INAIL – TUTELA INFORTUNISTICA NEI CASI ACCERTATI DI INFEZIONE DA CORONAVIRUS IN OCCASIONE DI LAVORO – CHIARIMENTI – CIRCOLARE 20 MAGGIO 2020, N. 22
L’INAIL ha emanato la circolare 20 maggio 2020, n. 22, con la quale, facendo seguito alla propria circolare 3 aprile 2020, n. 13 (v. Circolare 98/20/RIAS/Gen/87 del 29.04.2020), ha fornito ulteriori chiarimenti relativamente ad alcune problematiche sollevate in ordine alla tutela infortunistica degli eventi di contagio da SARS-Cov-2.
In primo luogo, l’Istituto ricorda che, ai sensi dell’articolo 42, comma 2, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, l’infezione da coronavirus contratta in occasione di lavoro, come peraltro accade per tutte le infezioni da agenti biologici (es. epatite, tetano…), è tutelata dall’INAIL quale infortunio sul lavoro, pur nell’attuale situazione eccezionale di pandemia causata da un diffuso rischio di contagio in tutta la popolazione.
In secondo luogo, l’INAIL ribadisce che l’indennità per inabilità temporanea assoluta copre anche il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria.
Inoltre, l’Istituto rammenta che gli oneri degli eventi infortunistici del contagio non incidono sull’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico, e, quindi, non comportano maggiori oneri per le imprese in termini di misura del premio pagato dal singolo datore di lavoro; ciò in quanto tali eventi sono stati a priori ritenuti frutto di fattori di rischio non direttamente e pienamente controllabili dal datore di lavoro al pari degli infortuni in itinere.
Per quanto riguarda l’accertamento dell’infortunio da contagio da SARS-Cov-2, l’INAIL richiama le linee guida dettate, in generale, per la trattazione dei casi di malattie infettive e parassitarie di cui alla circolare Inail 23 novembre 1995, n. 74. Alla luce dei principi contenuti in tali linee guida, l’Istituto chiarisce che non può desumersi alcun automatismo ai fini dell’ammissione a tutela dei casi denunciati. Al contrario, occorre sempre accertare la sussistenza dei fatti noti, cioè di indizi gravi, precisi e concordanti, ferma restando la possibilità di prova contraria a carico dell’Istituto. Pertanto, è sempre necessario l’accertamento rigoroso dei fatti e delle circostanze che facciano fondatamente desumere che il contagio sia avvenuto in occasione di lavoro (le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, le indagini circa i tempi di comparsa delle infezioni…). In tale contesto, l’Istituto valuta tutti gli elementi acquisiti d’ufficio, quelli forniti dal lavoratore nonché quelli prodotti dal datore di lavoro, in sede di invio della denuncia d’infortunio contenente tutti gli elementi utili sulle cause e circostanze dell’evento denunciato.
Alla luce di quanto sopra, l’INAIL afferma che il riconoscimento dell’origine professionale del contagio si fonda su un giudizio di ragionevole probabilità ed è totalmente avulso da ogni valutazione in ordine alla imputabilità di eventuali comportamenti omissivi in capo al datore di lavoro che possano essere stati causa del contagio. Pertanto, i presupposti per la responsabilità penale e civile del datore di lavoro dovranno essere accertati con criteri diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative, considerando, oltre alla rigorosa prova del nesso di causalità, anche l’imputabilità, quantomeno a titolo di colpa, della condotta tenuta dal datore di lavoro.
L’Istituto, anche in considerazione dell’orientamento dettato dalla Corte di Cassazione, specifica che il riconoscimento del diritto alle prestazioni da parte dell’Istituto non può, di per sé, assumere rilievo per sostenere l’accusa in sede penale né in sede civile, essendo necessario che sussista la colpa del datore di lavoro, intesa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore.
La responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che, nel caso dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali di cui all’articolo 1, comma 14 del decreto legge 16 maggio 2020, n.33.
Allo stesso modo, in merito all’attivazione dell’azione di regresso, l’Istituto ha chiarito che essa non può basarsi sul semplice riconoscimento dell’infezione da SarsCov-2., ma presuppone l’imputabilità, a titolo quantomeno di colpa, della condotta causativa del danno.
L’Istituto conclude, pertanto, affermando che in assenza di una comprovata violazione, da parte del datore di lavoro, delle misure di contenimento del rischio di contagio di cui ai protocolli o alle linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n.33, sarebbe molto arduo ipotizzare e dimostrare la colpa del datore di lavoro.
Facendo riserva circa ulteriori commenti in corso di elaborazione da parte di ANCE, alla luce di quanto asserito dall’Istituto, ribadiamo l’importanza dell’adozione, del rispetto e della piena applicazione, da parte del datore di lavoro, dei protocolli di sicurezza, nonché la rilevanza della denuncia di infortunio all’INAIL: al riguardo, per la necessaria assistenza, è consigliabile, nel momento della ricezione di un certificato di infortunio da CoViD19, un contatto telefonico fra l’impresa associata e il Settore sindacale di ANCE Brescia per le opportune valutazioni della singola fattispecie.
Allegato: circolare Inail n 22 del 20 maggio 2020
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