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Servizio Tecnico - referente: dott.ssa Sara Meschini
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23.09.2024 - lavori pubblici

NELL’INTERPRETAZIONE DELLA LEX SPECIALIS DI GARA SI APPLICANO LE NORME IN MATERIA DI CONTRATTI

(Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 13 settembre 2024, n. 7570)

…omissis…

“Nell’interpretazione della lex specialis di gara devono essere applicate anche le regole di cui all’ art. 1363 c.c., con la conseguenza che le clausole previste si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo ad esse il senso che risulta dal complesso dell’atto. Pertanto se un’aporia tra i vari documenti costituenti la lex specialis impedisce l’interpretazione in termini strettamente letterali, è proprio la tutela dei principi dell’affidamento e della parità di trattamento tra i concorrenti che conduce all’interpretazione complessiva o sistematica delle varie clausole. I chiarimenti della Stazione appaltante debbono rispettare il limite del carattere necessariamente non integrativo né modificativo della disposizione di gara oggetto di interpretazione (limite che deriva dai principi di trasparenza, pubblicità e par condicio nelle gare di appalto di matrice comunitaria della regolarità delle procedure di affidamento)”, che impone che il chiarimento non possa forzare e andare oltre il possibile ambito semantico della clausola secondo uno dei suoi possibili significati. A fronte di una motivazione effettivamente individuabile come tale nell’ambito della sentenza, l’eventuale vizio motivazionale non dà luogo a invalidità, né perciò a rinvio ex  art. 105, comma 1,  cod. proc. amm., ed è superato di per sé dall’effetto devolutivo dell’appello, che comporta l’esame delle questioni controverse da parte del giudice dell’impugnazione nella misura in cui devolute dalle parti in ragione delle critiche (anche motivazionali) rivolte alla sentenza, nonché di quelle rilevabili d’ufficio dallo stesso giudice di appello”.

…omissis…

Nelle gare pubbliche, nell’interpretazione della lex specialis di gara, devono trovare applicazione le norme in materia di contratti, e dunque anzitutto i criteri letterale e sistematico previsti dagli artt. 1362 e 1363 c.c. (Cons. Stato, Sez. V, 31 ottobre 2022, n. 9386; Cons. Stato, Sez. V, 31 marzo 2021, n. 2710).

Ciò significa che, ai fini di tale interpretazione, devono essere applicate anche le regole di cui all’art. 1363 c.c., con la conseguenza che le clausole previste si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo ad esse il senso che risulta dal complesso dell’atto. Pertanto, se un’aporia tra i vari documenti costituenti la lex specialis impedisce l’interpretazione in termini strettamente letterali, è proprio la tutela dei principi dell’affidamento e della parità di trattamento tra i concorrenti che conduce all’interpretazione complessiva o sistematica delle varie clausole.

Le preminenti esigenze di certezza, connesse allo svolgimento delle procedure concorsuali di selezione dei partecipanti, impongono pertanto in primo luogo di ritenere di stretta interpretazione le clausole del bando di gara: ne va perciò preclusa qualsiasi lettura che non sia in sé giustificata da un’obiettiva incertezza del loro significato letterale.

Sono comunque preferibili, a garanzia dell´affidamento dei destinatari, le espressioni letterali delle varie previsioni, affinché la via del procedimento ermeneutico non conduca a un effetto, indebito, di integrazione delle regole di gara, aggiungendo significati del bando in realtà non chiaramente e sicuramente rintracciabili nella sua espressione testuale (Cons. Stato, Sez. IV, 5 ottobre 2005, n. 5367;  Cons. Stato, Sez. V, 15 aprile 2004, n. 2162;  Cons. Stato, sez. V, 12 settembre 2017, n. 4307).

Deve pertanto reputarsi preferibile, a tutela dell’affidamento dei destinatari e dei canoni di trasparenza e di “par condicio“, l’interpretazione letterale delle previsioni contenute nella legge di gara, evitando che in sede interpretativa si possano integrare le regole di gara, palesando significati del bando non chiaramente desumibili dalla sua lettura testuale (Cons. Stato, Sez. V, 17 giugno 2014, n. 3093).

I chiarimenti della Stazione appaltante debbono rispettare il limite del carattere necessariamente non integrativo né modificativo della disposizione di gara oggetto di interpretazione (limite che deriva dai principi di trasparenza, pubblicità e par condicio nelle gare di appalto di matrice comunitaria della regolarità delle procedure di affidamento)”, che impone che il chiarimento non possa forzare e andare oltre il possibile ambito semantico della clausola secondo uno dei suoi possibili significati (Cons. Stato, sez. III, 23novembre 2022, n. 10301; Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 2024 n.1793).

Nel caso in cui invece al chiarimento sia riconosciuta una portata novativa si deve dare prevalenza alle clausole della lex specialis ed al significato desumibile dal tenore delle stesse, per quello che oggettivamente prescrivono (Cons. Stato, sez. V, 16 marzo 2021 n. 2260; Cons. Stato, sez. V, 25 gennaio 2024 n. 802; in difformità: Cons. Stato, sez. V, 1 settembre 2023 n. 8127).

E ciò indipendentemente dall’impugnazione degli stessi, atteso che i chiarimenti resi nel corso di una gara d’appalto non hanno alcun contenuto provvedimentale, non potendo costituire, per giurisprudenza consolidata, integrazione o rettifica della lex specialis (Cons. St., sez. V, 7 settembre 2022 n.7793).

I chiarimenti, quindi, possono avere solo una portata interpretativa e non innovativa.

La sentenza ha rilevato, inoltre che al fine di configurare il vizio di omessa pronuncia non è sufficiente la mancanza di una pronuncia esplicita da parte del giudice, ma è essenziale che manchi totalmente un provvedimento che sia indispensabile per risolvere il caso concreto; detta situazione non si verifica allorché la decisione adottata comporta il rifiuto della pretesa avanzata dalla parte, anche se manca una motivazione specifica in merito. Si presume una implicita reiezione quando la pretesa avanzata nella domanda non esaminata esplicitamente risulta incompatibile con il ragionamento logico-giuridico della decisione ( Cons. Stato, sez. V, 25 marzo 2024, n. 2821).

Nel giudizio amministrativo l’art. 101 c.p.a. – che fa riferimento a “specifiche censure contro i capi della sentenza gravata” – deve esserecoordinato con il principio di effetto devolutivo dell’appello, in base al quale è rimessa al giudice di secondo grado la completa cognizione del rapporto controverso, con integrazione e/o correzione – ove necessario – della motivazione della sentenza appellata e senza che rilevino, pertanto, le eventuali carenze motivazionali di quest’ultima (Cons. Stato, sez. V, 26 aprile 2021, n. 3308; Cons. Stato, 17 gennaio 2020, n. 430; Cons. Stato 13 febbraio 2017, n. 609).

A fronte di una motivazione effettivamente individuabile come tale nell’ambito della sentenza, l’eventuale vizio motivazionale non dà luogo a invalidità, né perciò a rinvio ex  art. 105, comma 1,  cod. proc. amm., ed è superato di per sé dall’effetto devolutivo dell’appello, che comporta l’esame delle questioni controverse da parte del giudice dell’impugnazione nella misura in cui devolute dalle parti in ragione delle critiche (anche motivazionali) rivolte alla sentenza (Cons. Stato, sez. V, 26 aprile 2021, n. 3308;  Cons. Stato, sez. V, 17 gennaio 2020, n. 430;  Cons. Stato, sez. V, 13 febbraio 2017, n. 609), nonché di quelle rilevabili d’ufficio dallo stesso giudice di appello.

La lex specialis di una procedura pubblica costituisce un vincolo da cui l’amministrazione non può sottrarsi: in particolare, per effetto del rigoroso principio formale che la assiste, a garanzia dei principi di cui all’ art. 97 Cost. (ex multis, Cons. Stato, V, 29 settembre 2015, n. 4441;  Cons. Stato, III, 20 aprile 2015, n. 1993; Cons. Stato, VI, 15 dicembre 2014, n. 6154), le prescrizioni ivi stabilite impegnano non solo i privati interessati, ma, ancora prima, la stessa amministrazione, che non conserva margini di discrezionalità nella loro concreta attuazione, né può disapplicarle, neppure quando alcune di queste regole risultino inopportune o incongrue o comunque superate, fatta salva naturalmente, in tale ultimo caso, la possibilità di procedere all’annullamento del bando nell’esercizio del potere di autotutela (Cons. Stato, V, 5 marzo 2020, n. 1604;  Cons. Stato, V, 13 settembre 2016, n. 3859; Cons. Stato, V, 28 aprile 2014, n. 2201;  Cons. Stato, V, 30 settembre 2010, n. 7217;  Cons. Stato, V, 22 marzo 2010, n. 1652; Cons. Stato, V, Ad. plen., 25 aprile 2014, n. 9).

Il divieto di motivi nuovi in appello nell’ambito del processo amministrativo costituisce la logica conseguenza dell’onere di specificità di quelli di impugnazione (in primo grado) del provvedimento amministrativo, e più in generale dell’onere di specificazione della domanda da parte di chi agisce in giudizio ed è pertanto riferibile, come nella fattispecie de qua all’attore (il ricorrente) e non anche al convenuto (la parte resistente o il controinteressato) (Cons. Stato, sez. III, 11 luglio 2022, n. 5796).

L’inammissibilità (anche parziale) del ricorso di primo grado è estranea alla nozione di “eccezione non rilevabile d’ufficio”, sicché la stessa oltre ad essere deducibile per la prima volta in appello, anche mediante semplice difesa, non risultando preclusa dal divieto di ius novorum, è soggetta anche al potere officioso del giudice di secondo grado (Cons. Stato, Sez. III, ordinanza 7 novembre 2017, n. 5138; Cons. Stato, sez. VI, 5 settembre 2017 n. 4196; Cons. Cons. Stato, sez. VI, 22 febbraio 2013, n. 1094; Cons. Stato, Sez. VI, 24 settembre 2007, n. 4924).

Le clausole violative del principio di tassatività delle clausole di esclusione di cui all’ art. 83 comma 8  D.lgs. 50 del 2016 devono ritenersi affetta da nullità, e pertanto da considerare come non apposte e quindi disapplicabili, poiché finiscono per integrare un requisito ulteriore rispetto a quelli espressamente previsti dagli artt. 80 e 83 del Codice dei contratti pubblici, cosa non consentita dall’ordinamento, che anzi in tal caso prevede la sanzione massima della nullità (Cons. Stato, Ad. plen. n. 22 del 2020).

Detto stigma di nullità è tale per cui la clausola in tal senso viziata è da intendersi come “non apposta” a tutti gli effetti di legge, quindi inefficace e tamquam non esset, senza alcun onere di doverla impugnare, dovendosi semmai impugnare gli atti conseguenti che ne facciano applicazione (Cons. Stato, sez. III, 31 gennaio 2023, n. 1055).

La declaratoria di nullità colpisce pertanto le clausole con le quali l’amministrazione impone ai concorrenti adempimenti o prescrizioni ai fini dell’ammissione alla procedura di gara che non trovano alcuna base giuridica nelle norme del Codice dei contratti pubblici o in altre disposizioni di legge vigenti (Cons. Stato, sez V, 3 maggio 2022 n. 3452; Cons. Stato, sez. V, 08 gennaio 2021, n. 290;  Cons. Stato, sez. V, 23 novembre 2020, n. 7257; Cons. Stato, Ad. plen. 7 giugno 2012, n. 21;  Cons. Stato, 16 ottobre 2013, n. 23;  Cons. Stato, 25 febbraio 2014, n. 9).

Gli uffici di Ance Brescia sono a disposizione per eventuali chiarimenti.

ALLEGATO: Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 13 settembre 2024, n. 7570


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