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26.10.2017 - tributi

AGEVOLAZIONI “PRIMA CASA” – REVOCA DEI BENEFICI

Revocati i benefici “prima casa” se l’acquirente, al momento del rogito, è in possesso di un altro fabbricato (accatastato in A/2) anche se destinato ad uso ufficio.
Questo il principio contenuto nell’Ordinanza della Cassazione n. 19255 del 2 agosto 2017 che, sulla base di un ricorso avanzato da un contribuente, ha negato i benefici “prima casa” (IVA al 4% o registro al 2%), così come disciplinati dall’art. 1, nota II-bis della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 131/86 [1].
La vicenda prende le mosse da un avviso di liquidazione con il quale l’Amministrazione finanziaria ha revocato i benefici “prima casa” poiché, al momento del rogito, il proprietario risultava già in possesso di un altro immobile nello stesso Comune.
Contro tale avviso il contribuente ha proposto ricorso (accolto, peraltro, in primo e secondo grado) evidenziando, a sostegno della propria tesi difensiva, il pieno diritto a godere dei benefici in questione per l’acquisto della nuova abitazione, in quanto l’immobile pre-posseduto, seppur accatastato come immobile residenziale nella categoria A/2 (“abitazioni di tipo civile”), era stato utilizzato come ufficio.
La questione è giunta dinanzi alla Suprema Corte che, con un orientamento ormai consolidato [2], ha rigettato il ricorso del contribuente, accogliendo, invece, la tesi dell’Amministrazione finanziaria.
In particolare, i giudici di legittimità, partendo dal dato normativo dell’art. 1, nota II-bis della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 131/86, hanno confermato la revoca dei benefici “prima casa” dando rilievo alla classificazione catastale dell’immobile e non già all’utilizzo effettivo dello stesso.
In particolare, si legge nelle motivazioni della sentenza, “ai fini del riconoscimento del beneficio fiscale “prima casa” non assume rilievo la situazione soggettiva del contribuente o il concreto utilizzo del bene, quello, invece, che rileva è solo il parametro oggettivo della classificazione catastale dell’edificio”.
Pertanto, tenuto conto che nel caso di specie al momento del rogito, il contribuente risultava già proprietario di un immobile che, seppur destinato all’esercizio dell’attività professionale come studio o ufficio, aveva una classificazione catastale abitativa (A2), il nuovo acquisto non poteva scontare i benefici “prima casa”.

Note:
[1] Nota II-bis, all’art.1 della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986
«1. Ai fini dell’applicazione dell’aliquota del 2 per cento agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione relativi alle stesse, devono ricorrere le seguenti condizioni:
a) che l’immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria attività ovvero, se trasferito all’estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l’acquirente sia cittadino italiano emigrato all’estero, che l’immobile sia acquisito come prima casa sul territorio italiano. La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel comune ove è ubicato l’immobile acquistato deve essere resa, a pena di decadenza, dall’acquirente nell’atto di acquisto;
b) che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare;
c) che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni di cui al presente articolo ovvero di cui all’art. 1 della L. 22 aprile 1982, n. 168, all’art. 2 del D.L. 7 febbraio 1985, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla L. 5 aprile 1985, n. 118, all’art. 3, comma 2, della L. 31 dicembre 1991, n. 415, all’art. 5, commi 2 e 3, dei decreti-legge 21 gennaio 1992, n. 14, 20 marzo 1992, n. 237, e 20 maggio 1992, n. 293, all’art. 2, commi 2 e 3, del D.L. 24 luglio 1992, n. 348, all’art. 1, commi 2 e 3, del D.L. 24 settembre 1992, n. 388, all’art. 1, commi 2 e 3, del D.L. 24 novembre 1992, n. 455, all’art. 1, comma 2, del D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 1993, n. 75 e all’art. 16 del D.L. 22 maggio 1993, n. 155, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 luglio 1993, n. 243.
[2] Cfr. Cass. n. 25646/2015 e n. 10925/2003


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