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28.02.2013 - lavori pubblici

INDICAZIONI OPERATIVE RELATIVE ALL’APPLICAZIONE DELLA NORMATIVA CONTRO I RITARDATI PAGAMENTI NELLE TRANSAZIONI COMMERCIALI TRA P.A. E IMPRESE

Si fa seguito a quanto già pubblicato sul n. 1 del Notiziario 2013, per fornire ulteriori indicazioni circa l’applicazione della normativa contro i ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali tra Pubblica Amministrazione e imprese.

Si ricorda, infatti, che sulla Gazzetta Ufficiale n. 267 del 15 novembre 2012, è stato pubblicato il decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192 recante “Modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n.231, per l’integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell’articolo 10, comma 1, della legge 11 novembre 2011, n.180”.

Con tale decreto, il Governo ha esercitato la delega conferita dal Parlamento con la Legge sullo Statuto delle imprese (L.180/2011) e disposto l’integrale recepimento della nuova direttiva europea sui ritardati pagamenti (2011/7/UE) la quale, come recentemente riaffermato dalla Commissione Europea, riguarda tutti i settori, compreso quello dell’edilizia. Di conseguenza, le nuove regole sui pagamenti si applicano anche al settore dei lavori pubblici.

Le nuove disposizioni riguardano sia i contratti tra imprese e Pubbliche Amministrazioni che i contratti tra imprese e si applicano ai contratti sottoscritti a partire dal 1° gennaio 2013.

Si propongono di seguito gli approfondimenti in parola.

Ambito di applicazione

Le nuove disposizioni trovano applicazione per ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale.

L’ambito di applicazione della normativa è limitato alle sole “transazioni commerciali” per le quali sia previsto il pagamento di un “corrispettivo”.

La disciplina, pertanto, non si applica in via generale alle obbligazioni pecuniarie, ma solo a quelle che costituiscono il corrispettivo di una “transazione commerciale”.

Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a) del Dlgs 231/2002 e s.m.i per “transazioni commerciali” devono intendersi: “i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazioni di servizi contro il pagamento di un prezzo”.

Sotto il profilo soggettivo si evidenzia che l’art. 2, comma 1, lett. c) riporta una definizione di “imprenditore” più ampia di quella contenuta nell’art. 2082 cod. civ. Pertanto è imprenditore “ogni soggetto esercente un’attività economica organizzata o una libera professione” non essendo richiesti per la relativa qualifica i requisiti della professionalità e la finalità di produzione o scambio di beni o servizi.

In tale nozione sono ricompresi anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti qualora si sia in presenza di una “transazione commerciale” come sopra definita.

Relativamente alla normativa nel settore privato si sottolinea che la stessa trova applicazione nei soli casi in cui entrambe le parti contrattuali rivestano la qualifica di “imprenditore”.

Nel caso, quindi, ad esempio il committente sia un privato non troverà applicazione la disciplina contenuta nel Decreto Legislativo citato (es condominio).

Con riferimento alla nozione di pubblica amministrazione, il decreto legislativo precisa che le nuove norme si applicano ai contratti sottoscritti con le amministrazioni aggiudicatrici, così come definite nell’art. 3 del Codice dei Contratti Pubblici (d.lgs n.163/2006), nonché con tutti gli altri soggetti che svolgono attività per le quali sono tenuti al rispetto della disciplina sui contratti pubblici.

Si tratta in sostanza di tutti i soggetti indicati dagli artt. 32 e 207 del Codice dei Contratti Pubblici, ovviamente per le attività per le quali si applicano le norme del codice stesso sulle procedure di gara. In particolare si richiama l’attenzione sui privati titolari di permesso a costruire che realizzano opere di urbanizzazione a scomputo degli oneri concessori. Ad essi si applica la disciplina del D.lgs. n. 231 relativa ai rapporti tra amministrazioni e imprese solo nei casi in cui debbano affidare le opere con procedure ad evidenza pubblica (opere di urbanizzazione secondaria e opere di urbanizzazione primaria di importo superiore alla soglia comunitaria). Quando invece non sono tenuti alle gare, come nel caso di opere di urbanizzazione primaria sottosoglia, agli eventuali rapporti con i propri contraenti si applicano le norme del D.lgs. n. 231 che regolano i rapporti tra imprese.

Sotto il profilo oggettivo la normativa si applica a tutti quei contratti in cui l’oggetto riguardi la “consegna di merci” o la “prestazione di servizi”.

Nei rapporti tra imprese e pubblica amministrazione la nozione di transazione commerciale comprende tutti i contratti comunque denominati che comportino, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo. In tale fattispecie rientrano in particolare gli appalti pubblici di lavori ed i contratti di partenariato pubblico privato nei casi in cui sia previsto anche un prezzo come parte del corrispettivo.

Le esclusioni

L’art. 1, comma 2, del Dlgs 231/2002 e s.m.i prevede espressamente alcune esclusioni per:

– i debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito (quest’ultima previsione è stata aggiunta dal D.Lgs 192/2012);

– i pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno, compresi i pagamenti effettuati a tale titolo da un assicuratore.

Il D.Lgs. 192/2012 ha eliminato tra le esclusioni previste la richiesta di interessi inferiori a 5 euro.

Si ritiene, inoltre, che la normativa non si applichi in tutti i casi in cui siano previste forme di pagamento diverse rispetto alla somma di denaro (es. permuta) o l’oggetto si risolva ad esempio in un rapporto tipizzato in altro modo (contratti di noleggio).

Tutela degli interessi collettivi

In base al decreto legislativo n. 192/2012, le associazioni di categoria degli imprenditori presenti nel CNEL sono legittimate ad agire, a tutela degli interessi collettivi, richiedendo al giudice competente di accertare la grave iniquità delle condizioni generali concernenti il termine di pagamento, il saggio degli interessi moratori o il risarcimento per i costi di recupero e di inibirne l’uso nonché di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate. Sul tema, ma limitatamente ai contratti tra imprese, si segnala anche che, con l’entrata in vigore delle disposizioni previste dalla Legge sullo Statuto delle imprese, sono stati recentemente rafforzati i poteri dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (c.d. “Antitrust”).

Termini di pagamento nei contratti tra imprese e pubblica amministrazione

Pur in assenza di un’espressa correzione della normativa di settore, l’applicazione del decreto legislativo 9 novembre 2012, n.192 ai lavori pubblici comporta alcune modifiche alla disciplina settoriale definita dal Codice dei Contratti Pubblici e relativo regolamento di esecuzione ed attuazione.

Infatti le nuove disposizioni sui termini di pagamento e interessi moratori vanno armonizzate con le disposizioni regolamentari che disciplinano il procedimento per i pagamenti degli acconti e della rata di saldo.

Occorre pertanto verificare in via interpretativa quali disposizioni siano da considerare abrogate tacitamente dal D.Lgs. 192/2012 e in che modo il loro contenuto venga sostituito dalla nuova disciplina.

A tali fini vengono in considerazione l’art. 4, comma 2, del D.lgs. n. 231/2002, come modificato dal D.lgs. n. 192/2012, che stabilisce per i pagamenti il termine di trenta giorni decorrenti, secondo le circostanze, dalla data della prestazione dei servizi (rectius lavori) ovvero dalla data di ricevimento della fattura o dalla data della verifica della prestazione, ed il comma 6 dello stesso articolo, secondo cui, quando è prevista una procedura diretta ad accertare la conformità dei servizi al contratto, essa non può avere una durata superiore a trenta giorni dalla data della prestazione del servizio.

Inoltre occorre tenere presente la disposizione finale (art. 11, comma 2) secondo cui restano salve le disposizioni del codice civile e delle leggi speciali che contengono una disciplina più favorevole per il creditore.

In sostanza, dunque, la nuova normativa prevede un termine di trenta giorni per la verifica delle prestazioni effettuate ed un termine di altri trenta giorni per le operazioni di pagamento.

Nel sistema delineato dal regolamento la verifica della conformità della prestazione al contratto, che si esplicita essenzialmente nella verifica della conformità dei lavori eseguiti al progetto, viene effettuata progressivamente, ai sensi dell’art. 185, dal direttore dei lavori che li certifica sui libretti delle misure in contraddittorio con l’esecutore e li riporta successivamente sul registro di contabilità. Rispetto a tale attività di verifica, che, come detto, si svolge in modo progressivo, l’emanazione dello Stato Avanzamento Lavori (SAL) assume un carattere ricognitivo (art. 194 reg.).

La fase di verifica si conclude con il rilascio da parte del responsabile del procedimento del certificato di pagamento che costituisce l’atto di liquidazione del credito (art. 195 reg.). In base all’art. 4, comma 6 del D.Lgs. n. 231 tutta la fase sopra descritta non può avere una durata superiore a trenta giorni dalla data della prestazione e cioè dalla data in cui dalla contabilizzazione risulta che i lavori hanno raggiunto l’importo contrattualmente previsto per il pagamento. Pertanto si ritiene che il termine di quarantacinque giorni indicato dall’art. 143 del regolamento vada sostituito con quello di trenta giorni indicato dal D.lgs. n. 231.

Quest’ultima disposizione, peraltro, prevede la possibilità che un termine diverso sia espressamente concordato tra le parti e previsto nella documentazione di gara, purché non sia gravemente iniquo per il creditore.

Si ritiene tuttavia che un temine più elevato per la fase di verifica sarebbe ingiustificato e dunque iniquo per il creditore, giacché, come visto, la verifica relativa alla conformità al progetto dei lavori eseguiti è effettuata in modo progressivo dal direttore dei lavori e sostanzialmente esaurita nel momento in cui i dati vengono riportati sul registro di contabilità e da questo viene estratto lo stato di avanzamento lavori, mentre le operazioni di verifica effettuate dal responsabile del procedimento si sostanziano essenzialmente nella richiesta del DURC.

Il secondo periodo dell’art. 143, 1° comma del regolamento prevede un termine di trenta giorni, e perciò coincidente con quello previsto dal D.lgs. n. 231, per l’ordinazione del pagamento (emissione del mandato), decorrente dalla data di emissione del certificato di pagamento.

La nuova disciplina fa decorrere, invece, il termine dalla emissione della fattura che normalmente si pone a valle del certificato di pagamento. Tuttavia si ritiene che in questo caso rimanga in vigore la previsione del regolamento in quanto più favorevole per il creditore, secondo quanto dispone il già ricordato art. 11, comma 2 del D.lgs. n. 231.

Infine, al comma 2, dell’art. 143 del regolamento, anche il termine di 90 giorni dal collaudo provvisorio, previsto per il pagamento della rata di saldo dietro presentazione di garanzia fideiussoria, dovrà considerarsi sostituito con quello di trenta giorni di cui al D.lgs. n. 231.

Si ritiene, inoltre, che anche il termine di 6 mesi entro i quali effettuare le operazioni di collaudo e il termine di 3 mesi per l’emissione del certificato di regolare esecuzione, previsti dall’art. 141 del D.Lgs 163/2006, debbano intendersi abrogati e sostituiti nel termine di trenta giorni per la loro effettuazione.

La nuova normativa prevede inoltre che le parti (pubblica amministrazione ed impresa) possano pattuire un termine diverso da quello di trenta giorni, ma in ogni caso non superiore a sessanta giorni, quando ciò sia giustificato dalla natura o dall’oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione (art. 4, comma 4 D.Lgs. n. 231).

In base al decreto legislativo, nella tipologia di contratti per i quali un termine di 60 giorni appare giustificato rientrano tutti i contratti con enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e tutti i contratti con imprese pubbliche tenute al rispetto dei requisiti di trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche, indipendentemente dall’oggetto del contratto, e quindi anche per l’esecuzione di lavori.

Tuttavia non si ritiene che tali deroghe siano possibili nel nostro ordinamento, dal momento che la disciplina speciale del regolamento prevede unicamente il termine di trenta giorni per l’emissione del mandato di pagamento ed essendo dunque più favorevole al creditore dovrebbe essere fatta salva ai sensi dell’art. 11.

Questa interpretazione è del resto assolutamente aderente allo spirito della direttiva comunitaria che esprime un chiaro favor per il pagamento a trenta giorni dalla prestazione.

La disposizione di cui al citato art. 4, comma 4, sembra pertanto applicabile esclusivamente a contratti aventi oggetti diversi dall’esecuzione dei lavori (fatti salvi i lavori appaltati da soggetti che operano nei settori speciali, ai quali, in linea di principio, non si applica il regolamento) e comunque entro i ristretti limiti previsti dalla direttiva.

Interessi moratori

La nuova normativa introduce anche nuovi indennizzi per le imprese in caso di ritardato pagamento della Pubblica Amministrazione. Le Pubbliche Amministrazioni debitrici sono infatti tenute a corrispondere interessi moratori su base giornaliera ad un tasso di interesse pari al tasso applicato dalla Banca centrale europea alle più recenti operazioni di rifinanziamento all’inizio del semestre (pari allo 0,75% nel primo semestre 2013), maggiorato dell’8%; ciò, senza che sia necessaria la costituzione in mora e quindi sin dal 1° giorno di ritardo.

Il tasso di riferimento viene comunicato dal Ministero dell’Economia e Finanze mediante pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana nel quinto giorno lavorativo di ciascun semestre solare (il comunicato relativo al periodo 1° gennaio-30 giugno 2013 è stato pubblicato sulla G.U. n. 14 del 17 gennaio 2013).

Alla luce della nuova normativa sono da ritenersi abrogati i commi 2 e 3 dell’art. 144 del regolamento.

Il comma 2 prevede, alla scadenza dei termini stabiliti per il pagamento effettivo della rata di acconto, la decorrenza degli interessi corrispettivi al tasso legale per un periodo di sessanta giorni e, in caso di ritardo ulteriore, la corresponsione dal sessantunesimo giorno degli interessi di mora al saggio stabilito annualmente con decreto interministeriale (il più recente decreto ha fissato al 5,27% la misura degli interessi moratori per il periodo 1° gennaio-31 dicembre 2012). Il comma 3 dello stesso articolo prevede la corresponsione degli interessi corrispettivi al tasso legale per sessanta giorni per la ipotesi di ritardo del pagamento della rata di saldo e la successiva corresponsione degli interessi moratori, in caso di ritardo ulteriore.

In sostanza, dunque, la nuova disciplina, relativamente al pagamento degli acconti e del saldo, elimina la corresponsione degli interessi corrispettivi al tasso legale e fa scattare subito, dal primo giorno di ritardo, gli interessi moratori ad un tasso assai più elevato di quello previsto dalla normativa previgente. Ciò dovrebbe costituire un efficace deterrente nei confronti di inerzie della amministrazione appaltante ed in ogni caso costituisce un ragionevole risarcimento forfettario del danno causato dal ritardato pagamento.

Merita particolare attenzione l’ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 144 in commento, relativa al ritardo nell’emissione del certificato di pagamento per causa imputabile alla stazione appaltante. In tal caso si prevede la decorrenza degli interessi corrispettivi al tasso legale per sessanta giorni e, in caso di ritardo ulteriore, la decorrenza degli interessi moratori nella misura stabilita dal cennato decreto interministeriale.

Anche questa disposizione deve ritenersi abrogata dalla nuova disciplina. Infatti, se è vero che il D.Lgs. n. 231/2002, come modificato dal D.Lgs. n. 192/2012, nel fissare un termine di trenta giorni per la fase di verifica della prestazione (che, come detto, culmina con l’emissione del certificato di pagamento), non prevede alcuna conseguenza nel caso che il termine non venga rispettato, è tuttavia da ritenere che tale lacuna possa essere colmata in via interpretativa applicando la previsione sulla decorrenza degli interessi moratori stabilita espressamente per l’ipotesi di mancato pagamento nei termini.

Una diversa interpretazione, che lasciasse priva di conseguenze la mancata effettuazione nei termini di attività propedeutiche al pagamento, condurrebbe alla situazione paradossale di impedire il verificarsi della circostanza (ossia la mancata adozione del mandato di pagamento nei termini) da cui la nuova normativa fa discendere la corresponsione degli interessi, con ciò eludendo la finalità della normativa stessa.

È perciò da ritenere che anche la mancata adozione del certificato di pagamento entro il termine di trenta giorni dall’esecuzione dei lavori comporti la corresponsione degli interessi moratori nella misura stabilita dal D.lgs. n. 231.

Conseguentemente, non resta in vigore neppure il comma 4 dell’art. 144 del regolamento che fa riferimento al decreto annuale sulla misura del saggio degli interessi di mora.

È infine da ritenersi modificato dalla nuova normativa, per la parte relativa agli interessi conseguenti al ritardo nel pagamento degli acconti e della rata di saldo, anche il 1° comma dell’art. 133 del codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163/2006).

Il decreto legislativo n. 231/2002 specifica che gli interessi moratori decorrono senza che sia necessaria la costituzione in mora dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento. Rimane perciò fermo il principio stabilito dall’art. 142 del regolamento che esclude la necessità di apposite domande o riserve e precisa che l’importo degli interessi per ritardato pagamento viene computato e corrisposto in occasione del pagamento immediatamente successivo a quello eseguito in ritardo.

Risarcimento delle spese di recupero

In caso di ritardo della P.A., le imprese creditrici hanno anche diritto, salva la prova del maggior danno, ad un risarcimento forfettario di un importo pari a 40 euro.

Responsabilità del debitore

Gli interessi moratori sono corrisposti al creditore solo se il ritardo nel pagamento è dovuto a colpa dell’amministrazione appaltante per cui l’art. 3 del D.lgs. n. 231 specifica, riprendendo i principi del Codice Civile, che il debitore può svincolarsi dal pagamento degli interessi stessi se dimostra che il ritardo è dovuto a causa a lui non imputabile.

Si ricorda che secondo la giurisprudenza e l’Autorità di Vigilanza non costituisce causa di forza maggiore, tale perciò da escludere l’imputabilità del ritardo all’amministrazione, la mancata tempestività dell’ente finanziatore nel mettere a disposizione le risorse finanziarie, non potendosi far ricadere sul terzo contraente le conseguenze di fattori organizzativi dell’amministrazione stessa.

Quanto all’incidenza del patto di stabilità interno sull’imputabilità dei ritardi nei pagamenti, si ricorda che l’articolo 9 del DL 78/2009, in materia di tempestività dei pagamenti da parte delle Pubbliche Amministrazioni, prevede l’obbligo, per le pubbliche amministrazioni stesse, di adottare le opportune misure organizzative per garantire il tempestivo pagamento delle somme dovute per somministrazioni, forniture ed appalti ed evitare la formazione di debiti pregressi. In particolare, il funzionario che adotta provvedimenti che comportano impegni di spesa ha l’obbligo di accertare preventivamente che il programma dei conseguenti pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica (il Patto di stabilità interno). Sul punto si ricorda infine che la violazione dell’obbligo di accertamento comporta responsabilità disciplinare ed amministrativa. Pertanto, quando il ritardo nei pagamenti sia dovuto al mancato rispetto degli obblighi di cui sopra, è da ritenere imputabile all’amministrazione.

Clausole gravemente inique

L’art. 7 dispone la nullità delle clausole relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi o al risarcimento per i costi di recupero quando risultano gravemente inique in danno del creditore.

Secondo le regole del codice civile la nullità non colpisce l’intero contratto e la clausola nulla viene automaticamente sostituita dalla disposizione di legge.

Sulle circostanze che consentono di considerare le clausole inique e sulla rilevabilità da parte del giudice della loro nullità si rinvia a quanto detto nella parte 4^ del documento in relazione ai contratti tra imprese.

Gli aspetti specifici che rilevano nei contratti tra imprese e amministrazione pubblica riguardano innanzitutto il fatto che in questo ambito le parti non hanno discrezionalità nel fissare i termini di pagamento e dunque l’eventuale scostamento da quello fissato per legge determina di per sé la nullità della clausola con relativa iscrizione automatica del termine di legge, indipendentemente dal giudizio sulla iniquità della stessa.

In secondo luogo, il comma 5 dello stesso articolo 7 prevede un’ipotesi specifica per i contratti in cui è parte una pubblica amministrazione, sancendo la nullità della clausola che predetermina o modifica la data di ricevimento della fattura.

Infine, si ritiene che siano da considerarsi gravemente inique le clausole che prevedono, anche nei bandi di gara, tempi dilazionati (oltre i termini indicati dal D.Lgs. n. 231/2002 come modificato dal D.lgs. n.192/2012) per il pagamento dei lavori realizzati per motivi legati all’applicazione dei vincoli di finanza pubblica, con particolare riferimento al Patto di stabilità interno. E ciò per le considerazioni espresse al precedente punto d) relativo alla responsabilità del debitore.

 

Subcontratti dell’appaltatore

I contratti stipulati dall’appaltatore contraente della pubblica amministrazione per l’esecuzione dei lavori sono contratti di diritto privato e dunque ad essi si applicano le disposizioni del decreto legislativo che regolano i rapporti contrattuali tra imprese di cui al paragrafo 4 del presente documento ed in particolare ai punti 4 e) e 4 f).

Si ricorda, peraltro, che per quanto riguarda i subappalti ed i contratti di fornitura con posa in opera i termini contrattuali di pagamento devono tener conto dell’obbligo dell’appaltatore di trasmettere alla stazione appaltante le fatture quietanzate del subappaltatore e fornitore-posatore entro venti giorni dal pagamento della rata di acconto.

 

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Si segnala che il Ministero dello Sviluppo Economico ha diffuso la nota del capo di Gabinetto n. 1293 del 23 gennaio 2013, che chiarisce e conferma l’applicabilità del D.Lgs. 231/2002, come modificato dal D.Lgs. 192/2012, anche al settore dei Lavori pubblici. La nota in parola sarà pubblicata sul sito internet del Collegio Costruttori in calce alla presente comunicazione.

 

Da ultimo, si ricorda che sul Notiziario 1/2013 è stato pubblicato il testo coordinato del D. Lgs. 231/2002


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