IL NUOVO CONDONO EDILIZIO – STUDIO EFFETTUATO DALL’ANCE
IL NUOVO CONDONO EDILIZIO – STUDIO EFFETTUATO DALL’ANCE IL NUOVO CONDONO EDILIZIO – STUDIO EFFETTUATO DALL’ANCE
Con la pubblicazione (G.U. n. 274 del 25/11/2003, Supplemento ordinario n. 181) della legge 24 novembre 2003, n. 326, di conversione del Decreto Legge 269/03, è stato definito il quadro normativo del nuovo condono edilizio.
Tuttavia, la dottrina e le amministrazioni sembrano interpretare non sempre in modo univoco le varie disposizioni.
Proprio per chiarirne i contenuti, l’Ance ha predisposto un documento che analizza l’art. 32 della legge 326/03.
INDICE
1. Ambito oggettivo
2. Ambito soggettivo
3. Esclusioni e limitazioni della sanatoria
4. Sanatoria su aree demaniali
5. Procedimento per la sanatoria
6. Disposizioni varie
7. Misure finanziarie
1. AMBITO OGGETTIVO
Il legislatore, per specificare l’ambito di applicazione della sanatoria edilizia, ha fatto riferimento a due macrocategorie:
Ampliamenti
Qualunque sia la destinazione d’uso dell’immobile su cui siano stati realizzati (residenziale e non) sono condonabili ove non superino, alternativamente, i 750 metri cubi ovvero il trenta per cento della volumetria della costruzione originaria.
Nuove costruzioni
Per fini residenziali opera il doppio limite di 750 metri cubi per singola richiesta di titolo abilitativo in sanatoria e quello complessivo di 3.000 metri cubi riferito all’intero edificio.
Per usi non residenziali non operano i limiti volumetrici previsti per le residenze.
Se non sorgono particolari problemi interpretativi in ordine agli ampliamenti, necessitano, al contrario, alcuni chiarimenti in ordine alle nuove costruzioni. Le singole richieste di titolo per immobili residenziali devono essere legate all’unità abitativa. È conseguentemente da ammettersi la possibilità che, relativamente allo stesso edificio, più istanze siano presentate anche dallo stesso soggetto.
Quanto al limite complessivo dei 3.000 metri cubi, la norma afferma che l’eventuale superamento di detta soglia inibisce integralmente la sanatoria delle opere abusive, e non solo di quelle eccedenti il tetto massimo.
Relativamente alle nuove costruzioni ad uso non residenziale, il legislatore nulla dice espressamente. Atteso che i limiti generali di 750 metri cubi o del 30% di cui al primo periodo del comma 25 si riferiscono esclusivamente agli ampliamenti (giacchè la valutazione va fatta in base alla ’costruzione originarià’), non sembra che lo stesso possa essere utilizzato anche per le nuove costruzioni non residenziali; così come non può estendersi al ’non residenzialè’ il doppio limite di 750 e 3.000 metri cubi di cui al secondo periodo del comma 25, da riferirsi ai soli nuovi edifici residenziali.
È da sottolineare che nello schema di domanda relativa alla definizione degli illeciti edilizi, pubblicata in allegato alla legge, si fa esplicito riferimento alla destinazione d’uso residenziale e non residenziale.
Inoltre, il quadro di riferimento è sempre riconducibile all’art. 31 della L. 47/1985 che ammette la sanatoria di ambedue le tipologie, per cui le disposizioni dell’art. 32 della L. 326/2003 hanno unicamente la funzione di restringere le possibilità di sanatoria per le nuove costruzioni residenziali.
Ed allora la soluzione preferibile è quella di ammettere la sanatoria delle nuove costruzioni non residenziali senza (e quindi anche oltre) i limiti volumetrici previsti per le residenze, come nei precedenti condoni.
Tutte le opere, in ogni caso, devono essere state ultimate entro il 31 marzo 2003. Il concetto di ultimazione va distinto a seconda che debba riferirsi a immobili residenziali o non residenziali.
Nel primo caso, si intende ultimato l’edificio la cui struttura (rustico e copertura) sia completata, così da rendere immodificabile la volumetria impegnata.
Nel secondo caso, invece, occorre far riferimento al criterio ’funzionalè’. Bisogna verificare, in sostanza, che gli interventi realizzati al 31 marzo 2003 siano idonei (in modo inequivocabile) all’utilizzo cui erano destinati.
Le tipologie di opere sanabili, su tutto il territorio nazionale sono le seguenti:
1) le opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (c.d. abusi sostanziali);
2) le opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio, ma conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici alla data di entrata in vigore del presente provvedimento (c.d. abusi formali);
3) opere di ristrutturazione edilizia come definite dall’art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. 6 giugno 2001 n°380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio.
In riferimento, agli interventi realizzati su immobili soggetti ai vincoli di cui all’art. 32 della Legge 28 febbraio 1985 n°47 (integralmente rescritto dal nuovo condono), sono suscettibili di sanatoria:
1) le opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall’art. 3, comma 1, lett. c), del D.P.R. 6 giugno 2001 n°380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio;
2) opere di manutenzione straordinaria, come definite dall’art. 3, comma 1, lett. b), del D.P.R. 6 giugno 2001 n°380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio;
3) opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume.
Con propria legge, le regioni possono estendere la sanatoria anche alle tipologie di opere sopra indicate realizzate su aree non soggette a vincolo.
È da sottolineare che nella normativa precedente si faceva riferimento ad immobili vincolati.
Adempimenti regionali
– disciplinare il procedimento amministrativo per il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria, nel rispetto dei termini assegnati dalla normativa nazionale; – incrementare facoltativamente l’oblazione fino a un massimo del 10%;
– aumentare fino al 100% gli oneri di concessione per le opere abusive;
– individuare l’ulteriore documentazione da allegare alla domanda;
– disciplinare la possibilità, le condizioni e le modalità di regolarizzazione, su immobili non soggetti al vincolo di cui all’art. 32 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, dei seguenti interventi:
a) opere di restauro e risanamento conservativo realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativi edilizio (anche se realizzate in zona A);
b) opere di manutenzione straordinaria realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio;
c) opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volumi.
Fatta eccezione per la facoltà di incremento degli oneri concessori, tutti gli altri adempimenti avrebbero dovuto essere disciplinati entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge n. 269/03 (e cioè entro il 1° dicembre 2003).
Tuttavia il termine, nel silenzio del legislatore, deve considerarsi meramente ordinatorio. Pertanto, si ritiene che le regioni possano avvalersi delle facoltà concesse dal condono fino al 31 marzo 2003.
2. AMBITO SOGGETTIVO
Il procedimento finalizzato alla sanatoria edilizia ha inizio per impulso del responsabile dell’abuso o di chi, comunque, è legittimato a richiedere il titolo abilitativo edilizio in sanatoria.
Tale atto di impulso è stato definito anche con il termine di auto-denuncia, in quanto si ritiene che sia principalmente lo stesso responsabile dell’abuso a denunciare il fatto ed a chiedere il condono.
Sono legittimati a presentare domanda di sanatoria edilizia:
a) i proprietari delle costruzioni e delle altre opere abusive;
b) i soggetti che hanno titolo a chiedere il titolo abilitativo ai sensi dell’art. 11 del Testo Unico dell’edilizia (D.P.R. 380/2001);
c) qualsiasi soggetto interessato al conseguimento della sanatoria, cioè a beneficiare dei suoi effetti.
Il proprietario e gli altri aventi titolo
Ai sensi dell’art. 11 del Testo Unico dell’edilizia sono legittimati a presentare la domanda di permesso di costruire i proprietari dell’immobile o quanti abbiano titolo ad utilizzare in senso giuridico l’immobile, sulla base di atto negoziale, o comunque sulla base di un rapporto reale e qualificato con l’immobile stesso.
I soggetti aventi titolo, oltre ai proprietari, possono essere così individuati, a carattere esemplificativo:
– superficiario al di sopra del suolo (art. 952 c.c.);
– enfiteuta solo nell’ambito e nei limiti del contenuto del contratto di enfiteusi, rimanendo pertanto al proprietario il diritto di chiedere il permesso di costruire per tutto ciò che rimane al di fuori del contratto di enfiteusi;
– usufruttuario;
– locatario, per la manutenzione straordinaria urgente ai sensi dell’art. 1577 c.c.;
– titolari di diritto reale di servitù prediali coattive o volontarie, come elettrodotti, funicolari, scarichi, acquedotti, ecc. per lavori di manutenzione straordinaria o di trasformazione inerenti il loro titolo;
– affittuario agrario e concessionario di terre incolte per miglioramenti dei fabbricati rurali e della casa di abitazione;
– titolari in base a negozio giuridico di diritto privato, cioè delega, procura o mandato da parte del proprietario;
– titolari di diritti derivanti da provvedimenti autoritativi quali, ad esempio, il beneficiario, l’assegnatario di terre incolte, il concessionario di miniere e di beni demaniali, nonchè colui che, in adempimento ad obblighi di fare, sia a ciò autorizzato per ordine del giudice;
– titolare di diritto derivante da speciali situazioni previste dalla legge quali, ad esempio, tutore e curatore. Ne discende che il minore e l’interdetto, l’inabilitato, il fallito potranno presentare la richiesta di condono attraverso i genitori, il tutore, il curatore fallimentare, data la natura dell’atto da compiersi; nel caso di concordato preventivo o di amministrazione controllata potrà ritenersi che il debitore possa presentare autonomamente domanda di condono poichè siffatta richiesta rientra nei limiti dell’amministrazione dei suoi beni e dell’esercizio dell’impresa sotto la vigilanza del commissario giudiziale a norma dell’art. 167 della l. n. 77/1955.
Quando il soggetto titolare del diritto sull’immobile sia una persona giuridica, il richiedente la sanatoria va identificato nella persona fisica che ne ha la rappresentanza legale e che agisce in base alla stessa.
Nell’ambito della categoria dei soggetti legittimati, in capo ai quali è comunque riconoscibile un interesse giuridico ed economico all’ottenimento della sanatoria, si ritengono rientranti i detentori del bene abusivo.
Un esempio tipico di tale fattispecie si rinviene nel locatario del bene abusivo, al quale indubbiamente deriverebbe un danno qualora non fosse concessa la sanatoria. In tale ipotesi, si ha una sorta di surrogazione del conduttore al proprietario, in quanto l’inerzia di quest’ultimo potrebbe produrre effetti pregiudizievoli anche per il primo.
Un interesse al conseguimento del condono edilizio può altresì essere riconosciuto a colui che, al momento della presentazione della domanda, non sia più proprietario dell’immobile abusivo, ma sia stato l’autore dell’illecito, con evidente interesse agli effetti estintivi dell’ illecito sia di natura penale che amministrativa (demolizione).
Altri casi particolari possono essere rappresentati da: coloro che vantino un credito nei confronti del proprietario dell’immobile abusivo; proprietario del suolo sul quale insiste il manufatto abusivo realizzato da un terzo; l’istituto di credito e chiunque abbia concesso al proprietario un mutuo coperto da garanzia sull’immobile; il figlio maggiorenne a causa dell’inerzia del genitore.
Da questa ricognizione dei soggetti legittimati a richiedere il condono emerge con evidenza una profonda alterazione del principio generale contenuto nell’art. 11 del Testo Unico dell’edilizia, in base al quale il provvedimento può essere rilasciato solo al proprietario od all’avente titolo che vanti un diritto reale.
Il rilascio del provvedimento di sanatoria ad un ’altro soggetto interessatò’ pone un problema di voltura del titolo, nell’ambito dell’eventuale azione di rivalsa.
È altresì da sottolineare che, ai sensi del secondo comma dell’art. 38 della l. n. 47/1985, come modificato dall’art. 6 della l. n. 68/1988, qualora l’immobile appartenga a più proprietari, l’oblazione versata da uno di essi estingue il reato anche nei confronti degli altri comproprietari.
L’art. 10 della l. n. 68/1988 ha, poi, fornito chiarimenti in merito all’ammissibilità di domande relative all’edilizia agevolata, stabilendo che il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere abusive comportanti l’aumento delle superfici massime consentite nelle abitazioni per le quali sia stato concesso un finanziamento pubblico di qualsiasi genere non determina, la decadenza dai relativi benefici.
Si è quindi optato per la permanenza di agevolazioni finanziarie in presenza di abusi edilizi eccedenti i limiti dimensionali fissati per legge, i quali non sono perciò da considerare inderogabili ai fini del condono e non implicano la decadenza dei benefici sui mutui.
Azione di rivalsa
Come si è già parzialmente accennato, il comma terzo dell’art. 31 della l. n. 47/1985, nell’accordare la legittimazione a presentare la domanda in sanatoria ad ’ogni altro soggetto interessatò’ (diverso da chi ha titolo ad ottenere il titolo abilitativo in via ordinaria) fa salvo il diritto di rivalsa nei confronti del proprietario. Tale diritto deve intendersi riferito all’importo dell’oblazione e degli oneri concessori che siano stati pagati ed alle altre spese affrontate per la domanda in sanatoria.
In linea generale, per definire tale istituto occorre aver riguardo ai rapporti intercorrenti tra chi (diverso dal proprietario) ha un interesse ad ottenere la sanatoria ed il proprietario.
Il diritto di rivalsa non compete certamente quando il soggetto interessato alla sanatoria sia esso stesso responsabile dell’abuso compiuto (ad esempio, nel caso che l’abuso edilizio sia stato eseguito dal locatario, senza consenso del proprietario), mancando in questo caso il presupposto di un regresso.
Il diritto deve invece essere riconosciuto allorquando dalla domanda di condono derivi un vantaggio patrimoniale per il proprietario del bene, consistente nella legalizzazione del bene stesso e nella non applicazione delle sanzioni amministrative, ovvero il non esperimento di un’azione per danni da parte dell’acquirente ignaro dell’abuso nei confronti del venditore responsabile dell’illecito.
Il committente, il costruttore e il direttore dei lavori
I soggetti responsabili della conformità delle costruzioni, diversi dal proprietario, devono presentare, per poter beneficiare degli effetti estintivi penali, un’autonoma domanda di condono, corrispondendo un’oblazione nella misura del 30 per cento rispetto a quella dovuta, ai sensi di legge, dal proprietario.
Tale disposizione si applica ai soggetti indicati dall’art. 29 del Testo Unico dell’edilizia, ossia al titolare del permesso di costruire, al committente, al costruttore ed al direttore lavori, ove siano diversi dal proprietario.
Essendo il versamento finalizzato all’ottenimento dei benefici penali, non ne ricorrono i presupposti quando si è in presenza di abusi non sanzionati dall’art. 44 del Testo Unico dell’edilizia.
Egualmente non si rinviene l’onere dell’oblazione allorquando sia intervenuta la prescrizione del reato per il decorso del triennio o l’amnistia.
Il pagamento di tale oblazione non è condizionato dalla mancata presentazione della domanda di sanatoria che deve essere inoltrata dal proprietario o da altro soggetto interessato: ugualmente esso non è collegato all’eventuale esito negativo della domanda di sanatoria ovvero al mancato pagamento dell’oblazione relativo alla stessa.
Condizione essenziale è che vi sia una richiesta distinta di ciascun soggetto, diverso dal proprietario ed un autonomo versamento.
Se la domanda è effettuata da uno o più soggetti, ma non da tutti quelli obbligati, la stessa può avere sempre il suo corso, ovviamente producendo i suoi effetti solo a beneficio di chi si sia attivato ed abbia pagato l’oblazione.
Si può porre il problema se il soggetto di cui all’art. 29 del Testo Unico dell’edilizia possa presentare domanda di sanatoria corrispondendo l’intera oblazione, non limitando quindi gli effetti a quelli penali, ma estendendoli anche a quelli amministrativi: ossia, la conservazione del bene.
Indubbiamente, può essere riconosciuto un interesse analogo a quello previsto per gli altri soggetti che non vantano un diritto di proprietà o reale.
Si potrebbe però prospettare la questione che l’oblazione operi come causa estintiva penale solo per il soggetto al quale la causa estintiva si riferisce, avendo il reato natura personale. Ed allora, si arriverebbe alla conclusione contraddittoria che il proprietario dovrebbe presentare un’autonoma domanda di oblazione limitata all’estinzione del reato penale.
Si deve comunque sottolineare che, aldilà dell’aspetto penale, l’art. 29 del testo Unico dell’edilizia prevede che i soggetti diversi dal proprietario siano tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie e solidalmente alle spese per l’esecuzione in danno in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell’abuso.
Potrebbe dunque essere riconosciuto un interesse alla non applicazione delle sanzioni amministrative.
Si possono ipotizzare anche contrasti in ordine alla presentazione della domanda di condono tra proprietario e soggetti non aventi titolo.
Ad esempio, un creditore presenta la domanda avendo interesse alla conservazione del bene e nella presunzione che l’opera sia abusiva, con riserva di rivalersi delle spese sostenute nei confronti del proprietario.
Ove, però, il proprietario possa comprovare la legittimità della costruzione, è da ritenersi ammissibile la presentazione da parte dello stesso di un’istanza al Comune tesa a dimostrare la mancanza del presupposto di legge (ossia la violazione della normativa urbanistico-edilizia) per la presentazione della domanda. In caso di mancato accoglimento dell’istanza e conseguente rilascio del titolo in sanatoria, il proprietario potrà proporre ricorso al giudice amministrativo per l’annullamento del provvedimento.
In alternativa, il soggetto che ha presentato la domanda potrebbe richiedere al Comune di non considerare valida la domanda per mancanza dell’oggetto, ossia l’illecito.
Diritti dei terzi
Un problema particolare è rappresentato dai riflessi della sanatoria nei riguardi dei diritti dei terzi.
Con riferimento alle disposizioni della l. n. 47/1985, inizialmente, si era affermato che la sanatoria sembrava derogare anche a tali diritti e, conseguentemente, essi non costituivano un limite per l’ottenimento della legalizzazione delle costruzioni.
In seguito, è prevalsa l’interpretazione che la salvezza dei diritti dei terzi costituiva un limite non tanto al conseguimento della sanatoria quanto piuttosto al dispiegamento degli effetti di questa, in quanto l’effetto estintivo era, per legge, circoscritto agli aspetti penali ed amministrativi.
In sostanza è prevalso l’orientamento, suffragato dalla giurisprudenza, che il provvedimento di sanatoria è inidoneo a comprimere i diritti soggettivi dei terzi, in quanto tale atto si deve intendere emanato (come per il normale permesso di costruire) con salvezza degli stessi diritti e finalizzato a regolamentare solo il rapporto tra il privato e la pubblica amministrazione.
L’art. 32, comma 31 della l. 326/2003 codifica il principio per cui il condono non può esplicare i propri effetti sui rapporti fra privati e sugli interessi privatistici tutelati dall’ordinamento giuridico.
Locatario
In alcune circostanze, il proprietario potrebbe voler opporsi al rilascio del titolo in sanatoria presentato dal locatario e sollecitare l’applicazione dei provvedimenti sanzionatori.
In proposito, si deve premettere che il locatario è fra i soggetti legittimati a presentare la domanda di sanatoria, in quanto non si può escludere un suo interesse al conseguimento della sanatoria medesima, soprattutto ove sia stato autore dei lavori.
Tuttavia, si deve ritenere che il principio in base al quale la legittimazione è estesa a qualsiasi soggetto interessato alla sanatoria nella fattispecie sia riconducibile alla gestione di affare altrui, di cui agli artt. 2028 e ss. del codice civile. Si deve, infatti, rilevare che lo stesso art. 31, comma terzo, introduce un potere di rivalsa nei confronti del proprietario, in conformità a quanto disposto dall’art. 2031 codice civile.
Pertanto, si deve riconoscere al proprietario il potere di opporsi agli effetti derivanti dalla domanda di sanatoria presentata da altri. Si può verificare, difatti, che egli non abbia interesse, per qualsiasi motivo, a conservare l’opera abusiva, oppure non intenda sostenere gli oneri finanziari derivanti dalla sanatoria (oblazione e contributi concessori) ove ne ricorrano i presupposti.
Condominio
Alcune problematiche particolari riguardano i soggetti che possono presentare domanda per abusi totali o parziali delle parti comuni in immobili condominiali.
L’ipotesi più ricorrente è che l’assemblea condominiale deliberi in merito alla domanda di condono e conferisca il relativo incarico all’amministratore.
Nel caso di inerzia dell’assemblea, oltre all’amministratore, anche il singolo condomino può provvedere agli adempimenti per la sanatoria delle parti comuni, in quanto titolare di un interesse diretto, fatta salva la rivalsa nei confronti degli altri condomini per gli oneri sostenuti, salvo che questi non si oppongano al condono.
I singoli condomini provvederanno a presentare anche la domanda relativa agli abusi della unità immobiliare di loro appartenenza.
Pluralità di soggetti
Si può prospettare l’eventualità che siano presentate più domande da parte di soggetti diversi per la sanatoria di uno stesso immobile, aldilà della fattispecie delle specifiche domande di oblazione finalizzate all’estinzione dei reati personali che devono essere presentate dai soggetti di cui all’art. 29 del Testo Unico dell’edilizia .
Nel caso di soggetti ugualmente titolari di un diritto reale, il Comune procederà all’esame di quella presentata prima in ordine cronologico.
Allorquando, invece, vi sia concorrenza tra la domanda di un proprietario e quella di altri soggetti interessati sarà data preferenza a quella del proprietario, in virtù del rapporto qualificato che lega quest’ultimo al bene abusivamente realizzato ed al fine di eliminare inutili azioni di rivalsa.
In ogni caso dovrà essere restituita l’oblazione riferita alla domanda ripetitiva di quella che formerà oggetto di istruttoria da parte del Comune.
3. ESCLUSIONI E LIMITAZIONI DELLA SANATORIA
Sono espressamente escluse dal condono le opere:
– non suscettibili di adeguamento antisismico ai sensi dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 3274/2003 pubblicata nel supplemento ordinario alla G.U. n. 105 dell’8 maggio 2003, che detta i nuovi criteri di classificazione sismica del territorio nazionale, sulla base di quattro tipologie di zone;
– realizzate su aree pubbliche qualora non venga conseguita la disponibilità a titolo oneroso;
– realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale o di interesse particolarmente rilevante ai sensi degli articoli 6 e 7 del T.U. beni culturali (D.Lgs. 490/1999);
– realizzate su aree boscate o su pascolo, i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco nell’ultimo decennio;
– realizzate nei porti e nelle aree del demanio marittimo di preminente interesse nazionale.
Viene prevista, inoltre, un’esclusione soggettiva legata alla circostanza che il soggetto realizzatore o avente causa sia condannato con sentenza definitiva per associazione di tipo mafioso, riciclaggio o impiego di denaro di provenienza illecita.
Sono altresì confermate le ipotesi di insanabilità di cui all’art. 33 della l. n. 47/1985 correlate ai vincoli che comportino l’inedificabilità imposti prima dell’esecuzione dei lavori e finalizzati a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali ed idrogeologici, a tutela delle coste marine, lacuali e fluviali, alla difesa militare e della sicurezza interna o comunque comportanti inedificabilità delle aree.
L’art. 33 prevede la presenza contestuale di due condizioni: la prima riguarda la circostanza di carattere temporale relativa all’imposizione del vincolo anteriormente all’esecuzione delle opere; la seconda è inerente al presupposto che il vincolo abbia come contenuto l’inedificabilità.
Ove il vincolo di inedificabilità sia stato imposto dopo l’esecuzione delle opere, la costruzione è suscettibile di sanatoria, salvo che non ricorrano le esplicite fattispecie indicate dall’art. 32, che ha inteso fissare speciali cautele e condizioni in caso di particolari vincoli di inedificabilità sopravvenuta.
L’altra condizione posta in generale dall’art. 33 è che il vincolo gravante sull’area sia di inedificabilità assoluta.
Con tale termine si deve intendere un divieto assoluto di edificare, per cui si può argomentare che non rientrano in tale casistica nè l’indice minimo di edificabilità previsto al di fuori dei centri abitati (es. zone a verde agricolo), nè in generale le limitazioni dell’art. 9 del Testo Unico edilizia, che all’interno dei centri abitati consente pur sempre interventi sull’edificato.
Anche nel caso di tali vincoli di inedificabilità occorrerà verificare se essi siano venuti meno; in tale ultima ipotesi non potrebbero più costituire un ostacolo al conseguimento della sanatoria.
Nell’elencare i vincoli presi in considerazione, l’art. 33 indica, alle prime tre lettere, peculiari categorie di tutela, ma conclude poi la casistica con la lettera d) che si riferisce ad ogni altro vincolo che comporti l’inedificabilità delle aree.
Tale dizione sembra rendere esemplificative le lettere precedenti, in quanto l’ultima ingloba in sè tutte le altre ipotesi residuali di inedificabilità.
Un problema interpretativo riguarda, però, proprio la dizione ’ogni altro vincolò’, ossia se vi siano ricompresi solo quelli derivanti da leggi o anche quelli imposti da strumenti urbanistici.
Difatti, si deve considerare che la lett. a) richiama espressamente sia il vincolo imposto da leggi statali e regionali, che quello scaturente dagli strumenti urbanistici; mentre la lett. d) è indeterminata e non offre rinvii espliciti.
All’interno dei vincoli di piano andranno però esclusi i casi delle destinazioni a spazi ed edifici pubblici, regolati dall’art. 32 ed in base al quale l’esecuzione in vigenza del vincolo preclude la possibilità di conseguire la sanatoria.
Un’ulteriore categoria di opere insanabili è ricollegata dalla l. n. 326/2003, nell’ambito della riscrittura dell’art. 32 della l. n. 47/1985, ad immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela di interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonchè dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima dell’esecuzione delle opere, in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
L’art. 32 della l. n. 47/1985 viene integralmente sostituito, apportando le seguenti innovazioni.
Si fa riferimento ad opere su immobili, vale a dire sia costruzioni che aree, mentre prima si richiamavano solo le aree.
Viene generalizzato il principio che, trascorsi 180 giorni dalla richiesta di parere favorevole agli enti preposti alla tutela, si forma il silenzio rifiuto che può essere impugnato in via giurisdizionale, e nel contempo è soppressa la precedente previsione del silenzio assenso dopo 120 giorni per i pareri relativi ad abusi che non comportano aumenti di superficie o di volumi in aree oggetto di tutela paesistica ai sensi della l. 1497/1939 e 431/1985.
Per l’acquisizione dei pareri viene convocata una conferenza di servizi con la previsione che il dissenso espresso da una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, ivi compresa la soprintendenza competente alla tutela del patrimonio storico artistico od alla tutela della salute, preclude comunque la sanatoria, modificando in tal modo la disciplina ordinaria della conferenza di servizi.
Si precisa che il rilascio del titolo abilitativo edilizio estingue anche il reato per la violazione del vincolo.
Vengono invece confermate le prescrizioni relative ad opere abusive su aree vincolate dopo la loro esecuzione in relazione a zone sismiche, destinate ad edifici pubblici o spazi pubblici (ove non sia intervenuta la decadenza) e a fasce di rispetto stradale.
Si deve sottolineare che anche il nuovo art. 32 si riferisce indeterminatamente a vincoli, ma il comma 26 dell’art. 32 della l. 326/2003 che integra la disposizione, prende in considerazione i vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali, non richiamando invece i vincoli di tutela imposti dagli strumenti urbanistici, come invece esplicitato dall’art. 33 della l. n. 47/1985 che è rimasto invariato.
Il principale problema applicativo è ricollegato ad un’altra previsione del comma 26 dell’articolo 32 della l. n. 326/2003, in base alla quale le opere abusive in zone vincolate, ferma restando la necessità di acquisire parere favorevole da parte dell’ente preposto alla tutela, non sono sanabili per assenza o difformità del titolo abilitativo edilizio, se non conformi alle norme urbanistiche edilizie ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
Tale ultima previsione della conformità al piano sembra dunque essere estremamente limitativa ed è solo parzialmente attenuata dalla prescrizione che il parere non è richiesto quando le violazioni relative all’altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte. Questa franchigia dovrebbe dunque valere anche come minimo consentito di difformità dal piano.
La previsione della conformità non dovrebbe invece ritenersi applicabile nel caso di abusi eseguiti prima dell’imposizione del vincolo, ferma restando l’acquisizione del parere favorevole secondo quanto indicato dalle circolari ministeriali emanate in occasione dei precedenti condoni.
Si devono altresì ritenere condonabili le tipologie n. 4, 5 e 6 sulla base al combinato disposto dell’allegato 1 e del comma 26, lett. b, dell’art. 32, Legge 326/2003, in virtù del collegamento con le zone vincolate.
Ugualmente devono ritenersi ammissibili le ristrutturazioni edilizie non ricomprese nelle fattispecie disciplinate dall’art. 10, comma 1, lett. c, del T.U. Edilizia.
In caso di conformità allo strumento urbanistico, il parere si estrinseca in una valutazione di compatibilità delle opere realizzate abusivamente con gli interessi cui è preordinato il vincolo imposto sull’area (o sull’edificio), analoga, nella sostanza, a quella sottostante ai provvedimenti positivi o negativi che devono precedere i titoli abilitativi sugli stessi beni in via ordinaria. In proposito, però, è pur sempre ipotizzabile, in considerazione dell’ormai avvenuta edificazione, che il parere contenga prescrizioni e condizioni per contemperare la permanenza dell’immobile con le esigenze di tutela, ove ciò sia possibile.
Condizione per la richiesta del parere è che l’abuso comporti la necessità di verificare la compatibilità con il vincolo, per cui nel caso ad esempio di opere all’interno di immobili vincolati ai sensi della l. n. 1497/1939 relativamente all’aspetto esterno, non devono ricorrere gli estremi per avanzare la richiesta, poichè l’intervento non ha riguardato la parte vincolata.
La richiesta di parere deve essere inoltrata agli organi istituzionalmente preposti alla tutela del vincolo imposto sulle aree od edifici.
Di norma, tale compito dovrebbe essere assolto dal Comune, mediante la convocazione di una conferenza di servizi, così come previsto in via ordinaria dal T.U. edilizia.
Tuttavia, non è da escludere che lo stesso interessato si faccia parte attiva chiedendo il parere direttamente all’amministrazione competente.
Così facendo, l’interessato è in grado di conoscere esattamente il giorno dal quale decorre il periodo necessario per la formazione del silenzio rifiuto (intendendosi con ciò il giorno della ricezione della domanda, piuttosto che quello dell’inoltro).
Allorquando tale onere venga assolto dal Comune, non è invece possibile acquisire una simile certezza, salvo che il Comune non comunichi l’avvenuto invio della richiesta di parere, ovvero l’interessato si avvalga delle facoltà previste dalla l. n. 241/1990.
Il parere negativo (o la formazione del silenzio rifiuto) preclude la possibilità di rilasciare la sanatoria e tale diniego dovrà essere notificato dal Comune.
Anche il parere positivo deve essere comunicato all’interessato in modo che lo stesso acquisisca la cognizione del venir meno delle cause ostative al decorso del termine per la formazione del silenzio assenso ai fini anche del completamento delle opere.
Nel caso in cui il parere sia stato richiesto dall’interessato, questo avrà l’onere di comunicare l’esito positivo al Comune, ove non abbia già provveduto in tal senso l’organismo competente alla tutela del vincolo mediante l’invio di una comunicazione per conoscenza.
In tal modo, il Comune potrà eseguire la valutazione in ordine agli elementi urbanistico-edilizi di propria competenza condizionanti ulteriormente la sanatoria.
4. SANATORIA SU AREE DEMANIALI
L’art. 32 della L. 326/2003 prevede norme diverse per la sanatoria delle opere abusive realizzate su aree pubbliche a seconda della natura del proprietario delle aree stesse e cioè:
– aree di proprietà dello Stato o facenti parte del demanio statale: comma 14 e seguenti;
– aree di proprietà di enti pubblici territoriali: comma 43 che modifica l’art. 32 comma 5 della legge 47/85);
– aree già pubbliche, ma attribuite ai privati: comma 43 che modifica l’art. 32 comma 6 della legge 47/85.
Il presupposto indispensabile per la sanatoria dell’abusivismo è l’acquisizione in proprietà o in uso dell’area sulla quale è stato compiuto l’abuso.
Aree di proprietà statale
Poichè dalla sanatoria degli abusi edilizi sono escluse le aree del demanio marittimo, lacuale, fluviale ed i terreni gravati da uso civico non potrà esserne richiesta l’assegnazione in proprietà o in uso delle stesse.
Il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria potrà avvenire, fermi restando gli eventuali ed ulteriori e specifici nulla osta in genere previsti, a condizione che vi sia la disponibilità dello Stato:
– ad alienare a titolo oneroso l’area sui cui è stato realizzato l’immobile, ove l’area rientri nel patrimonio disponibile;
– a garantire, a titolo oneroso, il diritto al mantenimento dell’opera, ove l’area sia del demanio o rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato, per non oltre 20 anni (comma 20) ad un canone di mercato stabilito dall’Agenzia del Demanio.
Si evidenzia che la procedura delineata per questa casistica si sovrappone, parzialmente, nelle scadenze temporali, con quella prevista per la richiesta di sanatoria edilizia.
Le domande relative all’acquisizione delle aree dovranno essere presentate entro il 31 marzo 2004 all’Agenzia del Demanio territorialmente competente con allegata la documentazione sull’illecito edilizio e la ricevuta del pagamento dell’indennità di occupazione delle aree (limitatamente agli ultimi 5 anni).
Entro il 30 giugno 2005 ed il 31 dicembre 2005 dovrà essere corrisposto il prezzo di acquisto dell’area calcolato secondo le indicazioni della tabella B.
Desta peraltro perplessità la previsione di un corrispettivo per l’occupazione dell’area (secondo la tabella A) che può essere giustificata solo se si è in presenza di un’occupazione senza titolo.
Entro il 30 settembre 2004 occorre trasmettere copia della denuncia in catasto dell’immobile e del relativo frazionamento (comma 15), mentre entro il 31 dicembre 2004 l’Agenzia del demanio comunicherà l’assenso all’alienazione o al mantenimento.
Per le aree sottoposte al vincolo ai sensi dell’art. 32 della L. 47/85 sarà necessario ottenere preliminarmente l’assenso da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo (comma 17).
Considerato che il comma 17 non prevede alcun termine specifico, si ritiene che il termine finale per l’acquisizione del nulla-osta sia comunque quello del 31 dicembre 2004 (vedi comma 15) e cioè lo stesso entro cui l’Agenzia del Demanio comunicherà l’assenso sull’istanza di acquisto o di mantenimento dell’immobile.
Le procedure di vendita dovranno concludersi entro il 31 dicembre 2006 e gli immobili saranno inalienabili per 5 anni, decorrenti dal perfezionamento delle procedure di vendita e, sempre entro il 31 dicembre 2006, saranno rilasciati i provvedimenti formali di autorizzazione al mantenimento dell’opera (comma 20).
Aree di proprietà degli enti pubblici territoriali
Per le aree di proprietà degli enti pubblici territoriali è prevista una procedura diversa da quella per le aree statali.
In questo caso non vi potrà essere la cessione in proprietà, ma la sola concessione dell’uso dell’area secondo le seguenti regole:
– l’opera è realizzata senza il titolo che abilita al godimento del suolo;
– disponibilità dell’ente pubblico a concedere l’uso del suolo (che dovrà essere espressa entro 180 gg. dalla richiesta);
– concessione limitata alla sola superficie occupata dal fabbricato ed alle pertinenze (con un limite massimo di tre volte l’area coperta dal fabbricato);
– valore del corrispettivo d’uso, in assenza di specifiche norme regionali, stabilito dall’Agenzia del demanio con riferimento al valore del terreno determinato all’epoca di realizzazione della costruzione aumentato della variazione ISTAT dei prezzi per famiglie di operai ed impiegati;
– concessione del diritto di superficie per un periodo massimo di 60 anni.
La disposizione non prevede un termine entro cui dovranno essere presentate le domande di regolarizzazione, anche se la norma generale stabilisce che la sanatoria possa conseguirsi solo a condizione della disponibilità dell’area a titolo oneroso.
Aree già pubbliche attribuite ai privati
La fattispecie si riferisce a quelle aree pubbliche che, a seguito di un piano particolareggiato, cessino di essere proprietà pubblica e non si prestino per attività edilizia accedendo quindi alla proprietà di terreni confinanti.
A fronte di questa accessione l’art. 21 della L. 1150/42, prevede che vi sia stato il pagamento di un corrispettivo e quindi l’eventuale opera edilizia realizzata senza titolo sarebbe soggetta alle disposizioni generali in materia di sanatoria dell’abusivismo edilizio.
Il presupposto del comma 6, che ripropone con minime varianti, il comma 5, del precedente art. 32, è da ricercarsi nel fatto che l’area non sia ancora di proprietà in quanto occupata senza titolo.
5. PROCEDIMENTO PER LA SANATORIA
Il contenuto della domanda di sanatoria
La domanda di sanatoria deve essere presentata presso il Comune nel cui territorio ricade l’opera abusiva entro il 31 marzo 2004.
Il termine non opera in due fattispecie particolari:
– annullamento, decadenza ed inefficacia del titolo abilitativo edilizio dichiarate successivamente all’entrata in vigore della legge;
– trasferimenti derivanti da procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali, nonchè da procedure di amministrazione straordinaria o di liquidazione coatta amministrativa, purchè le ragioni di credito siano anteriori all’entrata in vigore della legge.
Si ricorda comunque che l’abuso deve essere stato realizzato entro il 31 marzo 2003.
In entrambi i casi vige, però, il rispetto del termine di ultimazione delle opere abusive e la domanda deve essere presentata entro i 120 giorni dalla data, rispettivamente, di notifica del provvedimento sanzionatorio o dell’atto di trasferimento.
La domanda deve essere corredata dalla seguente documentazione:
– dichiarazione sostitutiva di atto notorio, con allegata documentazione fotografica, dalla quale risulti la descrizione delle opere per le quali si chiede il titolo abilitativo edilizio in sanatoria e lo stato dei lavori relativo;
– qualora l’opera abusiva supera i 450 metri cubi, da una perizia giurata sulle dimensioni e sullo stato delle opere e una certificazione redatta da un tecnico abilitato all’esercizio della professione attestante l’idoneità statica delle opere eseguite;
– ulteriore documentazione eventualmente prescritta con norma regionale.
La dichiarazione è resa davanti al notaio od al funzionario che riceve la domanda di sanatoria.
Si deve, altresì, sottolineare che se l’oblazione è stata determinata in modo non veritiero e palesemente doloso, trovano applicazione le sanzioni della l. n. 47/1985.
Indubbiamente, il dolo e la non veridicità non vanno riferiti tanto all’entità dell’oblazione, quanto piuttosto ai contenuti della domanda e della dichiarazione. Ossia, deve rinvenirsi l’intento inequivocabile dell’interessato di occultare o di prospettare alcuni elementi in modo da pervenire all’obiettivo di corrispondere un’oblazione differente da quella dovuta ovvero di far rientrare nel condono abusi non sanabili.
Non può quindi essere ricollegato a tale fattispecie un errore materiale ovvero un’errata individuazione della tipologia d’abuso.
È essenziale, dunque, che lo stato di fatto corrisponda fedelmente a quanto denunciato, di modo che, in caso di errore in buona fede nella determinazione dell’oblazione, sia pur sempre possibile procedere ad un conguaglio della somma da corrispondere.
La documentazione
L’eventuale mancanza di alcuni allegati alla domanda, con eccezione dell’attestazione del relativo pagamento, non rende la stessa irricevibile da parte del Comune, restando impregiudicata la possibilità di integrare gli atti mancanti sia per iniziativa dell’interessato, che su richiesta del Comune.
Le uniche conseguenze negative (intese come cause ostative) delle carenze documentali si esplicano sul rilascio del titolo in sanatoria nonchè sulla formazione dell’eventuale silenzio-assenso.
Tali effetti interruttivi si producono, però, solo con riferimento agli allegati previsti dalla legge, mente non sono ricollegabili ad eventuali richieste del Comune di ulteriori documenti.
È indubbio che la questione della documentazione da presentare a corredo della domanda di condono sia particolarmente delicata. In effetti si tratta di contemperare l’esigenza di identificare l’opera ai fini del rilascio del titolo in sanatoria, con quella di evitare che, attraverso la reiterata richiesta di atti istruttori da parte dell’amministrazione comunale, l’istanza dell’interessato resti per troppo tempo senza risposta, positiva o negativa.
D’altronde, il titolo abilitativo edilizio in sanatoria è un atto non perfettamente confrontabile con gli atti abilitativi che il Comune rilascia in via ordinaria per consentire trasformazioni urbanistiche ed edilizie. Ed è per questi motivi che il legislatore ha inteso indicare analiticamente gli allegati a corredo della domanda, che devono dunque ritenersi necessari, mentre gli altri atti istruttori non possono considerarsi idonei ad interrompere il termine per l’esame della domanda.
Si deve sottolineare che anche il soggetto richiedente il condono ha interesse ad una rappresentazione grafica dettagliata dell’abuso, in vista di possibili ulteriori legittime trasformazioni da eseguire in futuro, ovvero per evidenziare l’ultimazione dei lavori, nonchè al fine dell’esame della compatibilità con eventuali vincoli.
Le opere di completamento
La legge consente la sanatoria di opere che non risultino ultimate, essendo sufficiente per le costruzioni residenziali la presenza del rustico e della copertura in modo da identificare la volumetria, mentre per le opere sull’edificato nonchè per quelle a destinazione non residenziale si deve certificare un completamento funzionale che comprovi, cioè, anche in assenza di finiture, l’uso al quale siano state preordinate le opere. Si ricorda, invece, che in regime ordinario l’ ultimazione si intende avvenuta quando l’opera sia in grado di ottenere l’agibilità.
Ne discende che, ai sensi dell’art. 35 della l. n. 47/1985, è altresì riconosciuto all’interessato il diritto di ultimare le opere, anche anticipatamente rispetto al rilascio del provvedimento di sanatoria, rispettando, però, congiuntamente due condizioni: che siano trascorsi 120 giorni dalla presentazione della domanda; che siano state versate due rate dell’oblazione.
Tale diritto al completamento non può però essere esercitato nel caso di presenza di vincoli di inedificabilità assoluta di cui all’art. 33 della l. n. 47/1985 ovvero qualora non siano stati acquisiti i pareri nel caso di vincoli relativi di cui all’art. 32 della stessa legge, ovvero la disponibilità alla alienazione del suolo o al mantenimento dell’opera sullo stesso, nel caso di opere abusive realizzate su aree demaniali o del patrimonio statale.
La disposizione relativa al completamento conferma, dunque, che la sanatoria, salvo casi ritenuti meritevoli di particolare tutela, è da considerarsi un atto dovuto che non consente margini di discrezionalità alle amministrazioni comunali.
Una fattispecie particolare di completamento, sempre a seguito della presentazione della domanda, è prevista dall’art. 43 della l. n. 47/1985 ed inerisce alla sanatoria di opere non ultimate per effetto di provvedimenti amministrativi e giurisdizionali. Il fatto che l’interessato abbia a suo tempo ottemperato all’ordinanza di sospensione dei lavori gli consente ora l’effettuazione dei lavori di completamento per rendere funzionale la struttura in qualsiasi stato si trovi ed in modo da renderla adatta a svolgere la funzione cui erano destinati.
La responsabilità in ambedue le fattispecie normative sopra richiamate ricade principalmente sull’interessato che, a tal fine, notifica al comune l’intento di eseguire le opere, comprova il decorso del tempo e il versamento delle due rate di oblazione, allega una perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi, nonchè, ove previsto, il parere ex art. 32 della l. n. 47/1985.
Prima di iniziare concretamente i lavori devono però trascorrere trenta giorni, nel corso dei quali il Comune può comunicare un divieto di completamento. Tale divieto deve essere congruamente motivato e quindi riconducibile ad una carenza rispetto alle condizioni di legge o ad un diniego di sanatoria per domanda non veritiera o per ricorrenza delle ipotesi di insanabilità ex art. 33 della l. n. 47/1985.
I termini per l’istruttoria ed il silenzio-assenso
La fase istruttoria si apre con la nomina del responsabile del procedimento ai sensi della l. n. 241/1990 e con i successivi accertamenti che devono riguardare:
– la sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi;
– l’idoneità della dichiarazione ad individuare le opere abusive;
– la completezza della documentazione di legge, compresi gli eventuali pareri o le dichiarazioni di disponibilità del suolo pubblico;
– l’esatta determinazione dell’oblazione e del contributo concessorio;
– il riscontro della veridicità o non dolosità delle dichiarazioni.
In caso di accertata carenza documentale, il responsabile invita l’interessato ad integrare la domanda, al fine di poter concludere l’istruttoria, entro tre mesi a pena decadenza.
L’esame della domanda deve essere infatti espletato entro il termine di ventiquattro mesi, scaduto il quale il silenzio serbato dall’amministrazione equivale a titolo in sanatoria, a condizione però che siano stati integralmente corrisposti l’oblazione e, ove dovuto, il contributo concessorio (somma autoliquidata più eventuale conguaglio), nonchè presentate la denuncia al catasto, la denuncia ai fini I.C.I., quella per la tassa di smaltimento dei rifiuti solidi urbani e quella per l’occupazione di suolo pubblico, ove dovute.
Il termine per la formazione del silenzio assenso non opera nei casi di abusi ricadenti nelle fattispecie di insanabilità assoluta e non inizia a decorrere fintanto che non sia stato acquisito il parere nei casi di sanabilità condizionata dall’espressione di giudizi di compatibilità.
Agibilità
Il rilascio del titolo in sanatoria, sia in forma esplicita che a seguito della formazione del silenzio assenso, deve essere seguito dalla certificazione di agibilità delle costruzioni abusive nei casi previsti dalla legge.
Il certificato di agibilità è disciplinato dal Testo Unico dell’edilizia – titolo III – e consiste in una valuta zione della sussistenza di determinati requisiti della costruzione sulla base di norme tecniche.
In altre parole, acquisiti tutti gli elementi tecnici rilevanti ai fini della valutazione, il dirigente comunale preposto all’ ufficio competente è vincolato al rilascio o al diniego del provvedimento di agibilità a seconda che non sussistano o vi siano cause di insalubrità.
Inoltre, la possibilità di rilascio del certificato di agibilità per singole parti dell’ edificio non può legittimamente essere negata quando queste possiedano i requisiti richiesti sia dalle leggi sanitarie, che dai regolamenti di igiene, per renderli idonee allo specifico uso dichiarato.
La considerazione di trovarsi di fronte ad immobili già ultimati ha indotto il legislatore a prevedere una facoltà di deroga ad alcune disposizioni igienico-sanitarie (ad es. altezza dei vani), salvaguardando però la rispondenza alla sicurezza statica, alla prevenzione degli incendi e degli infortuni.
Tali elementi inderogabili erano indicati dall’art. 35 della l. n. 47/1985, ma si ha modo di ritenere che tale inderogabilità valga anche per la normativa sopravvenuta relativa alla sicurezza degli impianti ed all’inquinamento da scarichi civili.
Naturalmente, è opportuno che la deroga non sia esercitata in relazione alle singole fattispecie, ma che siano invece fissati in un’apposita delibera comunale i requisiti minimi generali ai fini dell’agibilità.
Integrazione dei contenuti della domanda
La legge prescrive un termine perentorio entro il quale deve essere presentata la domanda di sanatoria.
Nel contempo, però, non pone all’interessato il divieto esplicito di modificare o sostituire l’istanza presentata, purchè ciò avvenga prima del termine finale predetto e l’amministrazione competente non si sia ancora pronunciata al riguardo.
Nè può esservi contrasto tra la nuova e la precedente istanza di condono, in quanto quest’ultima viene ritirata e sostituita dall’interessato con una nuova.
Più specificatamente, circa i limiti dell’ammissibilità di integrazione della domanda deve rilevarsi che la legge n. 47/1985 sembra escludere prescrizioni rigide.
Nessun limite, infatti, è esplicitamente posto dalla legge alla integrazione della domanda, anche se deve ritenersi che l’ulteriore documentazione non possa, comunque, costituire una domanda radicalmente nuova. In tale ipotesi, infatti, potrebbe configurarsi l’ipotesi di infedeltà dolosa.
Le condizioni per l’integrazione o la rettifica degli elaborati e di atti già contenuti nelle istanze di condono edilizio sono quindi sostanzialmente due: la prima è che gli elementi introdotti a rettifica o ad integrazione siano supportati da atti che ne assicurino la veridicità; la seconda, che vengano esplicitate le motivazioni che abbiano determinato in sede di presentazione della istanza, gli errori o le omissioni riscontrate.
Oblazione ed oneri di concessione
Per espressa disposizione del comma 34 dell’art. 32, non si applicano le riduzioni dell’oblazione previste dalle precedenti leggi di condono per la prima casa e per alcune tipologie di insediamenti produttivi.
Nel contempo non possono essere diminuiti gli oneri di concessione, che sono però incrementabili fino al 100% dalle Regioni.
6. DISPOSIZIONI VARIE
Scioglimento del consiglio comunale per mancata pianificazione
Con queste disposizioni vengono apportate modifiche all’art. 141 del Testo Unico degli enti locali (D.Lgs. 267/2000), che disciplina lo scioglimento e la sospensione dei consigli comunali e provinciali.
In particolare, viene introdotta una nuova causa di scioglimento dei consigli dei comuni con più di mille abitanti, al fine di rafforzare l’obbligo di dotarsi di un sistema organico di pianificazione.
Qualora gli enti locali siano sprovvisti dello strumento urbanistico generale e non provvedano all’adozione entro diciotto mesi dalla data della loro elezione, i relativi consigli dovranno infatti essere sciolti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
L’iniziativa per lo scioglimento spetta alla regione che, decorso il termine per l’adozione del piano urbanistico generale, segnala al prefetto gli enti territoriali inadempienti.
Il prefetto, quindi, invita tali enti ad adempiere entro quattro mesi e, decorso infruttuosamente anche quest’ultimo termine, inizia la procedura per lo scioglimento del consiglio comunale.
Recupero degli insediamenti abusivi
Viene poi modificato l’art. 29 della Legge 47/1985, riguardante il recupero degli insediamenti abusivi e l’adozione delle varianti agli strumenti urbanistici generali a ciò necessarie, con la sostituzione del comma 4, che regolava l’attuazione di tali varianti.
In base al nuovo comma 4, la partecipazione di soggetti privati ai programmi di recupero di immobili abusivi non è più limitata alla fase dell’attuazione, ma è ammessa già in quella della formazione della variante.
Le proposte di varianti di recupero urbanistico possono ora essere presentate al comune competente da soggetti pubblici o privati, con allegato un piano di fattibilità tecnico, economico, giuridico e amministrativo, finalizzato alla rivitalizzazione delle aree interessate dall’abusivismo edilizio e al finanziamento, alla realizzazione e alla gestione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
Poteri repressivi delle autorità pubbliche contro le opere abusive
L’art.32 contiene anche una serie di modifiche ed integrazioni al Testo Unico Edilizia (D.P.R. 380/2001), nell’intento di rafforzare la vigilanza sull’attività di trasformazione del territorio e prevenire eventuali abusi, incrementando i poteri repressivi delle autorità competenti ed inasprendo le sanzioni.
In particolare, i commi 44, 45 e 46 dell’art. 32 modificano l’art. 27, comma 2, del Testo Unico, ampliando i poteri repressivi del comune.
Il dirigente o, nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale, il responsabile dell’ufficio comunale competente al controllo sull’attività urbanistico-edilizia, può ora disporre l’immediata demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi ogni volta che accerti non più soltanto l’inizio, ma altresì l’esecuzione di opere abusive, in tutti i casi di difformità delle stesse dalla normativa urbanistica o dalle prescrizioni degli strumenti di pianificazione.
In precedenza, l’esercizio di questo potere era invece limitato alle sole opere abusive ancora ad uno stato iniziale e realizzate su aree soggette a vincolo di inedificabilità ovvero destinate a spazi o opere pubbliche o ad interventi di edilizia residenziale pubblica, dovendo il dirigente in tutte le altre ipotesi ordinare prima la sospensione dei lavori e solo successivamente procedere alla demolizione.
Per le opere abusive realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale o soggetti a vincolo storico-artistico, archeologico ovvero su immobili soggetti a vincolo paesistico di inedificabilità assoluta, il potere di procedere alla demolizione delle stesse è ora attribuito al Soprintendente, che può agire su richiesta della regione, del comune o delle altre autorità competenti alla tutela dei vincoli ovvero decorso il termine di 180 giorni dall’accertamento dell’illecito, anche avvalendosi delle modalità operative di cui all’art.2, commi 55 e 56 della L. 662/1996, vale a dire attraverso la nomina di un commissario ad acta o avvalendosi delle strutture tecnico-operative del Ministero della difesa.
Resta fermo, nel caso di opere abusive su aree boscate o montane soggette a vincolo idrogeologico o gravate da usi civici ovvero soggette a vincolo storico-artistico o paesistico ai sensi del T.U. sui beni culturali e ambientali (D.Lgs. 490/1999), l’obbligo per il dirigente comunale, prima di procedere alla demolizione, di darne comunicazione alle amministrazioni competenti preposte alla tutela, che possono comunque procedere anche di propria iniziativa.
Quest’ultima disposizione, in relazione alle aree tutelate in base al predetto Testo Unico sui beni culturali e ambientali, pone comunque un problema di coordinamento con la nuova norma che attribuisce il potere di demolizione al Soprintendente.
Incremento delle sanzioni pecuniarie per i reati edilizi
Il comma 47 modifica l’art. 44 del Testo Unico in tema di sanzioni penali per i reati edilizi, disponendo un incremento del 100% delle sanzioni pecuniarie ivi previste, che conseguentemente risultano raddoppiate.
Demolizione di opere abusive
Il comma 49 ter dell’art. 32 sostituisce poi integralmente l’art. 41 del Testo Unico sulla demolizione delle opere abusive.
Il nuovo testo dell’art. 41 demanda al prefetto il compito – prima attribuito al dirigente del competente ufficio comunale – di provvedere al ripristino dello stato dei luoghi, disponendo la demolizione delle opere abusive, nonchè gli altri interventi a tutela della pubblica incolumità, qualora il responsabile dell’abuso non vi abbia provveduto nel termine indicato nel provvedimento del dirigente comunale.
In particolare, viene introdotto l’obbligo a carico del dirigente comunale di trasmettere al prefetto, ogni anno entro il mese di dicembre, l’elenco delle opere abusive che il responsabile dell’abuso non ha provveduto a demolire, indicando altresì lo stato dei procedimenti di acquisizione – gratuita e di diritto a favore delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo – degli immobili abusivi realizzati su aree soggette a vincolo di inedificabilità e di successiva demolizione degli stessi.
Nello stesso termine anche le amministrazioni statali o regionali preposte alla tutela del vincolo devono trasmettere al prefetto l’elenco delle demolizioni da eseguire, il quale entro trenta giorni dalla ricezione di tali elenchi, provvederà agli adempimenti conseguenti al passaggio della proprietà dei beni e all’esecuzione delle demolizioni.
I lavori di ripristino dello stato originario dei luoghi sono affidati, anche a trattativa privata, ad imprese tecnicamente e finanziariamente idonee, ma il prefetto può avvalersi, tramite i provveditorati delle opere pubbliche, delle strutture tecnico-operative del Ministero della difesa.
Obblighi a carico delle aziende erogatrici di servizi pubblici
Sempre al fine di contrastare il fenomeno dell’abusivismo, con l’inserimento di un nuovo comma 3 ter all’art. 48 del Testo Unico Edilizia, è posto a carico delle aziende erogatrici di servizi pubblici e dei funzionari che stipulano i contratti di somministrazione l’obbligo di comunicare al comune dove è situato l’immobile le richieste di allaccio al servizio, con la contestuale indicazione del titolo abilitativo edilizio, anche rilasciato in sanatoria.
Tale obbligo si aggiunge al divieto, già posto a carico delle aziende erogatrici di servizi pubblici, di somministrare le forniture ad immobili privi di titolo abilitativo, pena la nullità del relativo contratto.
Canoni di concessione
Nell’ambito delle disposizioni per la sanatoria dell’abusivismo edilizio è stato previsto inoltre (comma 22) l’aumento del 300%, a decorrere dal 1° gennaio 2004, dei canoni di concessione per gli stabilimenti balneari.
7. MISURE FINANZIARIE
Al fine di avviare un ampio processo di recupero del territorio, in parallelo con la sanatoria delle costruzioni realizzate senza titolo autorizzativo, l’art. 32 prevede una serie di programmi specifici ad ognuno dei quali è stata assegnata una congrua dotazione finanziaria in genere ripartita in più annualità.
– Politiche di riqualificazione urbanistica dei nuclei interessati dall’abusivismo – 50 milioni/Euro (2004-2006) gli interventi saranno individuati con decreto Ministro infrastrutture e trasporti sentita la Conferenza unificata Stato-Regioni-Province-Comuni (comma 6).
– Programma nazionale di intervento (anche con finanziamento privato) per la riqualificazione di ambiti territoriali caratterizzati da consistente degrado economico, sociale e con presenza di abusivismo edilizio – 100 milioni/Euro (2004-2006) gli ambiti di intervento saranno individuati con decreto del Ministro delle infrastrutture di concerto con quelli dell’ambiente e dei beni culturali e di intesa con la Conferenza Stato-Regioni-Province-Comuni. Nella loro individuazione sarà data priorità alle aree oggetto di PRUSST e di società di trasformazione urbana. Il decreto dovrà essere emanato entro il 25 gennaio 2004 (comma 9).
– Programma interventi per la messa in sicurezza dissesto idrogeologico – 120 milioni/Euro (2004-2006) Le aree saranno individuate con decreto del Ministro dell’ambiente d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni-Province-Comuni entro il 25 gennaio 2004. Il programma operativo sarà predisposto dal Ministero dell’ambiente d’intesa con gli enti locali interessati (comma 10).
– Programma per aree soggette a tutela paesistica – 50 milioni/Euro (2004-2006). La soprintendenza per i beni architettonici e ambientali, d’intesa con le regioni, utilizzerà il finanziamento per interventi di ripristino e riqualificazione paesaggistica delle aree tutelate. Il decreto del Ministro dei beni culturali d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni-Province-Comuni sarà emanato entro il 25 gennaio 2004 (comma 11).
– Fondo per le demolizioni – 50 milioni/Euro max. tramite la Cassa Depositi e prestiti. Si tratta di un fondo di rotazione a disposizione dei Comuni per la demolizione delle opere abusive attraverso la concessione di anticipazioni senza interessi da restituirsi entro cinque anni alle condizioni stabilite da una apposito decreto del Ministro dell’economia d’intesa con quello delle infrastrutture (comma 12).
– Tutela e valorizzazione aree demaniali – 100 milioni/Euro (2004 – 2006) l’Agenzia del demanio, di concerto con i Ministeri delle infrastrutture, dell’ambiente e dei beni culturali, sentita la Conferenza Stato-Regioni, predispone un programma di riqualificazione delle aree demaniali che deve essere approvato con decreto del Ministro delle infrastrutture di concerto con quello dell’economia (comma 24). Non è previsto il termine per la formazione del programma.
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