SPLIT PAYMENT E ACCERTAMENTO IVA – RIADDEBITO ALLA P.A. COMMITTENTE
(RM n.75/E del 14 settembre 2016)
La maggiore IVA versata dall’impresa a seguito di adesione all’accertamento può essere comunque addebitata, in via di rivalsa, alla Pubblica Amministrazione committente, anche se l’operazione originaria è stata fatturata con applicazione dello “split payment”.
Così chiarisce l’Agenzia delle Entrate nella RM n.75/E del 14 settembre 2016, con la quale viene affrontata, sotto il profilo operativo, la compatibilità tra la disciplina IVA della “scissione dei pagamenti” (cd. “split payment”, di cui all’art.17-ter del DPR 633/1972), che pone in capo alla Pubblica Amministrazione committente l’obbligo di versare l’IVA addebitata in fattura e quella che prevede, in caso di versamento degli importi dovuti per effetto dell’accertamento, il diritto alla rivalsa nei confronti del committente della maggiore IVA pagata dal fornitore/prestatore di servizi (art.60, co.7, DPR 633/1972[1]).
La questione nasce da quanto affermato dalla stessa Agenzia nella precedente CM 15/E/2015, con la quale è stato tra l’altro precisato che, in presenza di operazioni assoggettate allo split payment, l’addebito di una maggiore IVA alla committente pubblica, rispetto a quella già fatturata (ad esempio, in caso di errata applicazione dell’aliquota del 10% anziché di quella del 22%), deve avvenire attraverso una nota di variazione in aumento della fattura originaria, da emettere anch’essa in regime di “scissione dei pagamenti”.
In linea generale, tale precisazione consente la perfetta operatività del meccanismo dello split payment, poiché fa sì che l’obbligo di versamento dell’IVA (sia di quella originariamente fatturata che di quella oggetto di successiva nota di variazione) ricada sempre esclusivamente sulla Pubblica Amministrazione committente.
Diversamente, il suddetto chiarimento generava criticità nel particolare caso disciplinato dall’art.60, co.7, del DPR 633/1972, ossia nell’ipotesi in cui l’addebito alla P.A. committente avesse riguardato la maggiore IVA già versata dall’impresa fornitrice all’Erario a seguito di adesione all’atto di accertamento.
In tale ipotesi, infatti:
■ per esercitare il diritto di rivalsa nei confronti della P.A. committente, l’impresa avrebbe dovuto in ogni caso versare all’Erario la maggiore IVA accertata[2];
■ seguendo poi le indicazioni della CM 15/E/2015, la medesima impresa avrebbe dovuto addebitare all’Ente committente la maggiore imposta già versata, attraverso una nota di variazione in aumento della fattura originaria, da emettere però in regime di split payment;
■ in adempimento a quest’ultimo meccanismo, la P.A. committente avrebbe dovuto versare anch’essa all’Erario la maggiore IVA addebitatale in via di rivalsa dall’impresa fornitrice.
In pratica, operando in tal modo, la maggiore imposta derivante dall’accertamento sarebbe stata versata due volte all’Erario (prima dall’impresa in fase di adesione all’accertamento e poi dalla committente pubblica in sede di versamento di quanto esposto nella nota di variazione emessa in regime di split payment) e, soprattutto, l’impresa non avrebbe comunque recuperato l’IVA già versata all’Erario, in palese violazione del principio di neutralità dell’imposta.
Proprio per far chiarezza su tale questione, la RM 75/E/2016 precisa ora che, in deroga alle ordinarie disposizioni in materia di split payment, l’IVA versata all’Erario dal contribuente a seguito di accertamento (ai sensi del citato art.60, co.7, del DPR 633/1972) può essere addebitata in via di rivalsa alla P.A. committente, senza applicazione del meccanismo della “scissione dei pagamenti”.
In tal modo, la P.A. committente non dovrà versare nuovamente allo Stato la maggiore IVA accertata, esposta nella nota di variazione, ma la corrisponderà al contribuente che potrà così recuperare l’importo pagato in virtù dell’accertamento.
La pronuncia si ritiene particolarmente rilevante per il comparto dei lavori pubblici, soprattutto in relazione agli interventi riguardanti le opere di urbanizzazione secondaria, per i quali gli Enti pubblici committenti, al fine di ridurre l’onere dell’IVA (che, per questi, corrisponde ad un vero e proprio elemento di costo), a volte dichiarano erroneamente la spettanza dell’aliquota ridotta del 10% (in luogo di quella ordinaria pari al 22%), esponendo in questo modo le imprese al rischio di accertamenti fiscali ed alla conseguente necessità di dover corrispondere allo Stato la maggiore IVA richiesta.
In tale contesto, la Risoluzione in esame va valutata positivamente, poiché, anche in presenza di operazioni assoggettate a split payment, ammette comunque la possibilità, per l’impresa accertata, di poter addebitare all’Ente committente la maggiore imposta versata, fornendo chiarimenti anche sulle relative procedure operative.
Note:
[1] D.P.R. 26-10-1972 n. 633 – Art. 60 Pagamento delle imposte accertate
(omissis)
7. Il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione.
[2] Il citato art.60, co.7, del DPR 633/1972, infatti, ammette il diritto del contribuente di rivalersi nei confronti del committente solo previo pagamento degli importi dovuti (maggiore imposta, interessi e sanzioni) per effetto dell’accertamento.
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