APPALTI PUBBLICI – PER LA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA È ILLEGITTIMA LA NORMA ITALIANA CHE LIMITA IL SUBAPPALTO
La Corte di Giustizia europea con la sentenza del 26 settembre 2019 boccia, senza lasciare spazio a interpretazioni, la scelta italiana di limitare la possibilità che i costruttori possano assegnare ad altre ditte (subappaltatori) parte delle attività da svolgere in cantiere. Il caso nasce dall’ esclusione di un’impresa da una gara di Autostrade (ampliamento dell’A8 per 85 milioni di euro) e riguarda in particolare il limite del 30% dell’importo del contratto stabilito con il Codice Appalti, il D. lgs. 50/2016 all’articolo 105.
Con tutta evidenza, però, la decisione si attaglia anche al nuovo limite temporaneo del 40% introdotto (fino al 31 dicembre 2020) dal decreto Sblocca-cantieri, all’inizio dell’estate.
La decisione appena pubblicata conferma la tesi sostenuta da tempo da Ance che, sin dall’entrata in vigore del Codice appalti del 2016 con un esposto presentato alla Commissione europea, ha sempre sostenuto che in questa norma vi fosse una grave violazione della libertà di organizzazione d’impresa incompatibile con le direttive Ue sugli appalti.
“Questa sentenza chiarisce, una volta per tutte, la correttezza delle posizioni che l’Ance ha sempre, con trasparenza, portato avanti in tutte le sedi istituzionali” commenta il presidente dell’Ance, Gabriele Buia, che afferma: “Non è più rinviabile un intervento complessivo del legislatore per allineare la normativa italiana a quella europea a tutela di tutte le tipologie d’impresa, nessuna esclusa”.
Entrando nei dettagli della sentenza, nel passaggio chiave la decisione afferma che è contrario alle direttive europee qualsiasi limite che vieti «in modo generale e astratto il ricorso al subappalto che superi una percentuale fissa dell’appalto pubblico». Dunque non è tanto questione di alzare o abbassare la soglia, ma il fatto stesso che esista una soglia, dal momento che questo contrasta con l’obiettivo, perseguito con forza dalla Ue, di aprire il più possibile le gare pubbliche alle Pmi. È pertanto inutile provare a giustificare la scelta con l’obiettivo di combattere le infiltrazioni criminali nei lavori pubblici, che trovano proprio nella catena dei subappalti una delle porte di ingresso più battute. I giudici europei hanno analizzato le motivazioni presentate dal Governo italiano, ma le hanno giudicate insufficienti o comunque non pertinenti. Più in dettaglio, la Corte non nega che l’Italia, come gli altri Stati europei, possa rendere più rigidi i paletti previsti dalle direttive con l’obiettivo di combattere le infiltrazioni criminali negli appalti pubblici. «Tuttavia – si legge nella sentenza -, anche supponendo che una restrizione quantitativa al ricorso al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare siffatto fenomeno, una restrizione come quella di cui trattasi nel procedimento principale eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo».
Per la Corte esistono altre vie per alzare barriere all’ingresso della criminalità nel mercato degli appalti. Il primo, si legge, è verificare il possesso dei requisiti dei subappaltatori e nel caso escluderli dai cantieri come già previsto dalle norme italiane. «Il diritto italiano – ricorda la Corte – già prevede numerose attività interdittive espressamente finalizzate ad impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di condizionamento mafioso o comunque collegate a interessi riconducibili alle principali organizzazioni criminali operanti nel paese». E non vale l’argomento, proposto dal Governo, secondo cui spesso i controlli messi in campo dalle Pa sarebbero inefficaci. Perché questa circostanza, «nulla toglie al carattere restrittivo» di un «divieto generale che non lascia alcuno spazio a una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore». Da questo punto di vista, è vero che il decreto Sblocca-cantieri lascia alle stazioni appaltanti il compito di stabilire, con il bando, dunque gara per gara, la percentuale esatta (tra zero e 40%) di lavori che l’impresa potrà subbaffidare ad altre ditte. Ma è anche vero che oltre il tetto massimo del 40% non si può andare e che di regola tutte le Pa si sono allineate a questa soglia.
Oltre alla sentenza pubblicata in risposta al Tar Lombardia, la Corte di Giustizia deve pronunciarsi ancora su un caso analogo proposto dal Consiglio di Stato. La decisione in quest’ ultima causa – in cui aspettano risposte anche sul limite del 20% allo sconto possibile sui prezzi del subappalto – dovrebbe arrivare entro fine anno, ma non è il caso di aspettarsi sorprese. Sono ormai diverse, infatti, le pronunce dei giudici europei – non solo relative alle norme italiane – che bocciano l’imposizione di limitazioni ai subaffidamenti. A parte la cosiddetta «sentenza Wroclaw», pubblicata nel 2016, ma relativa a un caso scoppiato in Polonia, il punto è ricordato anche nella lettera con cui Bruxelles ha contestato pochi mesi fa i disallineamenti (eufemismo) del codice appalti rispetto alle direttive europee. Dunque, senza adeguamenti, la procedura di infrazione sembra uno sbocco inevitabile.
Di seguito si pubblica il testo della sentenza in parola.
Allegato:
Sentenza Corte Giustizia Europea Subappalto
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