale, così che solo le aperture che non prevedano superfici sporgenti vanno escluse dalla nozione stessa di sagoma.§
La modifica di prospetti attiene alla facciata dell’edificio, per cui non va confusa e compresa nel concetto di sagoma, che indica la forma della costruzione complessivamente intesa, ovvero il contorno che assume l’edificio.
I prospetti attenendo all’aspetto esterno e quindi al profilo estetico-architettonico dell’edificio, come la chiusura di preesistenti finestre e la loro apertura in altre parti, l’apertura di balconi in luogo di finestre, così come l’allargamento del portone di ingresso.
Stante la similitudine con le attività di manutenzione straordinaria e con quelle di restauro e risanamento conservativo, nella concreta fase applicativa si pose il problema di differenziarle, da quelle di ristrutturazione, al fine di individuare il titolo abilitativo necessario alla loro esecuzione (permesso di costruire, Dia ovvero SCIA) ed il relativo regime economico (onerosità o gratuità).
Sul punto, attenta dottrina ha infatti evidenziato come non sia facile operare una distinzione tra la ristrutturazione edilizia ad altre tipologie basandosi unicamente sulla natura delle opere realizzate, posto che, anche quelle di manutenzione straordinaria o il restauro conservativo, sono volte al rinnovo delle strutture o di parti funzionali, occorrendo fare invece riferimento alle finalità perseguite dalla ristrutturazione, proprio in quanto consistenti nella costruzione di un edificio in tutto o in parte nuovo e quindi al “recupero urbanistico dello spazio, sia pure limitatamente ad un solo edificio”, sussistendo altrimenti la differente ipotesi di ristrutturazione urbanistica, che interessa più immobili.
Dal canto suo la giurisprudenza aveva già individuato in passato tutta una serie di attività non riconducibili alla manutenzione straordinaria o al restauro e risanamento conservativo, ma afferenti alla ristrutturazione edilizia e per le quali aveva ritenuto necessario il rilascio della concessione edilizia (gratuita o onerosa), tra cui, in particolare, quelle aventi ad oggetto:
– Le opere comportanti un incremento della volumetria o del numero delle unità immobiliari, che incidono sulla stessa consistenza fisica dell’immobile con conseguente aumento del carico urbanistico,
– Il mutamento di destinazione d’uso di immobili, cosiddetto “strutturale”, nel caso in cui esso comporti la realizzazione di opere edilizie, come nelle ipotesi di utilizzo a fini dei sottotetti o di piani cantinati,
– La demolizione e ricostruzione di fabbricati.
Altri punti fermi che la dottrina ha sempre sostenuto sono i seguenti:
La modifica dei prospetti, accompagnata da altre opere che tendono alla conservazione e alla funzionalità di un organismo edilizio, anche mediante un insieme sistematico di opere, senza modificare il volume, le superfici e la destinazione d’uso, si identificano tra gli interventi di restauro e risanamento conservativo.
La modifica dei prospetti, accompagnata da altre opere che alterino l’originaria consistenza fisica di un immobile, e comportino la modifica e ridistribuzione delle superfici interne, dei volumi e della sagoma, anche mediante la modifica della destinazione d’uso (purché conforme) , così da alterare l’originaria fisionomia o consistenza fisica dell’immobile, si ravvisa un intervento di ristrutturazione edilizia.
Sostanzialmente le modifiche dei prospetti, accompagnata da altre opere che differenziano la ristrutturazione dal restauro e risanamento conservativo e, tanto, meno, dalla manutenzione straordinaria, devono essere individuate nella “finalità” dell’intervento che, in queste ultime ipotesi, è quella del recupero conservativo e funzionale dell’edificio esistente, senza che questo sia considerato un qualcosa di diverso o un nuovo organismo edilizio rispetto all’edificio originariamente considerato.
Anche per quanto riguarda la sostituzione del tetto di un immobile valgono le stesse valutazioni fatte per le modifiche dei prospetti, risultando, se eseguito singolarmente, un intervento di manutenzione straordinaria, mentre se eseguita con altre opere – che non siano finalizzate alla conservazione dell’edificio – potrà essere individuata tra il restauro e risanamento conservativo o nella ristrutturazione in base agli elementi sopra esposti che ne determinano la qualificazione tecnico-giuridica.
Richiamando l’art. 27 della LR 12/2005, al quale in Lombardia è obbligatorio far riferimento, la modifica dei prospetti di un fabbricato, accompagnata da altre opere che tendono alla conservazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture di un edificio e ad assicurare la funzionalità dello stesso, purché non alterino i volumi, le superfici e le destinazioni d’uso, si individuano tra gli interventi di manutenzione straordinaria.
La qualificazione tecnico-giuridica dei suddetti interventi costituisce, di conseguenza, il regime economico degli stessi, ovvero: gli interventi di manutenzione straordinaria e di restauro e risanamento conservativo (salvo che non modifichino la destinazione d’uso) sono gratuiti, mentre quelli di ristrutturazione edilizia sono onerosi.
Occorre, quindi da parte del responsabile del procedimento, formulare la proposta di provvedimento, corredata da una dettagliata relazione, con la qualificazione tecnico-giuridica dell’intervento richiesto, nel caso di permesso di costruire, che tenga conto delle definizioni di cui all’art. 27 della LR n. 12/2005 per l’individuazione degli interventi di ristrutturazione edilizia per i quali s’imponga il pagamento del contributo di costruzione.
Alla stessa stregua il responsabile del procedimento deve verificare che le opere rientrino nella giusta categoria di intervento, con riferimento alle definizioni dell’art. 27 della LR n. 12/2005, nei casi di ammissibilità alla DIA o SCIA, prima di notificare all’interessato l’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento
In entrambe le ipotesi non è corretto attenersi all’art. 3, co. 1, lett. d), del dPR n. 380/2001, né, tanto meno, al successivo art. 10, co. 1, lett. c), stesso decreto, per far ricadere gli interventi che prevedono la semplice modifica dei prospetti nell’onerosità, senza tener conto delle considerazioni sopra esposte.
Dovrà, invero, essere il progettista abilitato prima, da una parte, a individuare la qualificazione tecnico giuridica dell’intervento proposto e lo stesso responsabile del procedimento poi, dall’altra, a verificare la corretta qualificazione dello stesso, formulando, a tal riguardo, una proposta di provvedimento, tenendo conto
se si tratta di un intervento manutentivo e conservativo, pur mediante l’esecuzione di modifiche di prospetti, accompagnati da altre opere o lavori comunque identificabili tra quelli di manutenzione straordinaria o di restauro e risanamento conservativo se si tratta di operazioni le cui caratteristiche fisiche, strutturali o funzionali, possa identificarsi, nel loro complesso, una vera e propria trasformazione edilizia/urbanistica del territorio e tale da incide significativamente su quest’ultimo.
Solo se l’intervento ricade in quest’ultima ipotesi si può considerare l’intervento proposto nell’ambito della ristrutturazione edilizia. E, pertanto, soggetto al rilascio del permesso di costruire (o Dia sostitutiva), subordinatamente alla corresponsione del contributo di costruzione.
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