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06.05.2024 - lavoro

ISPETTORATO DEL LAVORO – ATTIVITA’ DI VIGILANZA – OMESSA RISPOSTA DEL DATORE DI LAVORO – MANCATO INVIO DELLA DOCUMENTAZIONE RICHIESTA – IPOTESI DI REATO – PRESUPPOSTI – CASSAZIONE 12 FEBBRAIO 2024, N. 5992

Il legale rappresentante di un’impresa ha presentato ricorso per Cassazione avverso la sentenza emessa dal Tribunale di primo grado che lo aveva condannato ad un’ammenda per il reato di cui all’art. 4, comma settimo, L. 628/1961 perché, in qualità di amministratore unico, non aveva fornito all’Ispettorato Territoriale del Lavoro, che gliene aveva fatto richiesta, la documentazione necessaria all’attività di vigilanza in corso, di fatto impedendola.

Nel suo ricorso, l’amministratore ha sostenuto la mancata ricezione dell’avviso di accertamento emesso dall’Ispettorato, rappresentando di non essere venuto a conoscenza delle richieste e delle prescrizioni avanzate dall’Ispettorato stesso, in quanto quest’ultimo aveva notificato le richieste via PEC utilizzando un indirizzo e-mail di cui l’impresa non aveva, temporaneamente, la disponibilità.

La Corte di Cassazione, nella sentenza qui in commento, ha, preliminarmente, ricordato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale la richiesta di fornire informazioni si considera legalmente data quando è inviata all’indirizzo PEC della Società indicato nel Registro delle Imprese, trattandosi di un mezzo legale di comunicazione, che offre garanzie di accertamento sulla data di spedizione e di ricevimento da parte delle realtà imprenditoriali.

In sostanza, la difesa dell’imputato ha provato a sostenere la sua non imputabilità, neppure a titolo di colpa, in quanto la richiesta di esibizione della documentazione non era a lui conoscibile, in quanto la suddetta richiesta era stata indirizzata a una casella di posta elettronica il cui accesso era inibito a causa di un provvedimento di sequestro.

La Cassazione non ha condiviso la posizione dell’imputato e ha, di conseguenza, ritenuto infondato il motivo di ricorso.

Ad avviso della Corte, infatti, per il verificarsi del reato di cui trattasi rilevano sia il dolo che la colpa: nel caso in esame, quindi, sussisteva quantomeno la violazione del dovere di diligenza, essendo onere dell’amministratore accedere e riscontrare le comunicazioni inviate e ricevute alla Società, e quantomeno fornire una giustificazione alla omessa esibizione della documentazione richiesta.

Di conseguenza, la Cassazione ha ritenuto, come detto, inammissibile il ricorso e, pertanto, la condanna del suddetto legale rappresentante è stata confermata.

La pronuncia risulta, quindi, particolarmente interessante perché sottolinea l’importanza, per ogni impresa, di mantenere monitorata la casella di Posta Elettronica Certificata in uso, al fine di prevenire conseguenze, anche di natura penale, com’è avvenuto nel caso di specie, facilmente evitabili attraverso tale quotidiana, semplice, attività.

 


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