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Servizio Tecnico - referente: dott.ssa Sara Meschini
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15.07.2024 - lavori pubblici

ILLEGITTIMITÀ DELLA REVOCA DELL’AGGIUDICAZIONE DOPO LA STIPULA DEL CONTRATTO

Con la stipula del contratto pubblico si apre la fase privatistica dell’appalto, nella quale quindi il rapporto tra Pubblica Amministrazione ed esecutore viene regolato dal diritto privato e non più dal diritto amministrativo come nella fase di gara.

Pertanto, la Stazione Appaltante che intenda sanzionare eventuali comportamenti scorretti dell’esecutore (nel caso di specie, cessione di ramo di azienda finalizzata ad eludere il commissariamento per caporalato e rifiuto di fornire i dati necessari al subentro) non può disporre la revoca dell’aggiudicazione, ma è tenuta ad utilizzare gli strumenti di autotutela privatistica come il recesso e la risoluzione (artt. 108 e 109 del Codice Appalti del 2016; oggi artt. 122 e 123 del Codice Appalti del 2023).  (Cons. Stato, sez. III, 10.6.2024 n. 5171).

 

  1. Il caso in sintesi

La Stazione Appaltante indice una procedura di gara per l’affidamento del servizio antincendio e della vigilanza antincendio.

Il contratto viene aggiudicato alla società A, con la quale viene stipulato il relativo contratto.

Nel corso dell’esecuzione la società A comunica di aver ceduto il ramo di azienda deputato allo svolgimento del servizio alla società B e che questa era subentrata in tutti i rapporti relativi all’appalto a norma dell’art. 2558 c.c..

La Stazione appaltante, dopo aver preso atto della cessione, viene a conoscenza del coinvolgimento della società A in un’indagine per sfruttamento del lavoro (art 603-bis. c.p.), cui era conseguita l’applicazione della misura della amministrazione giudiziaria ex art. 34 d.lgs. n. 159/2011. Pertanto, la Stazione Appaltante chiede alla società B (cessionaria) di chiarire i propri rapporti con la società A (cedente) per verificare il possesso continuativo dei requisiti generali con diffida ad adempiere.

All’esito del confronto, la Stazione Appaltante dispone la revoca dell’aggiudicazione e il subentro nel contratto della seconda graduata.

Successivamente, la società B impugna il provvedimento di revoca.

Il ricorso viene accolto dal giudice amministrativo di primo grado sulla base del rilievo per il quale dopo la stipula del contratto l’ente pubblico non può più disporre la revoca dell’aggiudicazione, dovendo fare ricorso agli appositi rimedi previsti per la fase esecutiva come la risoluzione e il recesso.

La Stazione Appaltante propone appello deducendo i seguenti motivi:

  1. a) La cessione del ramo di azienda era finalizzata ad eludere il provvedimento di commissariamento per caporalato adottato dalla Procura di Milano. Pertanto, non poteva dirsi verificato nel rapporto contrattuale della società B e, quindi, questa non aveva alcun interesse ad impugnare il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione con conseguente inammissibilità del ricorso. Inoltre, la società B avrebbe dovuto notificarlo anche alla società A, e questo sarebbe ulteriore motivo di inammissibilità del ricorso di primo grado non rilevato dal giudice;

 

  1. b) L’accertamento della perdurante vigenza del contratto di appalto rientrerebbe nella giurisdizione ordinaria e non amministrativa e, anche per questo, il giudice di primo grado avrebbe dovuto dichiarare il ricorso inammissibile;
  2. c) La revoca dell’aggiudicazione sarebbe un atto dovuto, atteso che il contratto di appalto si sarebbe già risolto a seguito dell’omesso riscontro alla diffida ad adempiere trasmessa dall’ente pubblico cui sarebbe conseguita la risoluzione a norma dell’art. 1454 c.c.

 

  1. L’interesse ad agire della cessionaria e l’assenza di dinieghi espressi al subentro.

Preliminarmente, il Consiglio di Stato afferma l’interesse ad agire di B avverso la revoca del provvedimento di aggiudicazione. Infatti, al momento della revoca, era già stato ceduto il ramo di azienda da parte della società A., con conseguente subentro nel contratto.

L’ente pubblico, d’altronde, aveva preso atto del subentro ex lege senza esprimere riserve e senza adottare alcun provvedimento di diniego del subentro, risultando unicamente avere, successivamente a tale presa d’atto, disposto la revoca dell’aggiudicazione.

 

  1. La giurisdizione amministrativa sugli atti autoritativi adottati nella fase esecutiva del contratto.

Sempre in via preliminare, il giudice di secondo grado stabilisce che, pur trattandosi di atto adottato dopo la stipula del contratto, la controversia rientri nella giurisdizione amministrativa e non in quella ordinaria.

L’atto impugnato, infatti, non costituisce esercizio di un potere privatistico ma di un potere autoritativo, come risulterebbe dalla stessa motivazione adottata dall’ente. Il provvedimento, infatti, viene motivato con la volontà di sanzionare comportamenti scorretti dell’aggiudicatario, così configurando l’esercizio di un potere di autotutela pubblicistica fondato sui poteri autoritativi dell’Amministrazione e non sui normali rimedi privatistici o su quelli specificamente previsti dal codice dei contratti pubblici. Questa conclusione viene fondata sulla costante giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, in materia di riparto di giurisdizione, afferma che sussista quella amministrativa ogni qualvolta l’atto adottato dall’Amministrazione sia espressione anche mediata di un potere autoritativo ad essa riconosciuta, così che questa agisce non in veste di privato in rapporto paritetico con l’esecutore ma quale autorità pubblica investita di specifici poteri (Cass. Sez. U. 29 dicembre 2016, n. 27455; Cass. Sez. U., 01/03/2023, n.6100).

Non può neanche negarsi la giurisdizione amministrativa sulla base del rilievo per il quale la valutazione della legittimità del provvedimento di revoca dell’aggiudicazione presuppone anche la valutazione dell’efficacia del contratto (alla sua inefficacia conseguirebbe l’irrilevanza della legittimità della revoca dell’aggiudicazione, che costituirebbe al più una semplice presa d’atto priva di valore lesivo): il giudice amministrativo, infatti, ben può conoscere in via incidentale di tutte le questioni necessarie per la decisione sulla questione principale (come nel caso di specie) l’efficacia o meno del contratto di appalto.

  1. La revoca del provvedimento di aggiudicazione nella fase esecutiva del contratto.

Nel merito, il Consiglio di Stato conferma la sentenza di primo grado ritenendo che, dopo la stipula del contratto, la Stazione Appaltante non possa più disporre la revoca dell’aggiudicazione.

Come è noto, infatti, l’Adunanza Plenaria n. 14 del 2014 ha risolto il contrasto giurisprudenziale formatosi in materia affermando che con la stipula del contratto si esaurisce la fase pubblicistica della procedura di gara (dominata dai poteri autoritativi dell’ente) avviandosi invece quella privatistica, nella quale l’ente agisce (salve le specifiche eccezioni previste dalla legge) come un soggetto di diritto privato ed esercitando, quindi, i propri poteri privatistici.

Pertanto, da tale momento troveranno applicazione le disposizioni di diritto civile che regolano il rapporto contrattuale, e queste prevarranno rispetto alla normativa della legge 241 del 1990. Pertanto, da tale momento la Stazione Appaltante non può più adottare i provvedimenti di revoca, dovendo invece fare ricorso agli ordinari strumenti civilistici (che hanno presupposti diversi), come eventualmente derogate o integrate dal Codice dei contratti pubblici nella parte relativa all’esecuzione contrattuale.

Nel ricorso di appello, la Stazione Appaltante ha cercato di giustificare la legittimità del proprio operato sostenendo che la revoca sarebbe conseguita alla presa d’atto dell’avvenuta risoluzione del contratto, derivante dal mancato rispetto della diffida ad adempiere formulata dall’amministrazione. Ciò avrebbe determinato un vero e proprio “recesso di fatto”, legittimando la staziona appaltante alla revoca dell’aggiudicazione di un contratto di appalto irrimediabilmente risolto.

Tale tesi, tuttavia, è stata respinta dal Consiglio di Stato che ha ribadito come, dopo la stipula del contratto. il potere di autotutela pubblicistica ex art. 21 quinquies della L. n. 241/1990, non può più essere utilizzato ed un’eventuale risoluzione del contratto o un recesso (peraltro, nel caso di specie, mai esternato mediante provvedimenti espliciti) non può avere l’effetto di attribuire nuovamente all’Amministrazione il suddetto potere, al fine di far valere supposti inadempimenti dell’aggiudicatario, ovvero del contraente eventualmente subentrato nel contratto. Ne discende che la Stazione Appaltante neanche in tale evenienza può revocare l’aggiudicazione con conseguente illegittimità del provvedimento adottato.

Gli uffici di Ance Brescia sono a disposizione per eventuali chiarimenti.

ALLEGATO: CDS 5171_24


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