D.LGS 42/2004 – CODICE DEI BENI CULTURALI E DEL PAESAGGIO: LE PRINCIPALI INNOVAZIONI PER IL SETTORE DELL’EDILIZIA
D D.LGS 42/2004 – CODICE DEI BENI CULTURALI E DEL PAESAGGIO: LE PRINCIPALI INNOVAZIONI PER IL SETTORE DELL’EDILIZIA
L’Ance ha fatto il punto sulle principali novità per il settore dell’edilizia contenute nel nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), che entrerà in vigore il prossimo 1° maggio. Il provvedimento, come chiarisce il documento Ance, si presenta come una vera e propria sistemazione dell’intera normativa in materia di patrimonio culturale.
Tra le disposizioni generali (parte prima) emerge, quale principio unificatore di tutta la normativa, il nuovo concetto di ”patrimonio culturale”, che comprende con riferimento all’art. 9 della Costituzione sia i beni culturali, sia quelli paesaggistici. Non meno importante è la distinzione funzionale tra i concetti di tutela e di valorizzazione del patrimonio, come effettuata dalla Legge Costituzionale 3/2001. La tutela, secondo il nuovo Codice, si identifica con l’attività volta a individuare, proteggere e conservare i beni del patrimonio culturale allo scopo di garantirne la fruizione pubblica; la valorizzazione, invece, consiste nella promozione della conoscenza del bene, assicurando al pubblico le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione.
La seconda parte del codice, quella dedicata ai beni culturali, distinti a seconda della loro appartenenza (pubblica o privata) e delle modalità di assoggettamento alla normativa di tutela contenuta nel nuovo Codice, contiene, tra gli aspetti d’interesse per il settore dell’edilizia, la normativa sul procedimento per l’imposizione del vincolo, sugli interventi edilizi in immobili vincolati, sulle opere di conservazione, sull’alienazione di un bene culturale.
Nella terza parte del provvedimento sono approfondite le rilevanti novità proposte dal codice in tema di beni ambientali. Cambiano le norme sul procedimento per l’imposizione del vincolo ambientale, sulla pianificazione paesistica e sull’autorizzazione paesistica per interventi edilizi.
Al contrario, non subiscono alcuna modifica, rispetto alla regolamentazione esistente, le sanzioni amministrative e penali previste in caso di inosservanza della disciplina sulla tutela del patrimonio culturale e ambientale (quarta parte del codice).
Con il decreto legislativo 8 gennaio 2004, n. 3, infine, è stata modificata la struttura del ministero dei Beni e delle attività culturali, ora articolato in quattro dipartimenti, a seconda della diversa area funzionale: beni culturali e paesaggistici; beni archivistici e librari; ricerca, innovazione e organizzazione; spettacolo e sport.
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2004 (supplemento ordinario n. 28) il Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ”Codice dei beni culturali e del paesaggio”, che detta la nuova normativa per la tutela e la valorizzazione del patrimonio nazionale sottoposto a vincolo culturale e ambientale.
Il nuovo Codice, varato dal Governo in attuazione della delega contenuta nell’art. 10 della Legge 137/2002, ha natura innovativa e non meramente ricognitiva come il precedente T.U. dei beni culturali e ambientali (D.Lgs. 490/99), presentandosi pertanto come una vera e propria risistemazione della materia, aggiornata alle modifiche costituzionali del 2001.
L’entrata in vigore è prevista per il 1° maggio 2004 (art. 183).
Disposizioni generali (Parte prima)
Principio unificatore di tutta la normativa è ora il riferimento all’art. 9 della Costituzione, in base al quale ”la Repubblica… tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”, entrambi ricondotti dal Codice nel nuovo concetto di ”patrimonio culturale”, comprendente beni culturali e beni paesaggistici (artt. 1 e 2).
Altro riferimento importante è quello alle funzioni di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, secondo la recente differenziazione operata dalla Legge Costituzionale 3/2001 nell’ambito dell’art. 117, Titolo V, Parte II della Costituzione.
Il nuovo Codice, infatti, cerca di fissare la sottile linea di confine di questa suddivisione, definendo la tutela come l’attività volta ad individuare, proteggere e conservare i beni costituenti il patrimonio culturale al fine di garantirne la fruizione pubblica (art. 3), mentre la valorizzazione consiste nell’attività diretta a promuoverne la conoscenza, assicurando al pubblico le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione (art. 6).
Proprio in considerazione di questa distinzione funzionale, si provvede ad adeguare la materia dei beni culturali e paesaggistici al nuovo assetto delle competenze legislative ed amministrative fra Stato e Regioni (artt. 117 e 118 Cost.).
Attualmente la Costituzione demanda alla competenza esclusiva dello Stato la disciplina della tutela del patrimonio culturale (art. 117, comma 2, lett. s), mentre la valorizzazione rientra fra le materie oggetto di legislazione concorrente (art. 117, comma 3), nelle quali la potestà legislativa spetta alle Regioni e lo Stato è chiamato a definire i soli principi fondamentali per garantire l’uniformità normativa su tutto il territorio nazionale.
Pertanto, il presente Codice in tema di valorizzazione prevede espressamente solo i principi fondamentali della materia, rinviando alle leggi regionali per la normativa di dettaglio (art. 7).
Per quanto riguarda invece le funzioni amministrative, la tutela dei beni culturali è attribuita al relativo Ministero, che la esercita direttamente o ne conferisce l’esercizio alle Regioni tramite forme di intesa e coordinamento così come previsto dall’art. 118, comma 3, Cost., mentre la tutela dei beni paesaggistici è conferita alle Regioni (art. 5).
La valorizzazione viene invece perseguita attraverso appositi accordi o intese fra Ministero, Regioni e gli altri enti pubblici territoriali, proprietari dei beni da valorizzare o comunque interessati.
Beni culturali (Parte seconda)
Ambito oggettivo
A differenza del regime previgente in cui vi era un elenco unico, nel nuovo Codice i beni culturali sono distinti a seconda della appartenenza, pubblica o privata, e delle modalità di assoggettamento alla disciplina di tutela (art. 10).
La prima macrodistinzione è fra beni appartenenti allo Stato, alle Regioni, agli altri enti pubblici territoriali, ad ogni altro ente o istituto pubblico nonchè a persone giuridiche private senza fine di lucro (ad esempio fondazioni), da un lato, e beni appartenenti a privati, dall’altro.
Fra i primi poi si distinguono, a seconda delle modalità di assoggettamento, i beni pubblici comunque assoggettati per legge alla normativa di tutela (raccolte di musei, pinacoteche, archivi, biblioteche) e quelli che presentano interesse storico, artistico, archeologico o etnoantropologico e, in quanto tali, sono sottoposti al Codice ma solo fino a quando non verrà effettuata la verifica della sussistenza dell’interesse (art. 12, ma vedi al riguardo anche l’art. 27 della Legge 326/2003, che avvia un’ampia operazione di verifica della permanenza dell’interesse culturale nel patrimonio pubblico e che ha creato problemi di coordinamento con la disciplina del Codice).
Nell’ambito dei beni privati, che sono assoggettati alla disciplina di tutela solo dopo l’imposizione del vincolo attraverso un provvedimento amministrativo che dichiara l’interesse culturale, si distinguono invece cose mobili o immobili (comprese ville, parchi, giardini, e ora anche siti minerari, tipologie storiche di architettura rurale come masserie, cascine, casali, nonchè piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani) che presentano un interesse culturale intrinseco e cose che presentano un interesse in relazione alla storia politica e militare, alla letteratura, all’arte e alla cultura.
In ogni caso non sono soggette alla disciplina del Codice le cose che sono opera di autore vivente o la cui esecuzione risalga a meno di cinquanta anni.
Vi sono infine alcune categorie di beni (art. 11) assoggettate a specifiche disposizioni di tutela, fra le quali rientrano, tra l’altro, affreschi, stemmi, graffiti, lapidi e altri ornamenti di edifici, esposti o no alla vista pubblica (art. 50), studi d’artista (art. 51), aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e ambientale (art. 52), e opere di architettura contemporanea di particolare valore artistico (art. 37).
Procedimento di imposizione del vincolo
La competenza ad emettere il provvedimento dichiarativo dell’interesse culturale da notificarsi al singolo proprietario (artt. 13 e 15) torna al Ministero (l’organo interno competente verrà successivamente stabilito con apposito regolamento interno), dopo che il D.P.R. 441/2000 (Regolamento sull’organizzazione del Ministero dei beni culturali) aveva attribuito tale potere alle Soprintendenze regionali.
Il soprintendente può ora solo avviare il procedimento, anche su richiesta della Regione o di altro ente territoriale interessato, dandone comunicazione ai singoli proprietari (art. 14).
È stata introdotta poi la possibilità per il proprietario di presentare ricorso in opposizione al Ministero avverso il provvedimento che impone il vincolo culturale, sia per motivi di legittimità che di merito, entro trenta giorni dalla sua notificazione (art. 16).
Per incentivare l’uso di questo strumento, riducendo così le impugnazioni al TAR, è prevista la sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, ossia è sospesa la sottoposizione del bene alla disciplina di tutela prevista dal Codice, salva l’applicazione in via cautelare delle norme sui poteri di vigilanza e ispezione del Ministero, sull’obbligo di chiedere l’autorizzazione preventiva in caso di interventi sui beni nonchè sull’obbligo di denuncia in caso di alienazione o altro atto che trasferisca la proprietà o la detenzione del bene (ma non quelle sulla prelazione).
Il Ministero dovrà pronunciarsi entro novanta giorni dalla presentazione del ricorso e, qualora accolga il ricorso, annullerà o riformerà il provvedimento che ha imposto il vincolo culturale.
Interventi edilizi su immobili vincolati
Alcuni interventi sui beni culturali sono vietati in termini assoluti, vale a dire distruzione, danneggiamento, uso incompatibile con il loro carattere storico-artistico o tale da recare danni alla conservazione (art. 20).
È ammessa invece la demolizione, anche con successiva ricostruzione, ma previo rilascio di autorizzazione da parte del Ministero (art. 21).
Gli altri interventi edilizi sui beni culturali sono subordinati ad autorizzazione della Soprintendenza, che può prevedere specifiche prescrizioni.
L’autorizzazione dovrà essere rilasciata entro centoventi giorni dalla ricezione della richiesta. Decorso tale termine senza che sia intervenuta pronuncia, il richiedente potrà diffidare la Soprintendenza ad adempire, e qualora quest’ultima continui a non provvedere nei successivi trenta giorni, la richiesta di autorizzazione si intende accolta (art. 22).
Viene comunque ribadito il principio già sancito dall’art. 23 del T.U. Edilizia (D.P.R. 380/2001) in base al quale sono ammissibili interventi edilizi soggetti a DIA su beni vincolati, a condizione che sia precedentemente acquisita l’autorizzazione della soprintendenza (art. 23).
Qualora nell’ambito del procedimento autorizzatorio si renda necessario ricorrere alla conferenza di servizi, l’autorizzazione è rilasciata dal competente organo del Ministero, ovvero qualora quest’ultimo esprima il proprio dissenso sull’intervento, dal Consiglio dei Ministri a cui si rivolge l’amministrazione procedente (art. 25, che ricalca la disciplina generale della conferenza di servizi contenuta negli artt. 14 e ss. della L. 241/1990 e in particolare il comma 3 dell’art. 14 quater).
Resta ferma la normativa in tema di valutazione d’impatto ambientale (art. 26). In caso di opere soggette a VIA, l’autorizzazione continua ad essere rilasciata in sede di VIA stessa dal Ministero sulla base del progetto definitivo. Il Ministero, se ritiene l’intervento incompatibile con le esigenze di protezione del bene culturale, si pronuncia negativamente e conseguentemente anche la VIA si considera negativa (art. 26).
Conservazione
Grava sui privati un vero e proprio obbligo di conservazione dei loro beni culturali, attraverso l’esecuzione dei lavori a ciò necessari (artt. 1 e 30).
Gli interventi conservativi (restauro, manutenzione) sul patrimonio privato possono pertanto essere volontari (art. 31) ovvero imposti dal Ministero, con esecuzione a carico dell’interessato o eseguiti direttamente dal Ministero stesso (art. 32).
Nel caso di interventi conservativi volontari, i lavori devono essere autorizzati dal soprintendente, che su richiesta dell’interessato può ammettere l’intervento al contributo statale, precedentemente riservato solo a quelli imposti dal Ministero.
In presenza di particolari condizioni (interventi di notevole rilevanza o su beni in uso o godimento pubblico), le spese per i lavori possono essere sostenute anche per intero dal Ministero (art. 35).
Le spese dovranno essere anticipate dal privato e il contributo statale sarà concesso a lavori ultimati e collaudati, sulla base della spesa effettivamente sostenuta dal privato, fatta salva l’erogazione di acconti in corso d’opera (art. 36).
Il Ministero può altresì concedere contributi in conto interessi sui mutui accordati da istituti di credito per la realizzazione degli interventi conservativi autorizzati (anche su opere di architettura contemporanea di particolare valore artistico, in deroga all’art. 10) (art. 37).
Gli immobili restaurati con il concorso economico totale o parziale dello Stato sono aperti al pubblico secondo modalità fissate, caso per caso, da apposite convenzioni stipulate fra Ministero e singoli proprietari al momento dell’assunzione da parte del primo dell’onere della spesa, e trasmesse al comune nel cui territorio si trova l’immobile (art. 38).
Tutela indiretta
Resta sostanzialmente invariata la disciplina della tutela indiretta (artt. 45 – 47), vale a dire la facoltà del Ministero di prescrivere distanze ed altre misure dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità degli immobili culturali, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce ovvero sia alterato l’ambiente circostante o il decoro.
È espressamente stabilito l’obbligo per gli enti locali di uniformare i loro strumenti urbanistici e i regolamenti edilizi a tali prescrizioni.
Quanto al relativo procedimento, il soprintendente ha competenza in ordine all’avvio, anche su richiesta della Regione o degli enti territoriali interessati, dandone comunicazione al singolo proprietario.
La comunicazione di avvio del procedimento non determina più come prima la possibilità di adottare provvedimenti cautelari, ma comporta la temporanea immodificabilità dell’immobile limitatamente agli aspetti relativi alle prescrizioni che si intendono impartire.
Anche contro questo provvedimento viene introdotta la possibilità di presentare ricorso in opposizione al Ministero, ma senza sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, il che significa che le prescrizioni impartite devono continuare ad essere osservate.
Alienazione
Nel caso in cui il privato intenda trasferire la proprietà o la detenzione (locazione, comodato, ecc…) del proprio immobile soggetto a vincolo culturale, dovrà effettuare, entro trenta giorni dal trasferimento, la denuncia al Ministero (e in particolare alla Soprintendenza competente per territorio) per permettere a quest’ultimo ovvero, in caso di sua rinuncia, alla Regione o agli enti territoriali interessati, di esercitare la prelazione e acquistare l’immobile (art. 59).
La stessa disposizione si applica altresì nel caso di successione a causa di morte, incombendo sull’erede o sul legatario al quale è pervenuto il bene culturale l’obbligo di denuncia.
Innovazioni si registrano in ordine alle condizioni di esercizio della prelazione e al suo procedimento (artt. 60 – 62).
La prelazione deve essere ora esercitata entro sessanta giorni dalla ricezione della denuncia ovvero, in caso di omissione o presentazione tardiva o incompleta, entro centottanta giorni dal momento in cui il Ministero ha acquisito la denuncia tardiva o è venuto in possesso di tutti gli elementi costitutivi della stessa.
Viene quindi introdotto, codificando l’orientamento della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Cassazione, un limite temporale all’esercizio della prelazione nel caso di denuncia omessa, tardiva o incompleta. Precedentemente, in questi casi, il Ministero non aveva limiti di tempo per esercitare la prelazione.
Resta ferma la norma che dispone la nullità delle alienazioni o degli altri atti giuridici che trasferiscono la proprietà o la detenzione del bene culturale senza l’osservanza delle condizioni e delle modalità prescritte, facendo comunque salva la facoltà del Ministero di esercitare la prelazione (art. 164).
Espropriazione
Il Codice, riprendendo il precedente Testo Unico, prevede tre tipi di espropriazione:
– espropriazione di beni culturali in senso stretto (ora anche a favore di persone giuridiche private senza fine di lucro), quando ciò risponda alla necessità di migliorarne le condizioni di tutela ai fini della fruizione pubblica, (art. 95);
– espropriazione di beni – vincolati o non – per fini strumentali, ossia quando ciò sia necessario per isolare o restaurare monumenti, assicurarne la luce o la prospettiva, garantirne o accrescerne il decoro o il godimento da parte del pubblico ovvero facilitarne l’accesso (art. 96);
– espropriazione di beni – anch’essi non necessariamente vincolati – per eseguire interventi di interesse archeologico o ricerche per il ritrovamento di beni culturali (art. 97).
Nel primo caso, l’unico che riguarda sempre beni culturali, è prevista pertanto una normativa differente rispetto alle altre due fattispecie, che, essendo solo finalizzate alla tutela di beni culturali, sono sottoposte alla disciplina generale del Testo Unico espropri (D.P.R. 327/2001), laddove compatibile (art. 100).
In particolare, l’espropriazione di beni culturali è di competenza del Ministero dei beni culturali, a meno che non vi sia una richiesta in tal senso da parte di Regioni o enti territoriali, nel qual caso, in attuazione del nuovo principio per cui ”l’autorità che realizza l’opera pubblica è competente anche ad emanare gli atti del procedimento espropriativò’, il Ministero si limita ora ad autorizzare l’atto ablativo, emettendo la relativa dichiarazione di pubblica utilità, e rimette gli atti all’ente interessato per la prosecuzione del procedimento (art. 95).
Solo in questa ipotesi l’indennità di esproprio può consistere nel prezzo di mercato del bene (art. 99).
Fruizione, uso e valorizzazione dei beni culturali
In tema di fruizione, anche gli immobili privati che presentano un eccezionale interesse, possono essere assoggettati a visita da parte del pubblico, previa dichiarazione del Ministero, sentito il proprietario (art. 104).
Il privato potrà comunque concordare le modalità di visita con il soprintendente, che a sua volta ne darà comunicazione al comune nel cui territorio si trova il bene.
È prevista inoltre la possibilità per il Ministero, le regioni e gli enti locali di concedere in uso, a chi ne faccia richiesta, i loro beni culturali per finalità compatibili con la specifica destinazione culturale (art. 106). Qualora si tratti di beni del Ministero, il provvedimento che concede l’uso e determina il relativo canone è emanato dal soprintendente.
Quanto alla valorizzazione, come già anticipato, vengono fissate dal Codice solo le norme di principio, essendo devoluta alle regioni la competenza legislativa in materia.
Innanzitutto, per dare maggiore concretezza alla definizione di valorizzazione contenuta nell’art. 6, si sottolinea che tale attività consiste nella predisposizione, nella organizzazione stabile nonchè nella messa a disposizione di risorse finanziarie e tecniche, strutture e reti ed inoltre si precisa che l’iniziativa può essere sia pubblica che privata (art. 111).
La valorizzazione ad iniziativa privata è riconosciuta attività socialmente utile, avente finalità di solidarietà sociale.
Qualora abbia ad oggetto beni culturali di proprietà privata, la valorizzazione presuppone un accordo fra ente pubblico e proprietario che ne stabilisce le relative modalità, e può beneficiare di misure di sostegno pubblico in rapporto alla rilevanza del bene (art. 113).
Anche i privati comunque possono partecipare alla valorizzazione di beni culturali di proprietà pubblica, che avviene attraverso la stipula di accordi integrati su base regionale fra Stato, regioni ed autonomie locali, ciascuno per i beni di loro appartenenza (art. 112). Accordi peraltro che, previo consenso del soggetto interessato, possono riguardare anche beni di proprietà privata.
Inoltre, in tema di gestione dell’attività di valorizzazione dei beni pubblici, accanto ad una forma diretta di gestione – svolta attraverso strutture interne alle amministrazioni stesse – è prevista una forma indiretta, attuata attraverso l’affidamento dell’attività a istituzioni, fondazioni, associazioni, consorzi, società o altri soggetti costituiti o partecipati dall’amministrazione cui i beni appartengono ovvero attraverso la concessione a soggetti terzi (art. 115).
In quest’ultimo caso, il rapporto fra il soggetto pubblico titolare dell’attività e il concessionario è regolato con contratto di servizio, nel quale sono specificati, tra l’altro, i livelli qualitativi di erogazione del servizio nonchè i poteri di indirizzo e controllo spettanti al primo e può essere attribuita al terzo anche la concessione in uso del bene culturale stesso.
Vi sono infine due rilevanti novità. La prima riguarda il riconoscimento della ”sponsorizzazione dei beni culturali” come forma di valorizzazione vera e propria, che ricomprende ogni tipo di contributo da parte di soggetti privati alla progettazione o all’attuazione di iniziative pubbliche o private nel campo della tutela e della valorizzazione, allo scopo di promuovere il proprio nome, il marchio, l’immagine, l’attività o il prodotto, attraverso l’accostamento a tale iniziativa in modo compatibile con il carattere culturale e il decoro del bene (art. 120).
La seconda concerne un’ulteriore forma di sostegno all’attività di valorizzazione, vale a dire la possibilità per il Ministero, le regioni e gli enti territoriali di stipulare, anche congiuntamente, protocolli d’intesa con le fondazioni bancarie che perseguono scopi culturali, al fine di coordinare i relativi interventi e garantire un impiego equilibrato delle risorse finanziarie messe a disposizione da queste ultime (art. 121).
Beni paesaggistici (Parte terza)
Diverse sono le novità che il codice propone in tema di beni ambientali:
– l’ampliamento dell’ambito oggettivo della tutela e l’eliminazione dei vincoli automatici imposti dalla Legge Galasso 431/1985
– nuove modalità di imposizione del vincolo
– la riforma della pianificazione paesistica in un’ottica di maggiore coordinamento con quella urbanistica e secondo una logica non solo di tutela del bene ma anche di valorizzazione e riqualificazione
– un nuovo procedimento di autorizzazione degli interventi edilizi sugli immobili vincolati.
Ambito oggettivo
L’art. 131 definisce ”paesaggio” una parte omogenea del territorio mentre, in base all’art. 134, sono ora beni paesaggistici, oltre agli immobili e alle aree vincolate attraverso un provvedimento regionale che ne dichiara il notevole interesse pubblico (art. 136: immobili con particolare carattere di bellezza naturale, ville, giardini, parchi, complessi di cose immobili, bellezze panoramiche, ecc…) e alle aree tutelate per legge ai sensi della Legge 431/1985 (art. 142: fiumi, laghi, coste marine, parchi, riserve naturali, ecc… ed adesso territori coperti da boschi e foreste, ancorchè percorsi dal fuoco), anche gli immobili e le aree sottoposte a tutela dal piano paesistico regionale, come già disposto da alcune leggi regionali.
In particolare, le aree elencate dall’art. 142 e vincolate sulla base della Legge Galasso saranno sottoposte alla normativa di tutela prevista dal Codice solo fino all’approvazione dei piani paesistici regionali o all’adeguamento di quelli esistenti.
Procedimento per l’imposizione del vincolo ambientale
Eliminato il precedente riferimento agli elenchi regionali di beni ambientali, l’iniziativa per la dichiarazione di notevole interesse pubblico (art. 138) spetta al Direttore regionale, alla Regione o agli altri enti territoriali interessati, con la presentazione di una richiesta all’apposita Commissione provinciale istituita dalla Regione stessa (art. 137).
La Commissione procede prima ad acquisire tutte le informazioni sul bene e, dopo aver valutato la sussistenza dell’interesse pubblico nell’immobile, provvede a formulare alla Regione la proposta di dichiarazione del vincolo, che deve contenere una specifica disciplina per la tutela e la valorizzazione del bene da recepire nel piano paesaggistico.
La proposta viene pubblicata per novanta giorni sull’albo pretorio nonchè sulla stampa regionale e nazionale ed entro i successivi sessanta giorni qualunque soggetto, pubblico o privato, interessato può presentare osservazioni alla Regione, che può a sua volta indire una inchiesta pubblica (art. 139).
Solo una volta svolti tali adempimenti, la Regione comunica l’avvio del procedimento per l’imposizione del vincolo al proprietario, il quale entro sessanta giorni può presentare osservazioni.
Successivamente la Regione emana il provvedimento – che non ha più soltanto carattere conservativo, ma può contenere anche prescrizioni per la gestione del bene in accordo con il piano paesistico – e lo notifica al proprietario (art. 140).
Rispetto al Testo Unico, è stato introdotto poi un intervento sostitutivo del Ministero, qualora la Commissione non proceda ad acquisire le necessarie informazioni e a formulare le proprie valutazioni entro sessanta giorni dalla richiesta ovvero quando il provvedimento regionale di dichiarazione dell’interesse pubblico non venga comunque emanato entro un anno dalla suddetta richiesta (art. 141).
Pianificazione paesistica
Viene innanzitutto sancito l’obbligo a carico delle Regioni di approvare piani paesistici – ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici – dell’intero territorio regionale, aventi ad oggetto le trasformazioni compatibili, le azioni di recupero e riqualificazione degli immobili e delle aree tutelate nonchè gli interventi di valorizzazione del paesaggio (art. 135).
Le prescrizioni di tali piani – che devono essere coordinate con quelle degli atti di pianificazione territoriale e di settore nonchè con gli atti statali e regionali di sviluppo economico – sono vincolanti per gli strumenti urbanistici di comuni e province ed immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute in questi ultimi (art. 145).
Secondo la nuova normativa (art. 143), il piano ripartisce il territorio regionale in ambiti omogenei a seconda del pregio paesistico o del degrado che presentano e per ciascun ambito stabilisce un diverso obiettivo di qualità paesistica (mantenimento delle caratteristiche, previsione di linee di sviluppo urbanistico ed edilizio compatibili e tali da non diminuire il pregio dell’area, recupero e riqualificazione).
Il piano ha contenuto descrittivo (ricognizione dell’intero territorio; analisi delle dinamiche di trasformazione; individuazione degli ambiti omogenei e dei relativi obiettivi di qualità), prescrittivo (definizione di norme generali per la tutela e l’uso del territorio; determinazione di specifiche misure di conservazione, valorizzazione e gestione) e propositivo (individuazione di interventi di recupero e riqualificazione delle aree degradate; individuazione delle misure per un corretto inserimento degli interventi di trasformazione del territorio nel paesaggio; individuazione di categorie di immobili o di aree, diverse da quelle sottoposte a vincolo o tutelate per legge, da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione).
In relazione alle tipologie di opere edilizie da eseguire sul territorio regionale, il piano individua altresì le aree nelle quali i diversi interventi sono consentiti nel rispetto delle prescrizioni conservative e di gestione stabilite dal piano stesso, e le aree nelle quali devono essere osservati anche parametri urbanistici ulteriori e vincolanti per gli strumenti di pianificazione territoriale.
Il piano, infine, può individuare:
– aree tutelate ex art. 142, nelle quali, anche dopo l’approvazione del piano paesistico, la realizzazione delle opere edilizie consentite richiede comunque il previo rilascio dell’autorizzazione in considerazione dell’alto valore paesaggistico;
– aree, non oggetto di provvedimenti dichiarativi, nelle quali gli interventi possono essere realizzati senza il rilascio dell’autorizzazione paesistica ma previa una semplice verifica della conformità dell’opera alle previsioni del piano stesso e degli strumenti urbanistici, effettuata nell’ambito del procedimento per il rilascio del titolo abilitativo edilizio (l’operatività di questa disposizione è però subordinata all’approvazione degli strumenti urbanistici come adeguati al piano paesistico);
– aree degradate nelle quali l’esecuzione di interventi di recupero non richiede il rilascio dell’autorizzazione paesistica.
Al fine di una collaborazione istituzionale, lo Stato può partecipare alla pianificazione paesistica. Il Ministero dei beni culturali e il Ministero dell’ambiente, infatti, potranno stipulare con le regioni accordi in cui vengono stabili i contenuti del piano stesso ed inoltre è previsto che, qualora la regione, successivamente all’elaborazione d’intesa, non approvi il piano entro il termine stabilito, vi provvederà il Ministero dei beni culturali in via sostitutiva.
Alle regioni che non sceglieranno la strada dell’accordo con lo Stato nell’elaborazione dei piani paesistici, viene preclusa la possibilità di individuare le aree sopra elencate, nelle quali può vigere un diverso regime autorizzatorio degli interventi sui beni.
La nuova normativa in tema di pianificazione paesistica è soggetta ad un regime transitorio. In particolare, le Regioni hanno a disposizione quattro anni per verificare la conformità dei piani paesistici vigenti e per il loro eventuale adeguamento (art. 156), mentre i comuni, le città metropolitane, le province e gli enti gestori di aree naturali protette adeguano i loro atti di pianificazione urbanistica e territoriale entro il termine stabilito da ciascun piano paesistico regionale e comunque non oltre due anni dall’approvazione di questo, potendo introdurre ulteriori prescrizioni conformative per garantire una ottimale tutela dei valori paesaggistici (art. 145).
Autorizzazione paesistica per interventi edilizi
Anche il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione paesistica è stato completamente riscritto (art. 146).
Allo schema ”autorizzazione regionale – controllo del Ministero e relativo potere di annullamentò’ è stato sostituito un procedimento di competenza regionale, o dell’ente locale a cui la Regione conferisce tale competenza in via di delega, nell’ambito del quale l’Autorità statale interviene attraverso il rilascio di un parere, peraltro non vincolante, da parte della Soprintendenza, da rendersi in un termine perentorio.
Ricevuta la domanda di autorizzazione, l’amministrazione competente (Regione o ente locale) verifica la conformità dell’intervento alle prescrizioni del piano paesistico, ne accerta:
– la compatibilità con i valori paesaggistici riconosciuti dal vincolo
– la congruità con i criteri di gestione dell’immobile
-la coerenza con gli obiettivi di qualità paesistica
e acquisisce il parere obbligatorio della Commissione per il paesaggio, istituita dalla Regione presso gli enti locali delegati al rilascio dell’autorizzazione paesistica (art. 148), potendo richiedere integrazioni documentali una sola volta.
La proposta di autorizzazione così formulata viene trasmessa (entro quaranta giorni dalla ricezione della domanda) alla Soprintendenza competente, la quale entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla ricezione della proposta comunica il proprio parere e nei successivi venti giorni l’autorizzazione viene rilasciata o negata dall’amministrazione competente.
Qualora la Soprintendenza nel termine perentorio accordato dalla legge non si pronunci sulla proposta di autorizzazione, l’amministrazione competente può procedere ugualmente ad assumere le proprie determinazioni, così come può decidere in difformità dal parere della soprintendenza.
L’autorizzazione – che diviene efficace dopo venti giorni dalla sua emanazione ai fini della piena conoscenza da parte degli enti interessati, compresa la soprintendenza – costituisce atto distinto e presupposto rispetto al titolo abilitativo edilizio e in mancanza di essa i lavori non possono essere iniziati.
In caso di inerzia dell’ente locale delegato provvederà la regione ovvero la soprintendenza se il potere è rimasto alla regione.
Disattendendo un recente orientamento della giurisprudenza, è stata esclusa la possibilità di ottenere il rilascio in sanatoria dell’autorizzazione paesistica successivamente alla realizzazione, anche solo parziale, degli interventi.
Modifiche ha subito anche la norma che disciplina il rilascio del ”nulla osta ambientale” nel caso di opere da eseguirsi da parte di amministrazioni statali (art. 147). Sulla richiesta di autorizzazione non è più competente il Ministero, ma è previsto il coinvolgimento di tutti gli enti pubblici interessati attraverso l’indizione di una conferenza di servizi, solo all’esito positivo della quale il provvedimento è rilasciato.
Resta ferma la norma che esclude dall’autorizzazione, tra l’altro, gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, consolidamento statico, restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici (art. 149). Altre deroghe possono essere stabilite dal piano paesistico.
In ogni caso, occorre precisare che, in via transitoria, il nuovo regime autorizzatorio troverà applicazione solo una volta che le regioni avranno approvato o adeguato i loro piani paesistici e gli enti locali avranno a loro volta adeguato gli strumenti urbanistici alle previsioni dei piani regionali stessi.
Fino a questo momento – che si prevede piuttosto lungo avendo le regioni a disposizione quattro anni e gli enti locali altri due anni (sei in tutto) – gli interventi sui beni ambientali saranno soggetti ad un procedimento di autorizzazione che ricalca quello contenuto nel T.U. 490/99 (art. 159). In particolare, l’amministrazione competente ha a disposizione sessanta giorni dalla richiesta per rilasciare o negare l’autorizzazione e, in caso di pronuncia positiva, dovrà darne comunicazione alla soprintendenza, unitamente alla trasmissione della documentazione prodotta dal privato e delle risultanze dell’istruttoria svolta.
L’amministrazione competente al rilascio del nulla osta dovrà altresì dare comunicazione all’interessato della trasmissione degli atti alla soprintendenza e tale comunicazione ha valore di avviso di inizio del relativo procedimento.
Il Ministero, entro sessanta giorni dalla ricezione degli atti, potrà annullare l’autorizzazione con provvedimento motivato.
Viene infine escluso il rilascio dell’autorizzazione per interventi su beni oggetto di vincoli di inedificabilità imposti sulla base della Legge Galasso, fin tanto che non vengano approvati i piani paesistici regionali.
Sanzioni (parte quarta)
Le sanzioni, sia amministrative che penali, previste in caso di inosservanza della disciplina sulla tutela del patrimonio culturale e ambientale non hanno subito alcuna modifica, a causa del silenzio della delega parlamentare su tale aspetto.
La nuova organizzazione del Ministero dei beni culturali
Con il Decreto Legislativo 8 gennaio 2004, n. 3 (Gazzetta Ufficiale n. 11 del 15 gennaio 2004) è stata modificata anche la struttura del Ministero dei beni e delle attività culturali (D. Lgs. 300/1999 e D. Lgs. 368/1998).
L’organizzazione del Ministero è ora articolata in quattro Dipartimenti, a seconda della diversa area funzionale:
– beni culturali e paesaggistici
– beni archivistici e librari
– ricerca, innovazione e organizzazione
– spettacolo e sport
organi che a loro volta si articolano, nel complesso, in dieci uffici dirigenziali generali, a cui si uniscono altri due uffici dirigenziali generali presso il Gabinetto del Ministro.
Accanto a questi organi, sempre a livello centrale, vi sono poi alcuni organismi consultivi, quali il Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici, i Comitati tecnico-scientifici e i Comitati regionali di coordinamento.
A livello periferico abbiamo però la novità più rilevante. Le soprintendenze regionali vengono infatti sostituite da diciassette direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici (ad esclusione di Valle d’Aosta, Trentino Alto-Adige e Sicilia), che costituiscono articolazioni territoriali del relativo dipartimento e hanno sede nel capoluogo di regione.
A capo delle direzioni vi sono ora altrettanti direttori regionali, aventi il compito di coordinare e dirigere le attività degli uffici periferici del Ministero operanti in ambito regionale.
La normativa sulla nuova organizzazione del Ministero troverà comunque applicazione solo con l’entrata in vigore degli appositi regolamenti, previsti nell’ambito dell’art. 1 del Decreto, che dovranno individuare e disciplinare l’ordinamento degli uffici del Ministero.
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