MODESTE DIFFORMITA’ AL TITOLO ABILITATIVO PER INTERVENTI DI NUOVA COSTRUZIONE O DI RECUPERO EDILIZIO ESEGUITI SU EDIFICI COSTRUITI PRIMA E DOPO IL 1° SETTEMBRE 1967
(a cura del geom. Antonio Gnecchi)
La successione nel tempo dei sistemi di sanzioni.
A partire dalla L.U. del 1942, si possono distinguere tre sistemi di sanzioni ed i relativi periodi temporali nei quali sono stati introdotti e resi applicabili.
a) quello vigente dal 1° settembre 1942 al 1° settembre 1967, disciplinato dal Testo originario dell’art. 32 legge urbanistica,
b) quello vigente dal 1° settembre 1967 (data di entrata in vigore della legge-ponte) nel quale il sistema dell’art. 32 L.U. era integrato dalla sanzione sostitutiva prevista dall’art. 41 L.U. nel nuovo testo, come modificato dall’art. 13 legge-ponte,
c) quello vigente a partire dal 29 gennaio 1977 (data di entrata in vigore della L.S.) che ha invece riformato profondamente il sistema sanzionatorio, modificando l’art. 32 L.U. – solo in parte rimasto in vigore – con l’art. 15 L.S.
Il sistema delle sanzioni previste dall’art. 15 L.S. è divenuto applicabile sia ai casi di concessione tacita, che ai sensi di autorizzazione (tacita o espressa), come disposto dall’art. 8 del DL 23 gennaio 1982, n. 9 (c.d. decreto Nicolazzi), convertito in legge 25 marzo 1992, n. 94, con alcune limitazioni.
Si è quindi passati da un primo regime, che prevedeva la sola demolizione o modifica d’ufficio delle opere abusive, al successivo, che, in caso di impossibilità concreta della misura di rimessione in pristino, introduceva la misura alternativa della sanzione pecuniaria equivalente, al fine di eliminare il vantaggio economico derivante dalla mancata demolizione, al responsabile; esso ha previsto, oltre la demolizione, la confisca, sanzioni pecuniarie pari al doppio del valore dell’abuso ed altre diverse misure.
Questo sistema ha avuto termine con l’entrata in vigore della legge n. 47 del 1985.
Il sistema introdotto dalla legge n. 47 del 1985 (entrata in vigore il 17 marzo 1985) ha modificato profondamente la tipologia degli abusi, introducendo un notevole numero di tipi di abuso con apposite diverse sanzioni, ed inasprendo i poteri di vigilanza e repressione degli abusi edilizi, prevedendo anche l’applicabilità retroattiva delle sanzioni contenute nella stessa legge.
Rapporto tra sanzioni previste ed applicabili per i diversi periodi di tempo.
a) Per quanto riguarda le sanzioni previste dalla legge-ponte (n. 765/1967) la sanzione pecuniaria sostitutiva alla demolizione era prevista anche agli abusi eseguiti in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge, in relazione alla scelta del comune, in alternativa alla demolizione. In materia di sanzioni amministrative non vige il divieto di retroattività, che la Costituzione pone solo per le leggi penali, per cui per determinare la sfera di applicabilità della disciplina sanzionatoria sopravvenuta in materia di illeciti edilizi, deve aversi riguardo non alla data della costruzione abusiva ma al momento in cui l’amministrazione opera la scelta (peraltro non irretrattabile) tra demolizione e sanzione alternativa; pertanto, la sanzione pecuniaria è applicabile ogni qual volta, dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina sanzionatoria, l’amministrazione decida di non procedere alla demolizione di un edificio del quale permanga il carattere abusivo (C.d.S. Stato, sez. VI, 28 giugno 1982, n. 317, in C.d.S.) 1982, I, 935).
b) Per le sanzioni introdotte dalla L.S. e non previste in precedenza (confisca e sanzione pecuniaria, pari doppio del valore dell’abuso) si deve osservare che, essendo testualmente sanzioni riferibili alle opere abusive eseguite senza o in difformità della concessione (e non di licenza), ed inoltre costituendo il doppio del valore, per la parte eccedente una volta il valore stesso, esse costituiscono non una misura sostitutiva ma una pena aggiuntiva per cui non è possibile l’applicazione retroattiva alle opere eseguite prima della L. S. per la mancanza di riferimento espresso al regime di licenza, e per la non retroattività della pena ulteriore nell’applicazione della parte di sanzione superiore ad una volta il valore dell’abuso.
A proposito della L.S. ci sono da precisare due cose:
1) la disciplina della legge 10/77 attiene all’ordine pubblico e, quindi, ha immediata incidenza sui rapporti giuridici precedentemente sorti e non ancora esauriti: pertanto, la circostanza del compimento di un abuso edilizio in regime della vecchia legge non vale a precludere l’applicazione delle nuove norme alla situazione esistente al momento della loro entrata in vigore (CdS, Ad Plen. 26 novembre 1977, n. 969, in CdS, 1978, I, 173).
2) le sanzioni previste dall’art. 15 della legge 28 gennaio 1977m n. 10, si applicano ai soli abusi edilizi perpetrati dopo la sua entrata in vigore (CdS, Sez. V, 8 luglio 1980, n. 872, in CdS, 1980, I, 949).
Forme di illecito urbanistico e le sanzioni previste nel regime di licenza di costruzione.
L’art. 32 della L.U. distingue sostanzialmente tre tipi di abuso edilizio:
a) l’inosservanza, da parte di chi opera munito di regolare licenza, di norme della L.U. e dei regolamenti, nonché di prescrizioni del PRG (mentre l’inosservanza del programma di fabbricazione (PdF), che è allegato al regolamento edilizio, è violazione di quest’ultimo), ed infine delle modalità esecutive fissate nella licenza di costruzione. Tale inosservanza comporta (commi 1 e 2 dell’art. 32 L.U.) provvedimenti di rimessione in pristino e modifica delle costruzioni, previa sospensione dei lavori;
b) l’inizio dei lavori senza licenza,
c) l’esecuzione di lavori in contravvenzione dell’ordinanza di sospensione.
In questi ultimi due casi il sindaco può, previa diffida e sentito il parere degli uffici regionali ordinare la demolizione delle opere abusive a spese del contravventore, senza pregiudizio delle sanzioni legali.
Il secondo comma dell’art. 41 L.U. ha introdotto la sanzione pecuniaria sostitutiva (pari al valore elle opere abusive) da applicare ogni “qualora non sia possibile procedere alla restituzione in pristino, ovvero alla demolizione delle opere eseguite senza licenza di costruzione o in contrasto con essa”, sicché la differenza tra le varie forme di illecito urbanistico appare sostanzialmente scomparsa.
In sostanza, le due alternative sono: rimessione in pristino volontaria o coatta, o in subordine applicazione di sanzione pecuniaria sostitutiva dell’esecuzione forzata.
Forme di illecito urbanistico e le relative sanzioni nel regime di concessione per il periodo anteriore la legge n. 47 del 1985.
La L.S., all’art. 15 ha modificato il numero ed i caratteri delle fattispecie di illecito urbanistico nei riguardi delle ipotesi già formulate dall’art. 32 L.U. vigente nel precedente regime. Si è infatti introdotta un’attenuante per i casi di buona fede (per il caso di annullamento della concessione) mentre si è rafforzato l’insieme delle sanzioni (raddoppio della sanzione pecuniaria e confisca del fabbricato compreso il terreno di pertinenza per gli abusi volontari); infine per il caso di lievi entità, si è prescritto l’obbligo della sanatoria.
Le ipotesi di illecito urbanistico sono quindi le seguenti:
a) opere eseguite senza concessione od in totale difformità da essa (art. 15, commi da 3 a 7, L.S.)
b) opere eseguite in base a concessione successivamente annullata (art. 15, comma 9),
c) opere parzialmente difformi (art. 15, comma 11) di tipo sanabile.
La differenza pratica delle varie ipotesi presenta rilevanti problemi.
Per le autorizzazioni, l’art. 8, comma 6, del DL 23 gennaio 1982, n. 9 (c.d. decreto Nicolazzi) ha stabilito che sono applicabili alle opere eseguite in regime di autorizzazione le sanzioni previste dall’art. 15 L.S. nel caso in cui esse siano contrastanti oggettivamente con norme e prescrizioni urbanistiche.
La legge ha distinto, tentando di risolvere i problemi insoluti nel precedente regime dell’art. 32 L.U. le varie ipotesi, avendo voluto introdurre differenti sanzioni in dipendenza della diversa gravità delle ipotesi di illecito.
Ipotesi A – Per le opere in assenza di concessione od in totale difformità da essa, stabilisce il terzo comma dell’abrogato art. 15 L.S. che ove esse non vengano demolite entro il termine fissato dal sindaco nell’ordinanza di demolizione (costituente equivalente alla diffida ad adempiere prevista dall’art. 32 L.U.) le opere stesse sono acquisite con l’area su cui insistono al patrimonio indisponibile del comune.
Ipotesi B – In caso di annullamento …..omissis …..
Ipotesi C – In caso di difformità parziale (art. 15 L.S., comma 11), invece è prescritta la demolizione con riduzione in pristino. Se ciò non sia possibile, il sindaco irroga una sanzione pecuniaria, pari al doppio del valore della parte abusiva realizzata.
Non è prevista sanzione (art. 15 L.S., comma 12) per le varianti interne o che comunque non modificano sagoma, superficie utile e la destinazione d’uso e siano conformi agli strumenti urbanistici, da approvarsi prima del rilascio del certificato di abitabilità.
Ipotesi D – Per le opere eseguite da terzi su terreni dello Stato e degli enti territoriali …..omissis …..
Ipotesi E – Sono state introdotte dalla L.S. anche sanzioni integrative, non precedentemente previste nel regime di licenza, e cioè:
a) il divieto di erogazione di servizi pubblici,
b) la nullità di atti giuridici aventi per oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione.
Ipotesi F – infine sono state introdotte dalla L.S. (comma 1 dell’art. 15) sanzioni per il mancato pagamento dei contributi di concessione,
Ipotesi G – il D.L. 23 gennaio 1982, n. 9 (decreto Nicolazzi) art. 8, ha stabilito che le sanzioni previste dall’art. 15 L.S. si applicano anche ai soggetti che abbiano presentato le istanze per l’ottenimento delle autorizzazioni, qualora le opere stesse si trovino in contrasto con le norme di legge, di regolamenti edilizi, di strumenti urbanistici generali, ovvero con vincoli posti a tutela dei beni ambientali ed architettonici.
Forme di illecito e sanzioni nel regime vigente della legge n. 47 del 1985.
Fermo restando il regime di concessione ed autorizzazione, la legge n. 47 del 1985 ha profondamente modificato il sistema di sanzioni rendendo più articolato e complesso, così come è più articolata la serie delle forme di illecito edilizio.
Le nuove forme di illeciti edilizi si articolano sui caratteri oggettivi degli interventi, gradua e introduce un complesso sistematico di sanzioni estremamente differenziato.
Si possono distinguere:
A) le forme di illecito.
1) L’abuso che riguarda una nuova costruzione si articola a sua volta in abuso totale, costituito dall’esecuzione di opere senza concessione, di opere in totale difformità, di opere con variazioni essenziali. Particolare disciplina ha l’annullamento della concessione. Per la lottizzazione è previsto l’abuso totale. Per l’abuso parziale sono previste la parziale difformità e le varianti in corso d’opera.
2) L’intervento abusivo sull’esistente prevede la ristrutturazione abusiva, l’abuso nelle opere soggette ad autorizzazione, le opere interne abusive e il mutamento di destinazione d’uso senza opere.
B) i tipi di sanzione.
Le sanzioni previste sono di diverso genere:
1) Anzitutto la confisca del fabbricato abusivo con il terreno di pertinenza, prescritto in genere per l’abuso totale nei casi di nuovo intervento e per le lottizzazioni abusive, ma non per l’annullamento della concessione.
2) La demolizione o riduzione in pristino, prevista in determinati casi sia per l’annullamento della concessione, che per le difformità parziali, che per gli interventi abusivi sull’esistente.
3) Le sanzioni pecuniarie sostitutive della riduzione in pristino previste per la parziale difformità e l’annullamento della concessione.
4) Le sanzioni pecuniarie autonome previste in rapporto al valore dell’abuso oppure entro un importo minimo ed uno massimo, per le ristrutturazioni abusive, per le opere soggette ad autorizzazione, per le opere interne abusive formalmente in maniera ridotta.
Retroattività della legge.
La retroattività della legge, esclusa per le leggi penali dall’art. 25 Cost., ha carattere eccezionale negli altri campi del diritto, volgendosi in deroga al principio di cui all’art. 11 disp. Cod. civ.; pertanto la volontà del legislatore intesa ad attuarla, ove non sia esplicitamente affermata, può essere ricavata dall’interprete solo se il significato letterale della norma sia incomprensibile con la normale destinazione della legge di disporre esclusivamente per il futuro.
Il principio di irretroattività della legge comporta che la nuova legge deve comunque essere applicata quando la situazione giuridica disciplinata, sebbene sorta anteriormente, non abbia ancora esaurito i suoi effetti e purché questi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendo dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che attraverso tale applicazione sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore; pertanto, pur nel regime sopravvenuto per effetto della L. S. , in tema di sanzioni applicabili alle opere edilizie costruite in difformità dalla concessione edilizia, l’art. 15 non può trovare applicazione – in particolare per l’acquisizione gratuita delle opere e dell’area su cui queste insistono – per le costruzioni abusive che trovano il fatto generativo nella licenza edilizia (CdS, Sez. V, 10 luglio 1981, n. 351 e altre)
La sanzione pecuniaria pari al doppio del valore venale delle opere edilizie abusive previste dall’art. 15, comma 11, legge n. 10/77, non trova applicazione nei confronti delle opere abusive realizzate anteriormente all’entrata in vigore della legge (CdS, Sez. V, 26 giugno 1981, n. 296).
L’attuale regime di illecito e sanzioni in vigenza del d.P.R. n. 380 del 2001 (TUE).
È disciplinato dal titolo quarto, capo primo e secondo , parte prima del Testo unico dell’Edilizia,
Con l’articolo 27 si riprendono alcune norme contenute nella legge n. 47 del 1985 e del Dlgs, n. 267/2000 in materia di vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia.
Dopo aver trattato la responsabilità dei vari soggetti interessati dalle attività di trasformazione urbanistico-edilizia (art. 29), l’articolo 30 tratta la lottizzazione abusiva mentre gli articoli successivi le altre forme di abusi con le relative sanzioni applicabili, compreso quelle penali trattate dall’articolo 44.
Questa ultima vigente disciplina viene trattata nel proseguo del commento, in cui compare anche la normativa sugli interventi subordinati alla Dia e, da ultimo, quelli ammessi con la SCIA.
Ulteriori approfondimenti sulla disciplina degli illeciti urbanistico- edilizi e le relative sanzioni previste a partire dal 1942 ad oggi.
Prima del 1° settembre 1967 (opere ultimate) era richiesta, ai sensi dell’art. 31, comma 1, della legge n. 1150/1942, il rilascio della licenza di costruzione. A questo proposito, però, è necessario puntualizzare che non possono essere considerate “opere abusive” le costruzioni (né tanto meno i recuperi edilizi di fabbricati esistenti) realizzate prima dell’entrata in vigore della L. U. del ’42 nei comuni nei quali i RE non prescrivevano l’obbligo della licenza edilizia. Nello stesso senso anche le opere ultimate prima del 1° settembre 1967 – quanto sempre ai sensi non solo della L.U. del ’42, ma anche dei R.E. – era richiesto il rilascio della licenza di costruzione. Pertanto, relativamente a quest’ultima ipotesi, non si possono considerare abusi edilizi o violazioni edilizie gli interventi, eseguiti ante 1967 per i quali la legge 1150/42 o i R.C.E. vigenti al momento della loro esecuzione, imponessero il rilascio della licenza di costruzione e, quindi, di conseguenza, non soggetti a condono nè a sanatoria,
1) L’articolo 31, comma 1, della legge n. 1150/1942 prevedeva l’obbligo di richiedere apposita licenza al sindaco per:
– eseguire nuove costruzioni,
– ampliare quelle esistenti,
– modificare o demolire quelle esistenti,
– eseguire le opere di urbanizzazione.
3) l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 31, comma 1, della legge 1150/42, è disciplinata dal successivo art. 41-quinquies, secondo il quale:
a) nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici, l’edificazione a scopo residenziale, è soggetta ad alcune limitazioni che riguardavano le nuove costruzioni all’interno dei centri abitati,
b) nei comuni dotati di strumenti urbanistici, l’edificazione a scopo residenziale poteva avvenire secondo le previsioni del PRG purché nei limiti stabiliti dallo stesso art. 41-quinquies,
c) tutti i comuni, ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici, devono osservare i limiti inderogabili del DM 1444/1968,
d) per gli interventi di recupero edilizio degli edifici esistenti, le norme in parola non prevedevano nessuna limitazione, ma solo l’obbligo di acquisire la licenza di costruzione, senza distinguere l’ambito di applicazione (dentro o meno la delimitazione dei centri abitati, sempre che i PRG o i REC imponessero l’obbligo di acquisire la licenza edilizia.
4) L’articolo 221 del R.D. n. 1265/1934 prevedeva che gli edifici o parti di essi non potessero essere abitati senza autorizzazione, previa ispezione dell’ufficiale sanitario e del tecnico, dalla quale risultasse che la costruzione fossa stata eseguita in conformità del progetto approvato. E’ evidente che, qualora sia stato rilasciato il certificato di agibilità a fronte dei due pareri favorevoli, significa che gli interventi edilizi (nuova costruzione o recupero edilizio) sono stati riconosciuti idonei all’uso e utilizzo degli edifici oggetto degli interventi edilizi, nulla rilevando le modeste o lievi difformità edilizie eventualmente riscontrate rispetto, invece, agli aspetti igienico-sanitari. Se, invero, neppure le modeste o lievi difformità delle opere eseguite siano state riscontrate in sede di sopralluogo di “abitabilità”, significa che il sindaco ha accertato la legittimità dell’opera che si protrae nel tempo,
5) il regime dell’art. 32 L.U. peraltro modificato dalla legge ponte (L 765/67), stabiliva che il sindaco”può” disporre sanzioni ripristinatorie, mentre il successivo art. 15 L.S. (legge n. 10/77), usando il termine “debbono” ed equivalenti espressioni, ha sancito l’obbligatorietà dell’azione repressiva.
I termini usati dalla legge n. 47 del 1985 sono diversi a seconda dei casi, per cui si deve loro attribuire un preciso significato, come verrà di seguito meglio specificato.
Nel regime precedente il 1985 si era tuttavia ravvisata la possibilità di un temperamento dell’intervento repressivo, ossia la necessaria sussistenza di un interesse pubblico di rilievo e legalità violata, in due casi:
a) ove sussistesse sostanziale conformità dell’opera, se abusiva solo formalmente o se solo inizialmente abusiva, ma divenuta in seguito conforme alle norme e prescrizioni urbanistiche. Ciò anche perché era pienamente ammissibile, in caso di domanda, la concessione in sanatoria;
b) nel caso in cui fosse decorso un lungo periodo di tempo dal fatto o dalla constatazione dell’abuso.
La legge non pone né ha posto in precedenza limiti temporali di natura prescrizionale alla adozione di sanzioni da parte del comune, per cui la giurisprudenza ha finora ritenuto che le sanzioni stesse, anche per il loro carattere di natura ripristinatoria, non siano soggette a prescrizione.
La soluzione è criticabile in quanto nel nostro ordinamento non vi è fatto che, per quanto grave, non sia soggetto a prescrizione e per contro un’opera illecita viene a consolidarsi, nei rapporti privati, con decorso del termine ventennale dell’usucapione (smentito però da una parte della Giurisprudenza).
Ricordo come una eccezione alle misure repressive in vigore rispetto alla restituzione in pristino si era posta ai sensi dell’art. 26à
della L.U. in base al quale tale potere di intervento era limitato a cinque anni dalla data di dichiarazione di abitabilità od agibilità. Tale misura sostitutiva è stata superata dal disposto dell’art. 4 della legge n. 47/85, collegandola all’atto di accertamento e con termini brevi, senza prevedere termini di prescrizioni.
Si può distinguere, però, a questo proposito, quanto segue:
a) per le sanzioni pecuniarie, ossia non sostitutive della demolizione, si dovrebbe applicare il termine di prescrizione di cinque
anni stabilito dall’art. 28 della legge n. 689 del 1981,
b) per le sanzioni pecuniarie sostitutive, il termine di cinque anni dovrebbe decorrere dal momento della scelta di tale misura in luogo della rimessione in pristino,
c) per le misure della rimessione in pristino si può rilevare come, nel silenzio della legge, dovrebbe essere applicato il termine ordinario di prescrizione decennale o , in subordine, essere comunque accertata la costituzione di un diritto di mantenimento dell’opera abusiva, decorso il termine ventennale per l’usucapione.
Il decorso del tempo ha comunque un effetto incontestato, quello di imporre una congrua motivazione nel caso di irrogazione delle sanzioni dopo lungo tempo dall’accertamento della violazione, in quanto, in tal caso, possono essere maturate posizioni private di notevole rilevanza, anche incolpevoli (come quelle dell’acquirente ignaro), sicché, imponendosi l’obbligo generale di correttezza da parte della P.A. il sindaco (o chi di competenza) dovrà giustificare i ritardi intervenuti nell’attuazione del procedimento repressivo il che può anche significare che l’interesse pubblico può non essere ritenuto, in casi speciali, prevalente sugli interessi privati (CdS sez. V, 28 aprile 1981, n. 140)
6) Caratteri e limiti dell’azione repressiva. Nel sistema sanzionatorio delineato dall’art. 13 della L 765/67, la constatazione dell’abusività delle opere assurge ad elemento di per sé solo idoneo a condizionarne la concreta operatività, tant’è che le stesse sanzioni applicabili sono collocate secondo una precisa scala di priorità interamente sottratta al potere discrezionale del sindaco demolizione o sanzione pecuniaria), sottratta alla valutazione del pubblico interesse. Tale principio, infatti, si può distinguere:
a) l’attività privata, anche se formalmente in contrasto con l’art. 13, perché priva di autorizzazione, risulta comunque conforme allo strumento di pianificazione comunale,
b) l’inerzia del comune di fronte all’abuso perpetrato si sia protratta per un notevole lasso di tempo.
Ne deriva che, in entrambi i casi, non si può prescindere dalla prevalenza di principi generali di natura diversa da quelli fissati nell’art. 13, con conseguente obbligo per il sindaco di motivare sul pubblico interesse alla demolizione. (CdS, Ad. Plen. 19 maggio 1983, n. 12).
7) A seguito dell’entrata in vigore della legge sulla edificabilità dei suoli 28 gennaio 1977, n. 10, le sanzioni amministrative e penali sono state disciplinate dall’articolo 15, in base al quale bisognava distinguere, tra gli altri, i seguenti casi:
a) opera costruita in assenza di concessione edilizia od in totale difformità da essa,
b) opera costruita in parziale difformità dalla concessione edilizia.
Nel primo caso l’opera deve essere demolita nei termini fissati dall’ordinanza del sindaco, a cure e spese:
– del costruttore, se contrasta con rilevanti interessi urbanistici ed ambientali o se non è utilizzabile a fini pubblici,
– del proprietario, negli altri casi.
Nel secondo caso le parti difformi debbono essere demolite a spese del concessionario; in caso di impossibilità (cioè di pregiudizi per le parti conformi), il sindaco applica una penale pari al doppio del valore delle parti difformi. Se però le varianti sono conformi alla disciplina urbanistico-edilizia vigente e non modificano la sagoma, la superficie utile e la destinazione d’uso dell’edificio concesso, è prevista la sanatoria, ma occorre una nuova concessione.
8) Con l’entrata in vigore della legge n. 47/1985 (prima legge del condono) e successivi condoni edilizi disposti dalla legge 724 del 1994 e DL n. 269 del 2003, che hanno richiamato le norme del capo IV della legge 47/85, gli abusi edilizi ante 1967 erano ammessi a sanatoria solo se tali interventi erano soggetti a licenza di costruzione, come sopra esposto. Diversamente non sussisteva alcun obbligo di sanatoria.
9) Sempre nel 1985 è stato introdotto, con l’articolo 13, “l’accertamento di conformità” in base al quale sono state individuate cinque tipologie di violazioni edilizie, come di seguito specificato:
a) articolo 7 – opere eseguite in assenza di concessione edilizia, in totale difformità o con variazioni essenziali,
b) articolo 8- determinazione delle variazioni essenziali.
c) articolo 9 – interventi di ristrutturazione in assenza di concessione edilizia o in totale difformità,
d) articolo 10 – opere eseguite senza autorizzazione,
e) articolo 12 – opere eseguite in parziale difformità dalla concessione edilizia.
I succitati articoli, ad esclusione dell’articolo 10, prevedevano, in via principale la demolizione delle opere eseguite in assenza o in difformità dalla concessione edilizia, mentre Il successivo articolo 13 ammetteva, nel contempo, l’accertamento di conformità e il rilascio di una sanatoria edilizia qualora sussistessero talune condizioni. I responsabili degli abusi edilizi eseguiti su edifici ante ‘67 non erano tenuti ad aderire al condono edilizio del 1985 (né ai successivi), qualora tali interventi non fossero stati soggetti, all’epoca della loro ultimazione, alla licenza di costruzione e neppure alla sanatoria di cui al citato articolo 13, per le stesse ragioni.
10) Nel 1994 è stato emanato il dPR 22 aprile, n. 425 il cui art. 4 dispone che:
“1. Affinché gli edifici, o parti di essi, indicati nell’art. 220 del RD n. 1265/1934, possano essere utilizzati, è necessario che il proprietario richieda il certificato di abitabilità al sindaco, allegando alla richiesta …… , e una dichiarazione del direttore dei lavori che deve certificare, sotto la propria responsabilità, la conformità rispetto al progetto approvato, ….
2. Entro trenta gironi dalla data di presentazione della domanda, il sindaco rilascia il certificato di abitabilità; entro questo termine, può disporre una ispezione da parte degli uffici comunale, che verifichi l’esistenza dei requisiti richiesti alla costruzione per essere dichiarata abitabile.
3. In caso di silenzio dell’A.C., trascorsi quarantacinque giorni dalla data di presentazione della domanda, l’abitabilità si intende attestata. …..”.
11) Il dPR n. 425 del 1994 ha rimosso qualsiasi incertezza in ordine alla valenza del procedimento di rilascio del certificato di abitabilità quale controllo, oltre che degli aspetti igienico-sanitari legati alla costruzione realizzata o modificata, anche della conformità urbanistico-edilizia dei lavori eseguiti rispetto al progetto approvato. Ha pure introdotto un meccanismo di controllo incrociato che porta alla piena conoscenza del patrimonio edilizio di nuova edificazione o sottoposto a modifiche rilevanti sul piano sia urbanistico che fiscale.
L’obiettivo è perseguito mediante quattro passaggi essenziali:
1) la tempestiva denuncia di nuova costruzione o di variazione al Catasto,
2) la dichiarazione di conformità delle opere eseguite al progetto approvato, di salubrità e di avvenuto prosciugamento dei muri, sottoscritta dal direttore dei lavori,
3) il controllo, eventuale, della corrispondenza di quanto dichiarato dal direttore dei lavori allo stato dei luoghi, effettuato da parte dell’ufficio tecnico comunale,
4) la verifica della piena corrispondenza tra gli elaborati depositati in Catasto e quelli allegati alla “concessione edilizia” originaria ed alle eventuali successive varianti.
La mancanza di tale corrispondenza obbliga l’UTC ad effettuare i controlli necessari per stabilirne le cause e, in caso di accertamento di difformità dei lavori rispetto al progetto approvato, ovvero di non conformità degli elaborati depositati al Catasto rispetto allo stato dei luoghi, gli impone l’adozione, se questa è di sua competenza, ovvero la proposta di adozione a chi ne ha la competenza, degli atti che si rendono necessari secondo le norme vigenti.
Quanto alla conformità degli elaborati catastali rispetto allo stato dei luoghi, con particolare riferimento alla distribuzione interna delle unità immobiliari, giova ricordare che a volte vengono introdotte modifiche anche dopo l’avvenuto deposito della relativa denuncia. Non sempre tali modifiche comportano la presentazione di nuovi elaborati all’UTE. Ci si può trovare quindi in presenza di rappresentazioni catastali non perfettamente coincidenti lo stato dei luoghi. Se le variazioni introdotte dopo la presentazione degli elaborati all’UTE non comportanti, secondo le norme catastali, obbligo di ulteriore denuncia, la situazione non pone problemi all’UTC in ordine al rilascio dell’autorizzazione all’abitabilità.
12) La norma di cui al precedente punto n. 10 è stata ripresa dall’art. 25 del T.U.E. secondo il quale:
” 3. Entro trenta giorni dalla ricezione della domanda di agibilità, il dirigente o il responsabile del competente ufficio tecnico comunale, previa ispezione dell’edificio, rilascia il certificato di agibilità verificata la documentazione.
4. Trascorso inutilmente il termine di cui al comma 3, l’agibilità si intende attestata nel caso sia stato rilasciato il parere dell’ASL di cui all’art. 5, comma 3, lett. a). In caso di autodichiarazione, il termine per la formazione del silenzio assenso è di sessanta giorni”.
13) Per quanto riguarda l’ispezione dei competenti uffici tecnici, si ritiene utile rimarcare la possibilità di poter verificare la conformità rispetto al progetto approvato, confrontando quest’ultimo con le schede dell’accatastamento, disponendo, in caso di difformità, un ispezione ufficiale al fine di reprimere le eventuali violazioni edilizie riscontrate, fermo restando l’ininfluenza di eventuali modeste modifiche sopra accennate.
14) Le suddette norme sono state riprese, in ultima analisi, dal Testo unico dell’Edilizia, approvato con dPR 6 giugno 2001, n. 380, in base al quale le repressioni sugli abusi edilizi sono rimaste pressoché identiche a quelle della legge n. 47 del 1985, salvo quelle che riguardano gli abusi minori (ex opere interne, interventi di manutenzione straordinaria, interventi di restauro e risanamento conservativo), fino ad ora subordinati a DIA e sanabili mediante l’applicazione dell’art. 37 del citato decreto.
L’articolo 36 del TUE, infatti, ribadisce la sanatoria edilizia per gli “abusi” di cui all’art. 31 (in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire o con variazioni essenziali), quelli di cui art. 33 (ristrutturazione edilizia in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire) e quelli di cui all’art. 34 (in parziale difformità dal permesso di costruire). Nei casi in cui corre l’obbligo di acquisire il permesso di costruire, qualora ne ricorrano le condizioni, era ed è ammessa la sanatoria edilizia. Per i casi di interventi edilizi di minore entità (soggetti a DIA), la sanatoria edilizia è prevista dal successivo articolo 37.
Gli abusi edilizi “minori” riguardano gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire ( o alla DIA/SCIA) e sono perseguibili rispettivamente dalle sanzioni di cui all’art. 34 , ovvero da quelle previste dal successivo art. 37 del dPR 380/01. Per tali violazioni edilizie è possibile ottenere la sanatoria qualora ne ricorrano le condizioni stabilite dagli artt. 36 e 37 del TUE.
Riflessioni sulla violazioni edilizie commesse dal 1967 al 1985.
Per le opere esistenti già prima dell’entrata in vigore della legge n. 765 del 1967 e, quindi all’epoca, edificabili liberamente qualora ubicate al di fuori del centro abitato, può essere provata dai fatti e con prove (es. materiali utilizzati, particolari costruttivi, ect.) che spetta a chi ha commesso l’abuso o agli eventuali aventi causa che ne richiedano la sanatoria, fermo restando in capo all’amministrazione addurre prove contrarie.. in assenza di tale prova contraria, deve quindi darsi per appurata la preesistenza delle opere al 1967.
Per le opere abusive realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo dopo il 1967, ma prima del 1985, essendo trascorso molto tempo dall’edificazione, pur non avendo usufruito del condono di cui alla legge n. 47/1985, risulta tale, nella sua effettiva consistenza, da consolidare in capo al proprietario – peraltro ignaro della natura abusiva dell’opera, una legittima aspettativa in ordine all’insussistenza del pubblico interesse alla demolizione del manufatto.
Ciò accade, a distanza di tempo dalla commissione della violazione, laddove l’amministrazione voglia intervenire con procedimento sanzionatorio, mettendo in dubbio nei confronti del proprietario la certezza delle situazioni giuridiche, come nel caso di un semplice avente causa o nei confronti, addirittura, di acquirenti dai suddetti aventi causa, i quali hanno acquistato gli immobili, a suo tempo, ad un valore commisurato alla loro consistenza effettiva.
L’eventuale attivazione del potere repressivo a tale distanza di tempo rende, fra l’altro oltremodo difficoltoso l’esercizio del diritto di difesa da parte degli attuali proprietari,e, soprattutto escluso ogni possibilità di rivalsa nei confronti dell’effettivo responsabile dell’abuso.
È ovvio che il criterio dell’indifferenza dell’epoca di commissione dell’abuso non può essere applicato con un meccanismo indiscriminato ed illimitato, tenuto conto che l’iniziativa sanzionatoria non incorre nei termini di prescrizione o decadenza.
A questo proposito è utile ricordare, come ha avuto modo di sostenere l’orientamento consolidato in giurisprudenza quello secondo il quale, pur confermandosi che, l’eventuale ingiunzione di demolizione per la realizzazione di un’opera senza titolo abilitativo (o in totale difformità da esso), è in linea di principio sufficientemente motivata con l’accertata abusività dell’opera, si fa salva l’ipotesi in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso ed il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato.
Analogamente, altro pronunciamento ha espresso la necessità che il potere sanzionatorio della P.A. venisse esercitato in ragionevole collegamento logico e causale con la situazione illegittima da rimuovere e con l’interesse pubblico alla sua eliminazione.
Nella dinamica del sistema sanzionatorio delineato dall’art. 13 della legge 765/1967, la constatazione dell’abusività dell’opera assurgeva a elemento di per sé solo già idoneo a condizionarne la concreta operatività, senza necessità di alcuna ulteriore attività di intermediazione amministrativa volta ad apprezzare altri aspetti della vicenda, aveva avvertito che tale principio poteva però subire un’attenuazione, oltre che nelle ipotesi in cui l’attività privata, per quanto priva di autorizzazione, risultasse comunque conforme allo strumento di pianificazione territoriale comunale, anche nel caso in cui l’inerzia dell’Amministrazione dinanzi all’abuso edilizio fosse durata “un lasso di tempo molto rilevante”.
Un onere di motivazione si può quindi eccezionalmente configurare ove il decorso di un lasso di tempo davvero notevole (nella specie, oltre 50 anni) fra la realizzazione dell’opera irregolare, ma munita pur sempre di un formale titolo, e l’adozione della misura repressiva, abbia ingenerato un solido affidamento in capo al cittadino (specialmente, ma non necessariamente, ove si tratti di un terzo acquirente).
E tale onere di motivazione non potrebbe non chiamare in causa, tra gli altri elementi da considerare, anche la condizione di possibile buona fede dei soggetti che si vorrebbero in ipotesi sanzionare, né potrebbe andar disgiunto da una verifica circa gli eventuali indebiti vantaggi che questi avrebbero ritratto dall’illecito.
L’esistenza, in casi eccezionali, di possibili deroghe al principio esposto è del resto a sua volta acquisita al panorama giurisprudenziale.
In particolare, con la decisione 29.05.2006 n. 3270, il Consiglio di Stato ha avuto modo di osservare che “rappresenta, invero, orientamento consolidato in giurisprudenza quello secondo il quale, pur confermandosi che l’ingiunzione demolitoria, come atto dovuto in presenza della constatata realizzazione dell’opera senza titolo abilitativo (o in totale difformità da esso), è in linea di principio sufficientemente motivata con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, si fa salva l’ipotesi in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso ed il protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato. Ipotesi, in relazione alla quale si ravvisa un onere di congrua motivazione che indichi, avuto riguardo anche all’entità ed alla tipologia dell’abuso, il pubblico interesse -evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità- idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (cfr. Cons. Stato, V, 25.06.2002 n. 3443; C.G.A.R.S. 23.04.2001 n. 183; Cons. Stato, V, 19.03.1999 n. 286; id., 11.02.1999 n. 143; id., 14.10.1998 n. 1483; id., 12.03.1996 n. 247; Cons. Stato sez. IV, 03.02.1996 n. 95).” (così C.d.S., V, n. 3270/2006 cit.).
Per le opere ultimate anteriormente all’01.09.1967, per le quali era richiesto -ai sensi dell’art. 31 L. n. 1150/1942 il rilascio della licenza di costruzione, i soggetti interessati possono ottenere il permesso in sanatoria, previo pagamento della somma determinata a titolo di oblazione ex art. 34 L. n. 47/1985.
Legittimità irrogazione della sanzione amministrativa per concessione in sanatoria di abuso commesso dal proprietario precedente.
L’abuso edilizio costituisce, sotto il profilo amministrativo, un illecito a carattere permanente e pertanto non rileva che l’addizione abusiva sia stata realizzata dal precedente proprietario dell’immobile. Rispetto all’esercizio del potere sanzionatorio e, salva la normativa sulla nullità del contratto in presenza dei relativi presupposti, sono infatti irrilevanti le alienazioni del manufatto, in tutto o in parte abusivo, sotto il profilo privatistico.
Il complesso di norme introdotte ai fini della sanatoria degli abusi edilizi assumono a riferimento le opere in base al loro dato oggettivo (tipologia, consistenza, momento di esecuzione, disciplina della zona interessata dall’abuso) indipendentemente dall’elemento soggettivo (consapevolezza o meno della condotta “contra legem”) che abbia accompagnato la realizzazione delle opere stesse.
L’acquirente, infatti, subentra nella situazione giuridica del dante causa che – consapevolmente o meno- ha violato la normativa urbanistica ed edilizia e poiché, se ignaro dell’abuso al momento della alienazione, può agire nei confronti del dante causa anche prima dell’esercizio dei poteri repressivi da parte del Comune, a maggior ragione quando riceva (come nella specie, pur nel contesto di un provvedimento favorevole) un pregiudizio in conseguenza dei doverosi atti amministrativi repressivi, può agire sia nei confronti del notaio che in ipotesi non abbia rilevato l’assenza del titolo edilizio, sia nei confronti del dante causa e dell’autore dell’abuso (secondo un principio, ab antiquo affermato dalla giurisprudenza amministrativa e da quella civile)
A questo proposito, è utile ricordare, come il venditore e l’acquirente, a partire dal 1985 garantiscono, mediante l’operato garantista del notaio, la regolarità della costruzione, dichiarando l’alienante gli estremi del permesso di costruire (prima concessione edilizia) o del permesso in sanatoria.
È ovvio, quindi, che dal 1985, le costruzioni abusive (salvo limitati casi di cui trattasi), non hanno giustificazioni nemmeno nei casi di trasferimento di diritti reali, quali sono appunto gli immobili.
L’utilizzo, quindi, in taluni e limitati casi particolari, della semplice sanatoria edilizia per opere di lieve e modesta entità, senza ricorrere all’emanazione di un provvedimento repressivo di demolizione, in relazione alla quale si ravvisa un onere di congrua motivazione che indichi, avendo riguardo anche alla tipologia dell’abuso e del tempo trascorso, il pubblico interesse – evidentemente diverso da quello “privato” – a mantenere l’opera anziché demolirla, mediante la sola irrogazione della sanzione pecuniaria, è possibile non tanto in base alla normativa della legislazione nazionale, ma acquisita al panorama giurisprudenziale.
Le due recenti disposizioni che attenuano il campo degli illeciti edilizi minori.
a) la Circolare del Ministero e dei Trasporti 7 dicembre 2005, n. 2699, che forniva chiarimenti in ordine all’applicazione dell’art. 32 della legge n. 326/2003 (terzo condono edilizio), aveva assunto una posizione sull’esclusione dall’obbligo di presentare richiesta di sanatoria edilizia per piccoli abusi di carattere formale, ovvero per l’esecuzione di opere interne, eseguiti su immobili posti in zone a vincolo, conformi agli strumenti urbanistici, purché non eccedenti il 2% delle misure prescritte per altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta,
b) nel 2011 è stata emanata la c.d. “legge Monti” il cui art. 4, comma 2, lettera a), punto 5), DL, n. 70, convertito dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, stabiliva che non c’è parziale difformità per violazioni di:
-altezza,
– distacchi,
– distanze
– cubatura
– nella misura inferiore al 2% delle misure progettuali per singole unità immobiliari. Il decreto introduce una sorta di regolarizzazione automatica, sotto il profilo della normativa urbanistica edilizia, delle lievi difformità verificatesi nella fase costruttiva rispetto al progetto originariamente assentito. In tal senso non si applicano le sanzioni previste dall’art. 34 per violazioni in parziale difformità dal titolo abilitativo.
A questo proposito però sembra doveroso sostenere che l’interpretazione della Circolare “Lunardi” dovesse essere applicata alle sole domande di condono edilizio relative alla legge n. 326 del 2003, mentre la norma contenuta nel decreto “Monti” è applicabile a partire dalla data di entrata in vigore della legge n. 106 del 2011 in base al principio della non retroattività delle leggi.
Conclusioni.
1) I principi che da tempo sono stati messi in rilievo da pacifica e datata giurisprudenza e che pongono in rilievo anzitutto il carattere permanente dell’illecito edilizio (cfr. ex multis, Cons. di Stato, sez. V, n. 2544/2000) ed evidenziano come l’interesse pubblico alla repressione dell’abuso risieda nella stessa natura del provvedimento repressivo, essendo, come suol dirsi, “in re ipsa” (v., fra le numerose, Cons. di Stato, sez. V, n. 104/1985).
2) La vetustà dell’opera non esclude il potere di controllo e il potere sanzionatorio del comune in materia urbanistico-edilizia, perché l’esercizio di tale potere non è soggetto a prescrizione o decadenza.
3) Le opere realizzate ante 1967, se non tenute all’obbligo di richiedere la licenza di costruzione, come sopra detto, non possono essere considerate abusive e, pertanto, né perseguite né, tanto meno soggette a sanatoria edilizia,
4) Se, quindi, un’opera, non è stata oggetto dei tre condoni edilizi sin qui intervenuti, fermo restando il permanere dei diritti privati al riguardo, per sanare un abuso non resta che la sanatoria edilizia ai sensi dell’articolo 36 del TUE, approvato con dPR 6 giugno 2001, n. 380, ovvero, dell’art. 37 stesso decreto per interventi soggetti a DIA o SCIA,
5) Se neppure l’applicazione della sanatoria edilizia di cui al punto precedente riesce a regolarizzare l’opera, la stessa, se viene rilevata e accertata quale opera abusiva, potrebbe essere perseguita in base alla violazione riscontrata, ovvero, in assenza o in difformità totale dal titolo abilitativo, in parziale difformità, con l’applicazione delle relative sanzioni amministrative e penali previste dagli articoli 31, 32, 33 e 34, ovvero per interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla DIA ai sensi dell’art. 37 del dPR 380/01,
6) Si ritiene utile, però, precisare ulteriormente quanto segue:
a) Se le difficoltà che oggi sono emerse dal confronto tra lo stato di fatto di un immobile (o parte dello stesso) di nuova edificazione o ristrutturato con la rappresentazione grafica del progetto originariamente approvato, ante e dopo il 1967, non risultano tali da inficiare le norme vigenti all’epoca del titolo abilitativo o le prescrizioni contenute nello stesso, non costituiscono violazione edilizia da sottoporre a repressione edilizia o ad eventuale sanatoria edilizia, a maggior ragione se le condizioni di cui sopra sono supportate dalla dichiarazione di “abitabilità” degli edifici interessati.
b) Pur ammettendo che, nell’ambito di verifica di conformità urbanistico-edilizia degli interventi edilizi proposti allo SUE, sia possibile stabilire un eventuale abuso o violazione edilizia, più o meno grave, tra lo stato di fatto ed il progetto precedentemente approvato, mediante il confronto tra le due rappresentazioni grafiche, è però necessario distinguere le prevalenti tre seguenti ipotesi:
1) l’eventuale modesto scostamento tra le due situazioni in caso di un intervento edilizio realizzato ante 1967 per il quale è stato
rilasciato, per di più, il certificato di abitabilità, non può configurare abuso o violazione edilizia in base alle disposizioni normative vigenti di quel periodo né ai sensi dei citati articoli del dPR n. 380/01,
2) l’eventuale modesto scostamento tra le due situazioni in caso di un intervento edilizio realizzato dopo il 1967 per il quale è stato rilasciato, il certificato di agibilità, non può configurare abuso o violazione edilizia in base ai sensi dei citati articoli del dPR n. 380/01,
3) l’eventuale rilevante scostamento tra le due situazioni in caso di un intervento edilizio realizzato dopo il 1967 non può essere stato sottaciuto in sede di verifica di conformità edilizia e igienico-sanitario né tanto meno sottratto a repressione edilizia ai sensi delle norme vigenti all’epoca della loro realizzazione; in questo caso è evidente che, prima di presentare la pratica edilizia per i nuovi interventi edilizi, si debba acquisire la sanatoria edilizia in base alla violazione edilizia commessa.
Il problema che si pone, se mai, risulta quello di determinare quali siano le modeste o rilevanti difformità eseguite rispetto al progetto approvato o alle prescrizioni contenute nel titolo abilitativo rilasciato o assentito.
A questo proposito si rendono, però, necessarie alcune precisazioni:
I. la violazione delle eventuali prescrizioni contenute nel titolo abilitativo costituisce parziale difformità e non rientra, pertanto,
tra gli illeciti edilizi di modesta entità e, quindi, è soggetta alle sanzioni dell’art. 34 del dPR n . 380/01 ed eventualmente prestarsi alla sanatoria ai sensi del successivo art. 36,
II. le modifiche interne alle UI o agli immobili costruiti o ristrutturati, che non indicono sui parametri urbanistici, sulle volumetrie o Slp, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria catastale, non alterano i prospetti dell’edificio, sempre che non violino le eventuali prescrizioni contenute nel titolo abilitativo, non possono ritenersi illeciti edilizi e sottoposti a sanzioni né all’accertamento di conformità ai sensi dell’art. 37 del dPR n. 380/01,
III. le restanti difformità, sia che riguardino interventi soggetti a permesso di costruire (o DIA sostitutiva) ovvero a DIA (o SCIA), non possono essere ritenute “di modesta o lieve entità” e, pertanto, sono perseguibili in via amministrativa (e penale per gli abusi rilevanti sotto il profilo edilizio-urbanistico) ai sensi del vigente ordinamento legislativo nazionale.
Note.
(1) Opere esistenti già prima dell’entrata in vigore della legge n. 765 del 1967 (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 12.12.2013 n. 1324 ).
(2) Il criterio dell’indifferenza dell’epoca di commissione dell’abuso non può essere però applicato con un meccanicismo indiscriminato ed illimitato. (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 27.09.2013 n. 1987).
Seguono sullo stesso ordine di idee: Cfr. Cons, Stato, V, 25.06.2002, n. 3443; C.G.A.R.S. 23.04.2001, n. 183; Cons. Stato, V, 19.03.1999, 286; id. 11.02.1999, n. 143; id. 14.10.1998, n. 1483; id. 12.03.1996, n. 247 cit).
(3) Per le opere ultimate anteriormente all’01.09.1967, per le quali era richiesto -ai sensi dell’art. 31 L. n. 1150/1942 il rilascio della licenza di costruzione, i soggetti interessati possono ottenere il permesso in sanatoria, previo pagamento della somma determinata a titolo di oblazione ex art. 34 L. n. 47/1985. (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 15.07.2013 n. 1571).
(4) Legittimità irrogazione della sanzione amministrativa per concessione in sanatoria di abuso commesso dal proprietario precedente. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 26.03.2013 n. 1693) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30.04.2013 n. 2363). (Consiglio Stato, sez. V 26.01.2000 n. 341;
(5) Sull’ordine di demolizione emesso ” distanza di tempo”. (C.d.S., IV, 16.04.2010, n. 2160; C.d.S., V, 13.07.2006, n. 4420; C.d.S., IV, 02.06.2000, n. 3184) (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 18.01.2013 n. 51)
ANCE Brescia - Riproduzione e utilizzazione riservata ai sensi dell’art. 65 della Legge n. 633/1941