01.02.2012 - urbanistica

DUE CASI DI ILLECITO EDILIZIO:. 1) NIENTE DIA IN SANATORIA. 2) NON SEMPRE SI DEVONO DEMOLIRE LE OPERE

DUE CASI DI ILLECITO EDILIZIO:
1) NIENTE DIA IN SANATORIA
2) NON SEMPRE SI DEVONO DEMOLIRE LE OPERE
(Corte di Cassazione: sentenze n. 41423  e n.41425 del 14/11/2011)

La Corte di Cassazione ha ribadito alcuni aspetti rilevanti relativamente agli illeciti edilizi.
Con la sentenza 41423 del 14 novembre 2011 la Corte di Cassazione si è espressa in merito ai limiti al potere di ordinare la demolizione di un manufatto abusivo e ricorda come in tema di reati edilizi, il comma 9 dell’art. 31 del D.P.R. 380/2001 (T.U. Edilizia) imponga al giudice l’obbligo di ordinare, con la sentenza di condanna, la demolizione delle opere illecitamente realizzate con esclusivo riferimento al tipo di abusi edilizi previsti dall’intitolazione dell’articolo medesimo. Tali tipi di abuso con riferimento alla totale difformità dal permesso di costruire sono definiti nel primo comma come interventi «che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche e di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza o autonomamente utilizzabile». Pertanto gli abusi minori, puniti con l’ammenda prevista dal primo comma lett. a) dell’art. 44 del D.P.R. 380/2001, non rientrano nella previsione normativa del medesimo articolo 31.
Altro caso è rappresentato dalla sentenza n. 41425 in cui la Corte si è espressa in merito alla impossibilità di utilizzare, per la sanatoria di manufatti già realizzati, l’istituto della Dia in sostituzione del permesso di costruire. Si ricorda che, come già affermato dalla Corte Suprema, “In materia edilizia, è necessario il permesso di costruire per la realizzazione di […] un manufatto che […] è destinato a trasformare durevolmente l’area impegnata, come tale qualificabile intervento di nuova costruzione.” (sez. III, 14.5.2008 n. 35898).
Anche se l’art. 22 comma 3, del DPR n. 380/2001 consente per gli interventi di nuova costruzione conformi agli strumenti urbanistici, nei casi previsti dalle lett. b) e c) del terzo comma, l’esecuzione dei lavori a seguito di denuncia di inizio di attività, l’art. 36 dello stesso testo unico stabilisce che la legittimazione dei manufatti già realizzati possa avvenire solo mediante il rilascio del permesso di costruire in sanatoria. Sicché per le opere soggette a permesso di costruire, anche se l’interessato ha optato per l’esecuzione dei lavori mediante denuncia di inizio attività., ai sensi del citato art. 22, comma 3, non è affatto prevista la possibilità di sanatoria di dette opere mediante DIA, in considerazione del più pregnante controllo richiesto alla pubblica amministrazione nell’ipotesi di sanatoria di costruzioni originariamente abusive, evidenziato dalla necessità che si proceda ad una valutazione di doppia conformità agli strumenti urbanistici e dalla previsione del rigetto tacito della richiesta di sanatoria nell’ipotesi di mancato accoglimento entro il termine di sessanta giorni (terzo comma dell’art. 36).
La DIA in sanatoria non è perciò conforme allo strumento urbanistico, in quanto quest’ultimo prevede il ricorso alla DIA per opere provvisionali ed indifferibili. 
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE III SEZIONE PENALE SENTENZA 41423 del 14/11/2011

Sul ricorso proposto da T. P., n. a T. . il ………., G. A., n. a P. il ……., e G. M., n. a P. il ………, avverso la sentenza in data 12.1.2010 del Tribunale di Aosta, con la quale è stata applicata nei confronti dei medesimi, ai sensi dell’ari 444 c.p.p., la pena di € 2.445,00 di ammenda ciascuno in relazione al reato di cui all’art. 44 lett. a) del DPR n. 380/2001.
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. A. M. L.;
Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore Generale Dott. G. V., che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza limitatamente all’ordine di demolizione; rigetto nel resto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata il Tribunale di Aosta ha applicato la pena concordata dalle parti, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., nei confronti di T. P., G. A.e G. M. in relazione al reato di cui all’art. 44 lett. a) del DPR n. 380/2001, così diversamente qualificata l’originaria contestazione di cui alla lett. b) del medesimo articolo, ascritta agli imputati per avere, in qualità di committenti, eseguito opere in violazione delle prescrizioni inerenti al permesso di costruire loro rilasciato per la esecuzione di lavori di restauro di un fabbricato. La sentenza ha, inoltre, disposto la demolizione delle opere abusivamente realizzate. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso gli imputati, che la denunciano per violazione di legge.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo mezzo di annullamento i ricorrenti denunciano la violazione ed errata applicazione dell’art. 129 c.p.p. Previa esposizione delle vicende afferenti al permesso di costruire rilasciato dalla pubblica amministrazione ed ai lavori eseguiti, i ricorrenti, in estrema sintesi, deducono che nel caso in esame doveva essere rilevata l’inesistenza dell’elemento soggettivo del reato, stante l’affidamento degli imputati nella ritenuta legittimità degli atti della pubblica amministrazione, e la conformità del loro operato al titolo abilitativo. Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 31, comma 9, del DPR n. 380/2001.
In sintesi, si deduce la incompatibilità dell’ordine di demolizione con la diversa qualificazione attribuita dal giudice di merito al fatto quale violazione di cui all’art. 44, primo comma lett. a), del DPR n. 380/2001. Si deduce anche che i ricorrenti hanno provveduto al pagamento della sanzione pecuniaria irrogata dalla pubblica amministrazione in sostituzione dell’ordine di demolizione o ripristino dello stato dei luoghi. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La verifica demandata al giudice di merito, a seguito di domanda di applicazione della pena sull’accordo delle parti, può condurre al proscioglimento dell’imputato solo se le risultanze processuali siano tali da rendere evidente l’esistenza di una delle cause di non punibilità previste dalla nonna, senza la necessità di alcun approfondimento probatorio (sez. un. 22.2.1999 n. 3, Messina, RV 212437). Inoltre, la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. può formare oggetto di controllo in sede di legittimità, in relazione alla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p., solo se dal testo della stessa sentenza appaia evidente la sussistenza di una delle condizioni previste dalla disposizione citata (sez. I, 17.6.1991 n. 2742, Scupola, RV 188377; sez. III, 18.6.1999 n. 2309, Bonacchi, RV 215071), mentre le parti non sono legittimate a mettere in discussione, mediante il ricorso, i fatti su cui si fonda l’accordo (sez. I, 143.1995 n. 1549, Sinfisi, RV 201160). Nella specie il giudice di merito ha dato atto nella sentenza di avere effettuato la richiesta verifica della inesistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., mentre la doglianza dei ricorrenti appare comunque sprovvista della necessaria concretezza per una declaratoria immediata di non punibilità, richiedendo un accertamento di fatto inammissibile in sede di legittimità.
E’, invece, fondato il secondo motivo di gravame.L’art. 31 del DPR n. 380/2001 riguarda gli “Interventi eseguiti in assenza di permesso dì costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali”; interventi puniti ai sensi dell’art. 44, primo comma lett. b) ovvero c) (nel caso di interventi edilizi eseguiti nelle zone sottoposte a vincolo), del medesimo Testo Unico. E’, pertanto, evidente che il comma 9 dell’art. 31, nell’imporre al giudice l’obbligo di ordinare, con la sentenza di condanna, la demolizione delle opere di cui al presente articolo si riferisce esclusivamente al tipo di abusi edilizi previsti dall’intitolazione dell’articolo medesimo, meglio descritti nel primo comma con riferimento all’ipotesi della totale difformità dal permesso di costruire (interventi “che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche e di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza o autonomamente utilizzabile”). Non rientrano, pertanto, nella previsione normativa dell’art. 31 gli abusi minori, puniti ai sensi dell’art. 44, primo comma lett. a), del DPR n. 380/2001.
Per tali violazioni le sanzioni amministrative costituite dal ripristino dello stato dei luoghi o dalla irrogazione di una sanzione pecuniaria sostitutiva, ai sensi dell’art. 34 del Testo Unico, restano di esclusiva competenza della pubblica amministrazione, mentre l’autorità giudiziaria può solo irrogare la pena dell’ammenda comminata dalla norma.
La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata senza rinvio limitatamente all’ordine di demolizione, che va eliminato.
Il ricorso deve essere rigettato nel resto.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’ordine di demolizione, che elimina. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma nella pubblica udienza del 29.92011.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE III SEZIONE PENALE SENTENZA 41425/11 del 14/11/2011

Sul ricorso proposto dall’Avv. Leonardo Casciere, difensore di fiducia di Eramo Emanuele Cesidio, n. a Bisegna 11 19.5.1949, avverso la sentenza in data 29.3.2010 della Corte di Appello di L’Aquila, con la quale, a conferma di quella del Tribunale di Avezzano in data 9.1.2009, venne condannato alla pena di mesi uno di arresto ed E 6.000,00 di ammenda, quale colpevole dei reati: a) di cui all’art. 44 lett. b) del DPR n. 380/2001; b) di cui agli art. 64 e 71 del DPR n. 380/2001, unificati sotto il vincolo della continuazione.
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Alfredo Maria Lombardi;
Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore Generale Dott. Giuseppe Volpe, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di L’Aquila ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di Eramo Emanuele Cesidio in ordine ai reati: a) di cui all’art. 44 lett. b) del DPR n. 380/2001; b) di cui agli art. 64 e 71 del DPR n. 380/2001, a lui ascritti per avere realizzato un muro in calcestruzzo armato dell’altezza di mt. 4 e della lunghezza di mt. 10, nonché una gabbionata con riempimento in pietrame dell’altezza di mt. 1 e la lunghezza di mt. 9 ed un altro muro in pietrame senza il permesso di costruire e senza avere fatto la prescritta denuncia per le opere in cemento armato.
La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l’appellante aveva dedotto che le opere di cui alla contestazione potevano essere realizzate in base a DIA, la cui carenza non costituisce reato, e dedotto che, in ogni caso, i reati dovevano dichiararsi estinti per effetto di una DIA in sanatoria.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia violazione ed errata applicazione di legge.
Si deduce che la sentenza impugnata ha erroneamente escluso che il muro di contenimento di cui alla contestazione fosse assentibile mediante DIA, in base al rilievo che lo stesso si eleva al di sopra del suolo, poiché tale accertamento deve essere riferito alla posizione del muro a monte e non a valle, da cui soltanto si nota la parete in sopraelevazione.
Si deduce, poi, che, anche se si ritenesse il manufatto soggetto a permesso di costruire, l’interessato può, con scelta discrezionale, optare, ai sensi dell’art. 22, comma 2, del DPR n. 380/001 per la
richiesta dì permesso di costruire o edificare previa denuncia di inizio attività, la cui mancanza è sanzionabile penalmente per il disposto di cui all’art. 44, ultimo comma, del citato DPR n. 380/2001.
Si inferisce da tale disposto normativo che l’abuso può essere sanato mediante il rilascio di DIA in sanatoria, che l’imputato aveva ottenuto nel caso in esame. Sul punto si richiamano anche le disposizioni del codice civile che non considerano costruzione, ai fini dell’osservanza delle distanze legali, i muri di contenimento.
Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia carenza di motivazione in ordine alla destinazione dell’opera a servizio dell’edificio principale, essendo finalizzata a impedire smottamenti della scarpata con la conseguente natura pertinenziale della stessa.
Con l’ultimo mezzo di annullamento si denuncia carenza e illogicità della motivazione con riferimento alla interpretazione della DIA in sanatoria.
Si deduce che la sentenza impugnata ha affermato erroneamente che la DIA in sanatoria non è conforme allo strumento urbanistico, in quanto quest’ultimo prevede il ricorso alla DIA per opere provvisionali ed indifferibili, nonché carenza di motivazione con riferimento alle dichiarazioni del tecnico comunale esaminato come teste, che aveva ritenuto la sanatoria legittima.
Il ricorso non è fondato.
E’ stato già affermato da questa Suprema Corte che “In materia edilizia, è necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di contenimento, in quanto si tratta di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l’area impegnata, come tale qualificabile intervento di nuova costruzione.” (sez. III, 14.5.2008 n. 35898, Russo e altro, RV 241075)
E’ evidente che tale massima si riferisce a qualsiasi muro di contenimento, in considerazione delle rilevanti dimensioni che l’opera in genere assume ed alla modificazione edilizia permanente del territorio che essa determina, non in considerazione del fatto che l’opera si elevi al di sopra del suolo a monte o a valle, trattandosi di una distinzione che non ha senso in relazione alla funzione del manufatto.
Quanto alla DIA in sanatoria, anche se l’art. 22 comma 3, del DPR n. 380/2001 consente per gli interventi di nuova costruzione conformi agli strumenti urbanistici, nei casi previsti dalle lett. b) e c) del terzo comma, l’esecuzione dei lavori a seguito di denuncia di inizio di attività, l’art. 36 dello stesso testo unico stabilisce che la legittimazione dei manufatti già realizzati possa avvenire solo mediante il rilascio del permesso di costruire in sanatoria.
Sicché per le opere soggette a permesso di costruire, anche se l’interessato ha optato per l’esecuzione dei lavori mediante denuncia di inizio attività, ai sensi del citato art. 22, comma 3, non è affatto prevista la possibilità di sanatoria di dette opere mediante DIA, in considerazione del più pregnante controllo richiesto alla pubblica amministrazione nell’ipotesi di sanatoria di costruzioni originariamente abusive, evidenziato dalla necessità che si proceda ad una valutazione di doppia conformità agli strumenti urbanistici e dalla previsione del rigetto tacito della richiesta di sanatoria nell’ipotesi di mancato accoglimento entro il termine di sessanta giorni (terzo comma dell’art. 36). Nel caso in esame, peraltro, la sentenza impugnata ha rilevato che il muro di contenimento non risultava neppure conforme al PRG, in quanto detto strumento urbanistico prevede esclusivamente l’esecuzione di “opere provvisionali di assoluta urgenza, indispensabili per evitare pericoli e danni”, mentre le opere incriminate, secondo la sentenza impugnata, non possono assolutamente essere considerate tali, essendo di tipo “durevole e permanente”.
Il richiamo alle norme civilistiche in materia di distanze è del tutto improprio con riferimento alla disciplina edilizia ed urbanistica sotto il profilo penale
E’ noto che rientrano nella nozione di pertinenza solo manufatti di modeste dimensioni posti durevolmente a servizio di un edificio principale.
Tale certamente non può essere ritenuto il muro di contenimento di cui all’imputazione considerate le notevoli dimensioni dell’opera e la naturale destinazione del muro di contenimento ad una più ampia funzione di prevenzione in relazione alle eventuali modificazioni naturali del territorio. Sull’ultimo motivo la sentenza ha correttamente osservato che le diverse valutazioni degli organi amministrativi non possono avere incidenza su quella del giudice ordinario e quanto affermato in punto di diritto in relazione al primo motivo di gravame risulta assorbente di qualsivoglia diversa opinione espressa dal tecnico comunale quale teste.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con le conseguenze di legge.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma nella pubblica udienza del 29.9.2011.


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