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07.04.2025 - lavoro

COLLEGATO LAVORO – DIMISSIONI PER FATTI CONCLUDENTI – PERIODO DI PROVA NEL CONTRATTO A TERMINE – POSIZIONI INTERPRETATIVE MINISTERIALI – CIRCOLARE 27 MARZO 2025, N. 6

Il Ministero del Lavoro ha pubblicato la circolare 27 marzo 2025, n. 6, con cui ha inteso illustrare i principali contenuti del cosiddetto “Collegato lavoro”, ossia della Legge 13 dicembre 2024 n. 203, fornendo, nel contempo, le prime indicazioni operative.

Per un’illustrazione complessiva, a cura di ANCE Brescia, anche grazie al contributo del livello nazionale dell’Associazione, del suddetto intervento normativo rimandiamo a Newsletter settimanale ANCE Brescia – n. 1/2025 del 7 gennaio 2025

Il provvedimento ministeriale da ultimo pubblicato si sofferma, per quanto di specifico interesse delle Imprese edili, sulle novità in materia di periodo di prova nel contratto a termine e sulle cosiddette dimissioni per fatti concludenti.

Durata del periodo di prova nel contratto a tempo determinato

Quanto al primo aspetto, ricordiamo come la norma di legge sopra rammentata fissi la durata del periodo di prova in caso di contratto a termine secondo il rapporto di un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di durata del contratto. In ogni caso, la durata del periodo di prova non può essere inferiore a due giorni né superiore a quindici giorni, per i contratti di lavoro aventi durata fino a sei mesi, e a trenta giorni, per quelli aventi durata superiore a sei mesi e inferiore a dodici mesi.

La norma, che trova applicazione ai contratti di lavoro instaurati a far data dalla sua entrata in vigore, ossia dal 12 gennaio 2025, farebbe comunque salve le eventuali più favorevoli previsioni della contrattazione collettiva applicata dal datore di lavoro.

Nella circolare qui in commento, il Ministero sostiene, invece, che i limiti massimi non possono essere derogati neppure dalla contrattazione collettiva, stante l’impossibilità per l’autonomia contrattuale di introdurre una disciplina peggiorativa rispetto a quella legale.

Nell’interpretazione ministeriale, pertanto, risultano più favorevoli le clausole della contrattazione collettiva che prevedano una minore estensione del periodo di prova, a causa della precarietà che lo stesso comporta per il lavoratore.

La tesi ministeriale risulta sorprendente, sia perchè ignora l’importanza che il nostro ordinamento lavoristico riconosce alla contrattazione collettiva, confermata – tra l’altro – anche dalla norma in esame, nella parte in cui consente uno spazio alle previsioni contrattuali, sia perchè risolve sbrigativamente il tema del “maggior favore”, quando, in realtà, in alcuni casi, potrebbe essere maggiormente utile al lavoratore un periodo di prova più ampio per una migliore e più approfondita valutazione del contesto lavorativo in cui è stato chiamato ad operare.

L’ipotesi delle cosiddette “dimissioni di fatto”

 

Nel “Collegato Lavoro” il Legislatore ha cercato di porre un freno alla pratica, purtroppo assai frequente, di assenza intenzionale del lavoratore volta unicamente a realizzare il presupposto di un licenziamento con conseguente percezione, da parte dell’interessato, della NASpI, nonostante la disoccupazione sia, in ipotesi del genere, tutt’altro che involontaria.

La norma, infatti, prevede la possibilità, per il datore, di dare comunicazione all’Ispettorato del Lavoro competente per territorio dell’assenza ingiustificata di un lavoratore protrattasi oltre il termine definito dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro applicato al rapporto, o, in mancanza di disciplina contrattuale, superiore a quindici giorni.

Al lavoratore spetta, in questo caso, il compito di dimostrare l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi giustificanti la sua assenza. In caso di un esito della verifica svolta dall’Ispettorato che confermi la fondatezza della segnalazione aziendale, il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore (configurandosi una sorta di dimissioni per fatti concludenti) e non è richiesta, nel caso di specie, per l’efficacia della risoluzione del rapporto, la compilazione e l’invio, da parte del lavoratore interessato, della modulistica telematica da utilizzarsi in caso di dimissioni.

La norma, condivisibile nella ratio per quanto complessa nella sua trasposizione testuale, ha lasciato aperte alcune, delicate, questioni applicative che si sperava i chiarimenti ministeriali avrebbero chiarito e risolto.

 

In realtà il Ministero ha confermato come la norma, prevedendo la possibilità che il rapporto di lavoro si concluda per effetto di dimissioni per fatti concludenti, consenta al datore di lavoro di ricondurre un effetto risolutivo al comportamento del lavoratore consistente in una assenza ingiustificata, prolungata per un certo periodo di tempo: la circolare, quindi, sottolinea come l’effetto risolutivo non discenda automaticamente dall’assenza ingiustificata, ma si verifichi solo nel caso in cui il datore di lavoro decida di prenderne atto, valorizzando la presunta volontà dismissiva del rapporto da parte del lavoratore e facendone derivare la comunicazione all’Ispettorato.

 

Nell’interpretazione ministeriale, la suddetta comunicazione rappresenta anche il termine iniziale per il decorso dei cinque giorni previsto per effettuare la relativa comunicazione obbligatoria di cessazione del rapporto di lavoro tramite il modello UNILAV.

 

Il Ministero ritiene, però, che, nei casi in cui il CCNL preveda un termine diverso rispetto ai quindici giorni contemplati dalla norma di legge, lo stesso potrà trovare applicazione solo se sia superiore a quello legale, in ossequio al già richiamato principio generale per cui l’autonomia contrattuale può derogare solo in melius le disposizioni di legge.

 

In effetti, poiché diversi contratti collettivi (fra cui il CCNL per i dipendenti di imprese edili ed affini firmato da ANCE) riconducono ad un’assenza ingiustificata protratta nel tempo ma di gran lunga inferiore ai 15 giorni (nel nostro CCNL, lo ricordiamo per completezza: 3 giorni consecutivi) la posizione ministeriale sembra voler condurre le imprese a privilegiare il tradizionale licenziamento, piuttosto che seguire la nuova procedura che, tuttora, presenta profili di incertezza applicativa oltre che una durata più lunga, foriera di potenziali maggiori insidie per il datore di lavoro.

 

Anche in questo caso, l’interpretazione proposta dalla circolare lascia perplessi: in effetti dobbiamo registrare come, sulla stampa specializzata, ma non solo, sono stati pubblicati commenti critici nei confronti della posizione ministeriale, anche perché essa rischia di portare, per i profili sopra ricordati, a un sostanziale svuotamento della norma, la cui ratio sarebbe in realtà, invece, assolutamente condivisibile.

Allegato: Collegato Circolare 6

 


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