27.06.2006 - tributi

REDDITO DEI FABBRICATI PATRIMONIALI LOCATI DA IMPRESE – CHIARIMENTI MINISTERIALI

REDDITO DEI FABBRICATI PATRIMONIALI LOCATI DA IMPRESE – CHIARIMENTI MINISTERIALI REDDITO DEI FABBRICATI PATRIMONIALI LOCATI DA IMPRESE – CHIARIMENTI MINISTERIALI
 
 
L’art.7, comma 1, lett.a), del D.L. 30 settembre 2005, n.203, convertito con modifiche dalla legge 2 dicembre 2005, n.248, è intervenuto sull’art.90, comma 1, del TUIR – D.P.R. 917/1986 (rubricato “proventi immobiliari”) introducendo una particolare disciplina per la determinazione del reddito imponibile degli immobili, diversi da quelli strumentali e da quelli alla cui produzione o scambio è diretta l’attività (“beni merce”), concessi in locazione dalle imprese.
Prima dell’intervento del D.L. 203/2005, il reddito imponibile di tali fabbricati, quando concessi in locazione, era determinato, per effetto del rinvio operato dall’art.90 del TUIR alle disposizioni sui redditi fondiari (contenute nell’art.37, comma 4-bis, del TUIR-DPR 917/1986), assumendo il maggiore dei valori tra rendita catastale (rivalutata del 5%) e canone di locazione ridotto forfetariamente del 15%, ovvero, del 25% per i soli fabbricati siti nella città di Venezia e nelle isole della Giudecca, di Murano e di Burano.
A seguito della modifica apportata dal decreto-legge, il reddito imponibile degli immobili locati, diversi da quelli strumentali e da quelli alla cui produzione o scambio è diretta l’attività, è ora invece direttamente determinato, ai sensi dello stesso articolo 90, comma 1, ultimo periodo, assumendo il maggiore dei valori tra rendita catastale (rivalutata del 5%) e canone di locazione ridotto, sino ad un massimo del 15% dello stesso, delle sole spese documentate sostenute ed effettivamente rimaste a carico per la realizzazione degli interventi di manutenzione ordinaria (di cui alla lett. a, del comma 1, dell’art. 3 del DPR 380/2001).
La stessa novità riguarda anche gli immobili, non relativi all’impresa, concessi in locazione da parte degli enti non commerciali, per effetto della modifica all’art.144, comma 1, del TUIR – DPR 917/1986, apportata dall’art.7, comma 1, lett.b, del citato D.L. 203/2005 (convertito, con modifiche, dalla legge 248/2005).
Tenuto conto dell’importanza che riveste l’intervento normativo, si ritiene utile fornire un quadro riepilogativo della disciplina attualmente vigente e delle relative modalità applicative, anche alla luce dei chiarimenti forniti in materia dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare n.6/E del 13 febbraio 2006 e con la Circolare n.10/E del 13 marzo 2006, con le quali, tra l’altro, l’Amministrazione ha affrontato anche il tema dell’indeducibilità delle altre spese ed oneri relativi a tali immobili (ai sensi dell’art.90, comma 2, del TUIR – DPR 917/1986).
Come è evidente, si tratta di disposizioni che finiscono per penalizzare fortemente l’attività di gestione immobiliare, ancora una volta considerata prettamente speculativa e non alla stregua di un vero e proprio reddito d’impresa.

1. Ambito soggettivo ed oggettivo
La nuova disposizione contenuta nell’art.90, comma 1, ultimo periodo, del TUIR – D.P.R. 917/1986 interessa tutti i soggetti passivi IRPEF e IRES, titolari di reddito d’impresa, tenuti ad applicare le disposizioni dettate per determinare la base imponibile delle società ed enti commerciali (Sezione I, Capo II, Titolo II del TUIR), nonchè i soggetti passivi IRPEF, titolari di reddito d’impresa in regime di contabilità semplificata (i quali, ai sensi dell’art.66 del TUIR, devono comunque applicare, tra le altre, le disposizioni contenute nell’art. 90 del medesimo D.P.R. 917/1986).
Come già anticipato in premessa, inoltre, anche gli enti non commerciali rientrano nell’attuale disciplina con riferimento agli immobili, non relativi all’esercizio di un’eventuale attività d’impresa dagli stessi esercitata, che vengano concessi in locazione (per effetto del rinvio all’art.90, operato dall’art.144, comma 1, ultimo periodo, del TUIR – D.P.R. 917/1986, aggiunto dall’art.7, comma 1, lett.b, del D.L. 203/2005).
L’ambito oggettivo di riferimento è invece costituito dagli immobili relativi all’impresa che, ai sensi dell’art.90 del TUIR, “non costituiscono beni strumentali per l’esercizio dell’impresa, nè beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa” ed il cui reddito deve essere determinato applicando le disposizioni valevoli per i redditi fondiari (Capo II, Titolo I, del TUIR – D.P.R. 917/1986).
L’operatività delle nuove disposizioni deve, quindi, essere limitata ai fabbricati abitativi (classificati nel gruppo catastale A[1], esclusa la categoria A/10) posseduti dalle imprese, che siano “patrimonializzati” (ossia iscritti nell’attivo patrimoniale tra le “immobilizzazioni materiali”) e concessi in locazione a terzi.
Non rientrano, invece, nella nuova previsione normativa gli altri immobili relativi all’impresa, i quali, anche se locati a terzi, partecipano comunque alla determinazione del reddito d’impresa, non secondo i criteri valevoli per i redditi fondiari, ma, in generale, a costi/ricavi/rimanenze in base alle risultanze contabili. Devono, pertanto, ritenersi esclusi dall’ambito operativo della disposizione, oltre gli immobili direttamente utilizzati nello svolgimento dell’attività (strumentali per destinazione), anche:
– i fabbricati destinati alla vendita (beni merce). L’esclusione opera anche per le abitazioni delle imprese edili destinate alla vendita e temporaneamente concesse in locazione a terzi;
– i fabbricati non suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni che, ai sensi dell’art.43 del TUIR, sono comunque considerati strumentali anche se concessi in locazione o comodato a terzi (si tratta, in quest’ultimo caso, dei fabbricati cosiddetti “strumentali per natura”, classificati nella categoria catastale A/10 o nei gruppi B, C, D ed E[2]).
Lo stesso principio deve intendersi valido anche per i fabbricati locati da imprese di gestione immobiliare, tenuto conto che, come precisato dall’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n.56/E del 9 aprile 2004, mentre è riconosciuta comunque la strumentalità oggettiva per i fabbricati strumentali per natura (i quali, quindi, partecipano in ogni caso alla determinazione del reddito imponibile in base alla contrapposizione costi/ricavi, anche se locati a terzi), per gli altri immobili (quindi, in sostanza, per le case di abitazione), posseduti e concessi in locazione da tali società, la determinazione del reddito imponibile deve avvenire in base a quanto stabilito dall’art.90 del TUIR – D.P.R. 917/1986 (non potendo gli stessi essere considerati strumentali all’attività esercitata).
Anche per le imprese di gestione immobiliare, quindi, la nuova modalità di determinazione del reddito imponibile riguarda esclusivamente gli immobili “patrimoniali” abitativi concessi in locazione a terzi.
Stante quanto sino ad ora complessivamente osservato, quindi, tutti i titolari di reddito d’impresa e gli enti non commerciali devono, relativamente ai fabbricati abitativi patrimonializzati e concessi in locazione, determinare il reddito imponibile assumendo il maggiore tra:
• la rendita catastale rivalutata del 5%[3];
• il canone di locazione ridotto, nel limite del 15% dello stesso, delle sole spese documentate, sostenute ed effettivamente rimaste a carico per la realizzazione degli interventi di manutenzione ordinaria (di cui alla lett. a, del comma 1, dell’art. 3 del DPR 380/2001).

2. Modalità applicative delle nuove disposizioni
Per quanto riguarda le modalità di calcolo del reddito imponibile relativo agli immobili patrimoniali concessi in locazione, è da specificare che, ai fini del raffronto con la rendita catastale rivalutata del 5%, il canone di locazione può essere ridotto, per espressa previsione normativa (art.90, comma 1, ultimo periodo, del TUIR-D.P.R. 917/1986), delle sole spese sostenute per la realizzazione degli interventi di manutenzione ordinaria, definiti dall’art.3, comma 1, lett.a, del D.P.R. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia).
Non possono, quindi, essere portate in riduzione dal canone di locazione le spese relative ad altre tipologie di interventi edilizi realizzati sui medesimi fabbricati, quali quelli relativi alla manutenzione straordinaria, al restauro e risanamento conservativo o alla ristrutturazione edilizia (di cui, rispettivamente, alle lett. b, c, d, dell’art.3, del D.P.R. 380/2001).
In particolare, ai sensi della citata norma del Testo Unico dell’Edilizia, la manutenzione ordinaria consiste in interventi di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelli necessari ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti.
A titolo esemplificativo, rientrano in questa definizione gli interventi di (cfr. C.M. 57/E/1998):
• sostituzione integrale o parziale di pavimenti e le relative opere di finitura e conservazione;
• riparazione di impianti per servizi accessori (impianto idraulico, impianto per lo smaltimento delle acque bianche e nere);
• rivestimento e tinteggiature di prospetti esterni senza modifiche dei preesistenti oggetti, ornamenti, materiali e colori;
• rifacimento intonaci interni e tinteggiatura;
• rifacimento pavimentazione esterne e manti di copertura senza modifiche ai materiali;
• sostituzione tegole e altre parti accessorie deteriorate per smaltimento delle acque, rinnovo delle impermeabilizzazioni;
• riparazione balconi e terrazze e relative pavimentazioni;
• riparazione recinzioni;
• sostituzione di elementi di impianti tecnologici;
• sostituzione infissi esterni e serramenti o persiane con serrande, senza modifica della tipologia di infisso.
Inoltre, sempre per espressa previsione normativa, le spese di manutenzione ordinaria, così individuate, possono essere portate in diminuzione dal canone di locazione, solo nell’ipotesi in cui le stesse risultino “documentate ed effettivamente rimaste a carico” dell’impresa locatrice (art.90, comma 1, ultimo periodo, del TUIR).
È quindi necessario che le spese per tali interventi:
• siano sostenute dalla stessa impresa proprietaria del fabbricato concesso in locazione, in deroga a quanto stabilito dall’art.1576 del Codice civile che, generalmente, pone a carico dell’inquilino le spese di piccola manutenzione (quale è la manutenzione ordinaria);
• siano adeguatamente comprovate per mezzo di contratti, attestazioni di pagamento, fatture o ricevute fiscali.
Nel caso in cui anche solo una delle due condizioni non venga soddisfatta (ad esempio, in presenza di un contratto di affitto nel quale l’onere di eseguire interventi di manutenzione ordinaria sull’immobile risulti a carico dell’inquilino), il reddito imponibile riferito al fabbricato locato deve essere determinato assumendo il maggiore tra l’intero importo del canone di locazione e la rendita rivalutata del 5%. Lo stesso criterio, naturalmente, deve essere seguito in quei periodi d’imposta in cui non vengano eseguiti lavori di manutenzione ordinaria da parte dell’impresa proprietaria.
Per quanto riguarda, poi, il limite massimo di riduzione del canone, pari al 15% dello stesso, è da evidenziare che la nuova disposizione non stabilisce alcuna maggiorazione per gli immobili situati nel comune di Venezia e nelle isole della Giudecca, di Murano e di Burano, come previsto, invece, dall’articolo 37, comma 4-bis, ultimo periodo, del TUIR – DPR 917/1986, ai fini della determinazione dei redditi fondiari (che fissa al 25% la riduzione forfetaria del canone di locazione per tali immobili).
Di conseguenza, anche per gli immobili relativi all’impresa situati in tali comuni si rende applicabile il limite del 15%, quale tetto massimo di abbattimento del canone di locazione (C.M. n.10/E del 13 marzo 2006).
Sulla modalità di calcolo, si propone il seguente esempio numerico che riprende sostanzialmente quello fornito dall’Agenzia delle Entrate nella citata Circolare n.10/E/2006:
Canone di locazione annuo – euro 20.000
Spese di manutenzione ordinaria – euro 3.500
Riduzione massima (15% X 20.000 euro) – euro 3.000
Spese non deducibili – euro 500
Canone di locazione ridotto delle spese di manutenzione – euro 17.000
In base a questo esempio, quindi, ai fini della determinazione del reddito imponibile riferibile agli immobili patrimonio locati, dovrà essere assunto il maggiore tra l’importo di 17.000 euro, corrispondente al canone di locazione ridotto delle spese di manutenzione nel limite consentito, e l’ammontare derivante dalla rendita catastale rivalutata del 5%.
Diversamente, le spese di manutenzione ordinaria eccedenti, in un determinato periodo d’imposta, il limite del 15% del canone di locazione (nell’esempio pari a 500 euro) non possono essere, in ogni caso, riportate nel periodo d’imposta successivo, risultando così comunque indeducibili (C.M. n.10/E del 13 marzo 2006).
Al riguardo, si evidenzia inoltre che, in applicazione dei principi generali in materia di reddito di impresa, i redditi degli immobili patrimoniali locati rilevano nel periodo di imposta in cui i canoni di locazione si considerano conseguiti e le spese sostenute in base al criterio di competenza stabilito dall’articolo 109, commi 1 e 2, del TUIR – D.P.R. 917/1986.
Diversamente, per gli immobili (non relativi all’impresa), concessi in locazione da parte degli enti non commerciali, le spese sono ammesse in deduzione con il criterio di cassa (ossia avuto riguardo alla data dell’effettivo pagamento delle stesse).
Con la citata Circolare n.10/E del 13 marzo 2006, inoltre, l’Agenzia ha avuto modo di precisare che la nuova disciplina rileva anche ai fini IRAP, per cui il reddito di tali fabbricati, calcolato sulla base delle nuove regole, concorre alla determinazione del valore della produzione netta da assoggettare a tale imposta.

3. Decorrenza
Ai sensi del comma 2, dell’art.7, del D.L. 203/2005 (convertito, con modifiche, dalla legge 248/2005), le nuove disposizioni si applicano con riferimento ai canoni di locazione conseguiti ed alle spese di manutenzione sostenute a partire dal periodo d’imposta in corso alla data del 4 ottobre 2005 (data di entrata in vigore dello stesso decreto legge).
Ciò implica che, per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare, i nuovi criteri risultano operativi già dal periodo d’imposta 2005 e, come tali, da tenere in considerazione in sede di predisposizione del Modello UNICO 2006.
Con la stessa decorrenza, le nuove disposizioni assumono rilevanza per la determinazione del valore della produzione netta da assoggettare ad IRAP.

4. Le altre spese ed oneri connessi agli immobili-patrimoniali delle imprese
Con la Circolare n.6/E del 13 febbraio 2006, l’Agenzia delle Entrate, in risposta ad uno specifico quesito avanzato da un contribuente, ha affrontato la problematica relativa all’ambito applicativo dell’art.90, comma 2, del TUIR – DPR 917/1986, in base al quale le spese e gli altri componenti negativi relativi agli immobili “patrimoniali” non sono ammessi in deduzione.
In particolare, la questione sottoposta all’attenzione dell’Agenzia era volta a chiarire se, tra i componenti negativi indeducibili relativi a tali immobili (ai sensi del citato art.90, comma 2), dovessero ricomprendersi anche gli interessi passivi che l’impresa corrisponde per i finanziamenti contratti per l’acquisto (cosiddetti “interessi di finanziamento”) o per la manutenzione degli stessi fabbricati (cosiddetti “interessi di funzionamento”).
Al riguardo, nella citata Circolare n.6/E/2006 (paragrafo 7.5), l’Agenzia, confutando tra l’altro alcune pronunce ministeriali emanate in passato sulla stessa problematica, ha affermato esplicitamente che il citato art.90, comma 2, del D.P.R. 917/1986 “ha carattere speciale e derogatorio rispetto al principio generale di inerenza dei componenti negativi di reddito” e che lo stesso contiene “un divieto assoluto di deducibilità di tutti i componenti negativi relativi agli immobili, compresi anche gli interessi passivi ad essi relativi, sia di funzionamento, sia di finanziamento”.
Con questo breve intervento, l’Amministrazione finanziaria sembra così avere superato, in senso restrittivo, una delle principali problematiche legate agli immobili patrimoniali delle imprese che, nel corso del tempo, è stata oggetto di diversi interventi da parte della stessa Amministrazione finanziaria, della dottrina e della giurisprudenza.
In particolare, l’Amministrazione finanziaria si era in passato espressa (cfr. Risoluzioni ministeriali 3 giugno 1977, n. 9/903 e 9 gennaio 1980, n.9/1099) nel senso di considerare:
– deducibili gli interessi passivi “di finanziamento”, anche se concernenti l’acquisto degli immobili o le spese di manutenzione straordinaria;
– indeducibili gli interessi passivi “di funzionamento”, ossia quelli relativi a finanziamenti impiegati nella manutenzione ordinaria degli immobili.
Sul punto è intervenuta, nel 2004, anche l’Associazione dei Dottori Commercialisti di Milano che, con la Norma di comportamento n.156, ha invece sostenuto la deducibilità, dal reddito imponibile IRPEF/IRES, degli interessi passivi per le imprese che possiedono immobili non strumentali, a prescindere dalla natura dei medesimi interessi.
In particolare, riprendendo quanto sostenuto, seppur in diverso ambito, dall’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n.178/E/2001[4], l’ADC di Milano ha espresso il condivisibile orientamento in base al quale gli interessi passivi risulterebbero comunque deducibili, quali componenti negativi del reddito d’impresa generati dalla gestione finanziaria e, quindi, come costi non riferiti ad una particolare attività aziendale, nè accessori ad uno specifico onere. Gli interessi passivi, infatti, rappresentano, in realtà, un costo che solo astrattamente è riconducibile ad uno specifico impiego e questo anche in presenza di mutui ipotecari, per i quali la correlazione con l’immobile è rappresentata dalla garanzia ipotecaria e non necessariamente dalla modalità d’impiego del prestito ottenuto.
Con la Circolare n.6/E/2006, l’Amministrazione ha, invece, confutato le tesi sopra esposte, precisando l’indeducibilità degli interessi passivi relativi agli immobili patrimoniali ed affermando, tra l’altro, nelle conclusioni che “le precisazioni contenute nei recenti documenti di prassi (cfr. Ris. n.178 del 2001) restano, dunque, valide in relazione alla deducibilità degli interessi passivi diversi da quelli relativi agli immobili”.
Viene così sostanzialmente confermato dall’Agenzia l’orientamento espresso, sia dalla Corte di Cassazione (Sentenza n.5501 del 7 giugno 1994), sia da una parte della dottrina[5] concorde nel considerare comunque indeducibili gli interessi passivi relativi agli immobili “patrimoniali” delle imprese.
Nella successiva Circolare n.10/E/2006, inoltre, l’Amministrazione finanziaria ha ribadito in generale che, ai sensi del citato comma 2 dell’art.90 del TUIR – D.P.R. 917/1986 (che non ha subito modifiche da parte del D.L. 203/2005), le spese e gli altri componenti negativi riguardanti gli immobili patrimoniali delle imprese non sono ammessi in deduzione, fatta eccezione delle sole spese di manutenzione ordinaria che possono essere portate in riduzione dal canone di locazione, nel limite del 15% dello stesso.
Complessivamente, quindi, a parere dell’Agenzia, la norma pone un divieto assoluto di deducibilità di tutti i costi (compresi gli interessi passivi, siano essi di “finanziamento” o di funzionamento”) relativi a tali fabbricati. Sul punto, si ritiene comunque necessario che l’Agenzia delle Entrate confermi un cambiamento di rotta così radicale con un’apposita circolare che motivi in maniera più compiuta ed esaustiva il nuovo orientamento, anche al fine di poter confutare la prescritta indeducibilità degli interessi passivi in sede di contenzioso tributario.

5. Conclusioni: scheda di sintesi
Per maggior semplicità, si ritiene opportuno fornire un breve schema di sintesi (vedi Tabella) sulla modalità di determinazione del reddito imponibile dei fabbricati patrimoniali delle imprese (diversi da quelli strumentali e da quelli destinati alla vendita), alla luce delle modifiche apportate in materia dal D.L. 203/2005 (convertito dalla legge 248/2005) e tenuto conto di quanto sino ad ora complessivamente osservato.
Abitazioni “patrimoniali” delle imprese: determinazione reddito imponibile
Disciplina previgente – art.90 e art.37, c.4-bis, TUIR (sino al periodo d’imposta 2004)
Reddito imponibile = maggior valore tra:
– rendita catastale rivalutata del 5%;
– canone di locazione ridotto forfetariamente del 15% (25% per quelli siti a Venezia, Giudecca, Murano e Burano)
Concesse in locazione

Disciplina vigente – art.90, c.1, ultimo periodo TUIR
(dal periodo d’imposta 2005)
Reddito imponibile = maggior valore tra:
– rendita catastale rivalutata del 5%;
– canone di locazione ridotto, sino ad un massimo del 15% dello stesso, delle sole spese documentate, sostenute ed effettivamente rimaste a carico per la realizzazione di interventi di manutenzione ordinaria

Non concesse in locazione
(a disposizione)

(Art.90 e art.41 del TUIR)
Rendita catastale, rivalutata del 5% e aumentata di 1/3

Le spese e gli altri componenti negativi relativi a tali immobili, compresi gli interessi passivi sia di “funzionamento” che di “finanziamento”, non sono ammessi in deduzione (art.90, comma 2, TUIR-D.P.R. 917/1986; C.M. 6/E/2006; C.M. 10/E/2006).
6. Determinazione del reddito dei fabbricati locati da persone fisiche
Nessuna novità è intervenuta, invece, per quanto riguarda i fabbricati concessi in affitto da persone fisiche non esercenti attività commerciale, tenuto conto che le disposizioni previste dall’art.7 del D.L. 203/2005, convertito dalla legge 248/2005 (ora contenute nell’art.90 del TUIR – D.P.R. 917/1986) riguardano unicamente gli immobili patrimoniali concessi in locazione da imprese e da enti non commerciali.
Per le persone fisiche continua, quindi, ad applicarsi l’art.37, comma 4-bis, del TUIR – D.P.R. 917/1986, stante il quale il reddito derivante dall’affitto di fabbricati, che insieme agli altri redditi facenti capo al contribuente va assoggettato ad IRPEF con l’aliquota marginale propria dello stesso, va determinato assumendo il maggiore tra:
– la rendita catastale, rivalutata del 5%
– ed il canone di locazione ridotto forfetariamente del 15% (del 25%, se l’immobile si trova a Venezia centro e nelle isole della Giudecca, di Murano e di Burano).

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Note
[1] Gruppo catastale A: “Unità immobiliari per uso abitazione o assimilabili”.
[2] Categoria A/10: “Uffici e studi privati”; Gruppo catastale B: “Unità immobiliari per uso di alloggio collettivo”; Gruppo catastale C: “Unità immobiliari a destinazione ordinaria commerciale e varie”; Gruppo catastale D “Immobili a destinazione speciale”; Gruppo catastale E: “Immobili a destinazione particolare”.
[3] La rivalutazione delle rendite catastali nella misura del 5% è stata disposta dall’art.3, comma 48 della legge 662/1996, che stabilisce «Fino alla data di entrata in vigore delle nuove tariffe d’estimo le vigenti rendite catastali urbane sono rivalutate del 5 per cento ai fini dell’applicazione dell’imposta comunale sugli immobili e di ogni altra imposta.».
[4] Nella Risoluzione n.178/E del 9 novembre 2001, seppure relativamente ad una problematica non inerente in modo specifico gli immobili patrimoniali delle imprese, l’Agenzia delle Entrate ha affermato, tra l’altro, che: «Gli interessi che un’impresa corrisponde per finanziarsi rappresentano un costo che solo astrattamente è riconducibile ad uno specifico impiego. Infatti, considerando l’estrema fungibilità del denaro, l’individuazione di un nesso diretto tra un’operazione di finanziamento e l’utilizzo delle risorse finanziarie generate appare arbitraria. Anche quando l’impresa accende un finanziamento per sostenere un determinato costo o per svolgere una particolare attività, non è possibile individuare in modo assoluto un collegamento tra il flusso in entrata di denaro e il corrispondente flusso in uscita. Inoltre, l’accensione di un finanziamento libera eventuali diverse risorse finanziarie che l’impresa può destinare ad altre attività. In questa ottica, gli interessi passivi, quali oneri generati dalla funzione finanziaria, possono essere assimilati ad un costo generale dell’impresa, cioè ad un costo che non può essere specificamente riferito ad una particolare attività aziendale o ritenuto accessorio ad un particolare onere.».
[5] Maurizio Leo, Felice Monacchi, Mario Schiavo “Le imposte sui Redditi nel Testo Unico” – Giuffrè Editore 1996, pag. 1396 “….gli interessi passivi afferenti ad immobili diversi da quelli strumentali e da quelli alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa non sono nè capitalizzabili, nè deducibili…..considerato che, a norma del secondo comma dell’art.57 (del previgente DPR 917/1986, ora art.90), le spese e gli altri componenti negativi relativi a tali immobili non sono ammessi in deduzione in quanto gli immobili stessi originano redditi fondiari”.

 


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