LEGITTIMITÀ DEL LIMITE DEL 30% AL SUBAPPALTO – ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI OPPOSTI – PROSPETTIVE DI INCERTEZZA PER IL 2021
(Consiglio di Stato, sez. V, 17 dicembre 2020, n. 8101 e, di segno opposto, Tar Lazio, Roma, Sezione Terza Quater, 15/12/2020, n. 13527)
Come noto, il decreto cd. “Sblocca cantieri” – dopo aver previsto la sospensione dell’art. 105, co. 2 del Codice degli appalti laddove prevede che l’eventuale subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell’importo complessivo del contratto – ha stabilito in sede di conversione che, nelle more di una complessiva revisione dello stesso Codice, “fino al 31 dicembre 2020 … il subappalto è indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e non può superare la quota del 40 per cento” (art. 1, co. 18, del D.L. 18/04/2019 n. 32, conv. in L. 14.06.2019 n. 55).
A tale riguardo, il Consiglio di Stato con sentenza n. 8101 del 2020 ha osservato che la norma del Codice dei contratti pubblici – di prossimo ritorno il primo gennaio 2021 – deve essere disapplicata, in quanto ponendo limiti al subappalto è incompatibile con l’ordinamento euro-unitario (cfr., in ultimo, Corte di Giustizia C-63/18; e, negli stessi in termini sent. Cons. St, n. 389/2020, in cui si legge che «30 per cento … deve ritenersi superato per effetto delle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea»).
La pronuncia è relativa a una procedura di gara per la concessione del servizio di ristorazione a basso impatto ambientale per le mense scolastiche e i centri di riabilitazione. In sede di ricorso proposto da un concorrente, è stata contestata la volontà dell’impresa risultata aggiudicataria di subappaltare a soggetti terzi una serie di prestazioni in misura eccedente il limite del 30% dell’importo complessivo dell’appalto, fissato nei documenti di gara. Questa censura è stata respinta dal Consiglio di Stato che afferma infatti con chiarezza il principio secondo cui la norma nazionale che pone un limite quantitativo al subappalto deve essere disapplicata in quanto incompatibile con l’ordinamento comunitario in materia di appalti. Conseguentemente, anche la clausola del bando di gara che assume tale limite deve ritenersi superata- e quindi anch’essa da disapplicare – in relazione al suo contrasto con la norma comunitaria.
Di segno opposto la sentenza del Tar Lazio, Roma, Sezione Terza Quater, 15/12/2020, n. 13527 che conferma gli orientamenti già precedentemente espressi (Tar Lazio, Roma, Sez. I, 24 aprile 2020, n. 4183 – Tar Lazio, Roma, Sez. Terza quater, 03/11/2020, n.11304) . La sentenza in esame appare rilevante perché, oltre a ribadire la legittimità del limite del 40% fissato dallo “Sblocca cantieri”, introduce un elemento di “flessibilità”, prevedendo come il 40% sia un tetto massimo e, sulla base delle caratteristiche dell’appalto, le stazioni appaltanti scelgano discrezionalmente la percentuale di subappalto più adeguata. Insomma il Tar Lazio rimane all’interno del quadro normativo nazionale esistente, ma prevedendo scelte discrezionali delle stazioni appaltanti sulle percentuali del subappalto sancisce un principio che può “legittimare” ( motivatamente ) qualsiasi limite ( verrebbe da dire da zero al quaranta per cento).
La pronuncia del Tar Lazio trae origine da una controversia relativa ad una procedura di gara per l’affidamento di un appalto di servizi integrati per la gestione e manutenzione delle apparecchiature biomediche di un’azienda ospedaliera. Nell’ambito di tale controversia è sorta questione in merito alla legittimità della clausola del bando di gara che stabiliva il limite quantitativo al subappalto nella misura del 30%. In particolare, il ricorrente ha contestato la legittimità di tale clausola, sia in quanto la norma nazionale in vigore – in virtù della previsione contenuta nel Decreto “sblocca cantieri” – fissa la percentuale massima al 40%, sia perché – e ciò costituisce elemento dirimente – la disciplina comunitaria non prevede alcun limite quantitativo. Questa censura è stata tuttavia respinta dal giudice amministrativo. La pronuncia non omette certo di ricordare che con due distinte sentenze – 26 settembre 2019 e 27 novembre 2019 – la Corte di Giustizia UE ha ritenuto che la direttiva comunitaria in tema di appalti è di ostacolo a una norma nazionale che limiti al 30% la quota massima delle prestazioni subappaltabili.
Tuttavia il Tar Lazio puntualizza che la decisione del giudice comunitario trova giustificazione nella particolarità del caso esaminato, in cui veniva posta la questione se il contrasto al fenomeno delle infiltrazioni mafiose potesse giustificare una restrizione alle regole comunitarie in materia di appalti. In quest’ambito, la Corte di Giustizia ha precisato che anche qualora si ritenesse che una siffatta restrizione possa essere considerata idonea a contrastare il fenomeno delle infiltrazioni criminali, la limitazione quantitativa al subappalto è da considerare una restrizione sproporzionata rispetto all’obiettivo che si intende perseguire. Ciò in quanto la norma nazionale fissa una percentuale massima delle prestazioni subappaltabili in via generale e astratta, cosicché tale divieto si applica in maniera indifferenziata, indipendentemente dal settore economico interessato dall’appalto in questione, dalla natura dei lavori e dall’identità dei subappaltatori.
Questa impostazione comporta un divieto generalizzato che non lascia alcuno spazio a una valutazione da operare caso per caso dai singoli enti appaltanti, con la conseguenza che una parte rilevante delle prestazioni non sono in alcun caso subappaltabili, e ciò anche nell’ipotesi in cui l’ente appaltante sia comunque in grado di verificare l’idoneità dei subappaltatori, e quindi il divieto non sia in realtà necessario ai fini del contrasto alla criminalità organizzata. In questo contesto, il giudice comunitario ha puntualizzato che misure meno restrittive del divieto generalizzato di ricorrere al subappalto oltre una certa percentuale sarebbero ugualmente idonee a perseguire l’obiettivo del contrasto alla criminalità organizzata, come peraltro è testimoniato dal fatto che l’ordinamento nazionale già prevede una serie di controlli volti a impedire la partecipazione alle gare a imprese sospettate di infiltrazioni criminali.
Riepilogati quindi i contenuti essenziali delle pronunce della Corte di giustizia, il giudice nazionale del Lazio ritiene che la Corte Ue, pur avendo censurato il limite quantitativo del 30%, non esclude che una norma nazionale possa legittimamente stabilire limiti superiori a detta soglia. In sostanza, sarebbe legittima la fissazione di un soglia al subappalto pari al 40 %, da considerare proporzionata con gli obiettivi che il legislatore nazionale intende perseguire di contrasto alle infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti pubblici. Di conseguenza, e coerentemente a questo presupposto, secondo il Tar Lazio sarebbe legittima la fissazione da parte dell’ente appaltante in occasione della singola gara di un limite quantitativo al subappalto nell’ambito della soglia massima del 40% stabilita dal legislatore nazionale.
Sembra che la sentenza del Tar Lazio raccolga la logica ispiratrice dell’Atto di segnalazione ANAC n. 8 del 13 novembre 2019 “Concernente la disciplina del subappalto di cui all’art. 105 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50: l’invito ad un’assunzione di responsabilità da parte delle stazioni appaltanti nel disciplinare un istituto che, a seguito della Sentenza CGUE del settembre 2019, è diventato sicuramente “scivoloso”.
In allegato:
Consiglio di Stato, sez. V, 17 dicembre 2020, n. 8101
Tar lazio, Sez. III quater, 15 dicembre 2020 n.13527
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