08.11.2006 - urbanistica

URBANISTICA – LA P.A. NON PUO’ RISERVARSI UNA QUOTA DELLA CAPACITA’ INSEDIATIVA TOTALE COMPRIMENDO LA POTENZIALITA’ EDIFICATORIA DEI PRIVATI

URBANISTICA – LA P URBANISTICA – LA P.A. NON PUO’ RISERVARSI UNA QUOTA DELLA CAPACITA’ INSEDIATIVA TOTALE COMPRIMENDO LA POTENZIALITA’ EDIFICATORIA DEI PRIVATI
(Consiglio di Stato, Sez. IV, 21 agosto 2006, n. 4833)

Il Consiglio di Stato ha fissato nuovi paletti ai poteri discrezionali della Pubblica Amministrazione in materia di pianificazione urbanistica, confermando l’illegittimità di una norma tecnica di attuazione che nell’ambito di una determinata zona omogenea di un PRG riservava al comune “una quota del 50% della capacità insediativa totale”. Tale norma, inserita dalla Regione in sede di approvazione del PRG con funzione di contenimento dei prezzi dei terreni edificabili e di immediato utilizzo delle aree da parte del comune, comprime in maniera del tutto ingiustificata la potenzialità edificatoria dei privati, configurando per i giudici una forma atipica di espropriazione della proprietà e, quindi, al di fuori delle garanzie previste dall’art. 42 della Costituzione.
Secondo il Consiglio di Stato, il comune deve agire utilizzando gli strumenti previsti dalla legge e cioè attraverso il potere di esproprio delle aree nell’ambito dei piani attuativi.
Dalla sentenza pertanto si ricava il principio per cui l’ente locale non può incidere sulla proprietà privata, anche se per scopi sociali, mediante strumenti surrettizi e diversi da quelli previsti per legge.
 
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FATTO
Con atto notificato il 16 febbraio 1998, e depositato il successivo 4 marzo 1998, la Regione Veneto ha proposto appello avverso la sentenza del T.A.R. per il Veneto n. 1356/97, che aveva accolto il ricorso di alcuni privati – proprietari di aree site nel Comune di Bassano del Grappa (Vicenza) – inteso all’annullamento della deliberazione della Giunta regionale in data 15 maggio 1995, recante l’approvazione con modifiche d’ufficio del P.R.G. di detto comune, limitatamente a quanto disposto dall’art. 31, punto 3, lettera c), delle N.T.A. in cui si stabilisce, per la zona di cui si tratta, che “una quota del 50% della capacità insediativa totale è riservata al Comune”.
La Regione appellante eccepisce, preliminarmente, l’inammissibilità del ricorso in quanto proposto avverso disposizione di carattere programmatico ed astratto, contestando, poi, l’assunto del Giudice di primo grado, secondo il quale la previsione in parola avrebbe avuto un carattere espropriativo, sostenendosi, invece, che si tratterebbe soltanto di vincolo urbanistico conformativo del diritto di proprietà.
Si sono costituiti i soggetti indicati in epigrafe deducendo l’infondatezza del gravame in fatto e diritto.
La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 23 maggio 2006.

DIRITTO
1. – Ritiene la Sezione che sia infondata l’eccezione pregiudiziale sollevata dall’appellante Regione Veneto, sul presupposto che la disposizione impugnata – introdotta mediante modifica d’ufficio nelle norme tecniche di attuazione del Piano regolatore generale del Comune di Bassano del Grappa – non sarebbe immediatamente lesiva per i ricorrenti, avendo carattere meramente programmatico ed astratto.
Trattasi della norma di cui all’art. 41 delle N.T.A., relativa alla zona territoriale omogenea D/1.3, in cui sono ricomprese le aree di proprietà dei ricorrenti in primo grado, per la quale la surricordata modifica d’ufficio ha stabilito quanto segue: “una quota del 50% della capacità insediativa totale è riservata al Comune”.
Osserva il Collegio che una simile previsione appare, in realtà, preordinata a comprimere in maniera del tutto indiscriminata la potenzialità edificatoria delle aree, ricomprese nella zona in parola, il cui valore viene per ciò solo inevitabilmente ed immediatamente ridimensionato, senza che possa attribuirsi alcun rilievo alle modalità di successiva concreta attuazione degli interventi, che allo stato non risultano ancora determinate.
Tanto basta per riconoscere ai proprietari delle aree in questione un interesse diretto, immediato ed attuale all’impugnativa della disposizione di cui si tratta, palesandosi irrilevanti, sotto il profilo considerato, le giustificazioni offerte dalla Regione in ordine alle garanzie che potrebbero essere in generale assicurate ai proprietari espropriati, in sede attuativa.
2. – Ciò posto, appaiono infondate anche le contestazioni rivolte dalla Regione appellante nei confronti delle statuizioni del Giudice di primo grado, il quale ha ritenuto illegittima la disposizione impugnata, in quanto volta a configurare una forma di espropriazione del tutto atipica, non ricondotta e non correttamente riconducibile ad alcuna specifica norma delle leggi vigenti in materia.
2.1. – Tale conclusione viene in particolare avvalorata dalla motivazione desumibile “per relationem” dal parere reso in data 30 marzo 1992 dalla Seconda Commissione Consilare, la quale ha giudicato favorevolmente la disposizione ora in esame, in quanto giudicata idonea a realizzare “una forma di perequazione che può riservare alla Pubblica Amministrazione una funzione di calmierazione e immediato utilizzo delle aree”.
Al riguardo, infatti, sono chiaramente condivisibili le considerazioni svolte in prime cure secondo cui non è dato rinvenire alcuna disciplina, di fonte legislativa, che autorizzi una riserva di proprietà fondiaria alla mano pubblica – come quella prefigurata nella specie – al fine di contenimento dei prezzi, in un’ottica “dirigista” del mercato dei terreni edificabili.
2.2. – Va ribadito, quindi, che in assenza di specifica normativa primaria la disposizione in parola si manifesta priva del supporto legislativo necessario per giustificare la cennata compressione del diritto di proprietà, al di fuori delle garanzie previste in proposito dall’art. 42 della Carta costituzionale.
2.3. – In definitiva, dunque, merita conferma la indicazione contenuta nel parere reso in proposito dalla Commissione Tecnica Regionale, che aveva prospettato l’esigenza di stralciare la disposizione di cui si tratta, atteso che al Comune – in base alla normativa vigente in materia – è attribuita la possibilità di espropriare mediante lo strumento dei piani attuativi, ma tale Ente non può, invece, “riservarsi” preventivamente l’acquisizione di aree con le modalità atipiche previste della disposizione in discorso.
3. – L’appello deve essere, pertanto, respinto.
4. – Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato in dispositivo.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso meglio specificato in epigrafe:
– respinge l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;
– condanna l’Amministrazione appellante a rifondere in favore dei resistenti le spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila).
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.


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