ATTIVITÀ DELLA P.A.: LE MODIFICHE ALLA LEGGE 241/1990 DI ACCESSO AGLI ATTI AMMINISTRATIVI
ATTIVITÀ DELLA P ATTIVITÀ DELLA P.A.: LE MODIFICHE ALLA LEGGE 241/1990 DI ACCESSO AGLI ATTI AMMINISTRATIVI
È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 21 febbraio 2005, n. 42 la Legge 11 febbraio 2005, n. 15, contenente modifiche ed integrazioni alla Legge 241/1990 vale a dire la legge che per prima ha regolato in via generale l’attività della Pubblica Amministrazione, il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi.
Già da tempo era emersa la necessità di aggiornare la L. 241/90 alla luce della evoluzione giurisprudenziale nonchè di modificare alcune incongruenze, affermando ulteriormente un nuovo concetto di amministrazione basato sul rapporto paritario e reciproco fra P.A. e cittadini-utenti.
La Legge 15/2005, in vigore dall’8 marzo 2005, rappresenta quindi un nuovo contributo alla modernizzazione della P.A. ed al miglioramento della efficienza, celerità e trasparenza della sua azione.
Le innovazioni riguardano quattro ambiti:
– principi generali dell’attività amministrativa
– procedimento amministrativo
– efficacia, esecuzione e invalidità dei provvedimenti amministrativi
– diritto di accesso ai documenti della P.A.
Principi generali dell’attività amministrativa
L’attività amministrativa deve essere informata, oltre che ai principi di economicità, efficacia e pubblicità, anche alla trasparenza, nonchè ai principi dell’ordinamento comunitario.
Quanto alla trasparenza, viene così codificato un principio implicitamente già presente nella L. 241/90 con l’affermazione del diritto dei cittadini di accedere ai documenti amministrativi e di partecipare al procedimento amministrativo, nonchè con la previsione dell’obbligo di motivazione del provvedimento finale.
Il riferimento ai principi dell’ordinamento comunitario, seppure a prima vista generico, riguarda tutta una serie di principi enucleati dalla Corte di giustizia europea, molti dei quali già presenti nell’ordinamento italiano.
Due di questi principi risultano di particolare interesse perchè innovativi: il principio di proporzionalità, inteso come esigenza di non limitare i diritti dei privati se non nei casi di stretta necessità, e il principio del legittimo affidamento, in base al quale i vantaggi assicurati ai privati da atti della P.A. non possono essere successivamente rimossi per motivi di pubblico interesse e qualora ciò sia necessario deve essere corrisposto un indennizzo.
Questi principi dovranno quindi essere applicati dalla P.A. nell’esercizio delle sue funzioni e qualora non vengano rispettati potranno essere fatti valere in giudizio.
Si stabilisce poi espressamente che la P.A. nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme del diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente (art. 1, comma 1 bis, L. 241/1990).
In questo modo si vuole incentivare il ricorso da parte della P.A. all’attività contrattuale nei rapporti con i privati, invertendo l’impostazione tradizionale che vede il diritto pubblico come la regola per le pubbliche amministrazioni e il diritto privato come l’eccezione.
Il nuovo comma 1 ter dell’art. 1 prevede infine che anche i soggetti privati preposti all’esercizio di funzioni pubbliche debbano rispettare i principi generali sanciti nell’art. 1.
Occorre infine ricordare che il nuovo articolo 3 bis della L. 241/1990 impone alle Amministrazioni Pubbliche di incentivare l’uso degli strumenti telematici nei rapporti interni, fra diverse amministrazioni e con i privati (ad esempio, e-mail).
Procedimento amministrativo
Silenzio della P.A. e diffida ad adempiere
Con l’introduzione del comma 4 bis nell’art. 2 viene eliminato l’obbligo della diffida da parte del privato alla P.A. inadempiente, ai fini della formazione del silenzio e della proposizione del relativo ricorso al TAR ai sensi dell’art. 21 bis, L. 1034/1971.
Questo significa che il privato, qualora presenti domanda di rilascio di un provvedimento e la P.A. non si pronunci nel termine stabilito dalla amministrazione stessa o dalla legge, potrà agire direttamente in giudizio senza dover prima diffidare la P.A. ad adempiere e attendere ulteriori trenta giorni .
In precedenza, per impugnare il silenzio serbato dalla P.A. su una richiesta di provvedimento, occorreva (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 10/03/1978, n. 10):
– una inerzia di almeno 60 giorni
– una diffida formale ad adempiere notificata attraverso ufficiale giudiziario
– una ulteriore inerzia della P.A. di 30 giorni dalla notifica.
La diffida rappresenta ora un facoltà del privato e può essere inviata alla P.A. finchè dura l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento. Viene comunque fatta salva la possibilità per l’interessato di ripresentare la domanda qualora ne ricorrano i presupposti.
Istruttoria e decisione
Sempre al fine di garantire la trasparenza dell’azione amministrativa, si stabilisce che l’organo competente ad adottare il provvedimento, qualora sia diverso dal responsabile del procedimento, non possa discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta da quest’ultimo, se non dandone espressa motivazione nel provvedimento stesso (art. 6, L. 241/1990).
In base a questa nuova norma, viene attribuita maggiore forza alla fase istruttoria rispetto a quella decisoria: la P.A. ad esempio non potrà più discostarsi da pareri di altri organi consultivi acquisiti durante l’istruttoria se non motivando la sua decisione.
Ciò si traduce sul piano della tutela davanti al giudice nella possibilità del privato di impugnare l’atto per violazione di legge, qualora dal provvedimento risulti un contrasto immotivato fra risultanze dell’istruttoria e dispositivo.
Comunicazione di avvio del procedimento
Quanto alla comunicazione di avvio del procedimento, essa deve ora contenere, oltre all’indicazione dell’amministrazione competente e dell’ufficio presso cui si può prendere visione degli atti e all’oggetto del procedimento, anche:
– nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della domanda
– la data entro la quale deve concludersi il procedimento
– i rimedi esperibili in caso di inerzia della P.A.
Occorre rilevare che indirettamente la nuova norma sancisce la necessità della comunicazione di avvio del procedimento al privato anche nel caso di procedimenti su istanza di parte e non solo, come affermato dalla giurisprudenza, nel caso di procedimenti avviati d’ufficio dalla P.A. stessa. Può infatti accadere che il procedimento abbia inizio in un momento successivo rispetto alla presentazione della domanda, con conseguente diverso decorso del termine di conclusione.
Si ricorda che l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento o la comunicazione effettuata in ritardo quando la decisione è già stata presa dalla P.A. rendono il provvedimento finale illegittimo e annullabile da parte del giudice amministrativo (sebbene con le eccezioni introdotte ora dall’art. 21 octies, comma 2, della L. 241/1990).
Al riguardo si dovrebbe ritenere che l’illegittimità del provvedimento finale sussista anche nel caso in cui la comunicazione non contenga le indicazioni prescritte dalla legge.
Comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda
Nei procedimenti ad istanza di parte (fatte salve le procedure concorsuali ed i procedimenti in materia di previdenza ed assistenza gestiti dagli enti previdenziali), viene poi introdotta una ulteriore fase partecipativa (art. 10 bis L. 241/1990).
Il responsabile del procedimento o il diverso organo competente ad adottare il provvedimento finale, qualora intenda adottare un provvedimento negativo, deve preventivamente e tempestivamente comunicare al soggetto istante i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. La comunicazione interrompe i termini per la conclusione del procedimento.
Il privato ha a disposizione dieci giorni dal ricevimento della comunicazione per presentare osservazioni scritte e documenti. Dalla data di presentazione delle osservazioni ovvero, in assenza di queste, dalla scadenza del termine di dieci giorni inizia nuovamente a decorrere il termine di conclusione del procedimento. Il mancato accoglimento di tali osservazioni deve essere motivato nel provvedimento finale.
Si tratta di una norma che, anche se comporterà un aggravamento dei procedimenti ad istanza di parte, rappresenta una ulteriore ed importante garanzia di partecipazione al procedimento.
Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento
Sempre nell’ottica di incentivare il ricorso a strumenti negoziali, viene generalizzata la possibilità di concludere accordi sostitutivi del provvedimento finale fra P.A. competente e soggetti interessati, attraverso l’eliminazione della espressa limitazione ai soli casi previsti dalla legge.
Si tratta di una modifica dalla grande portata innovativa, in quanto liberalizza un istituto basato sulla collaborazione e sul consenso, finora applicato in poche fattispecie.
La stipulazione degli accordi, sia quelli integrativi che quelli sostitutivi, deve essere preceduta da una determinazione dell’organo che sarebbe competente ad adottare il provvedimento.
Conferenza di servizi
Viene ridisegnato il funzionamento della conferenza di servizi al fine di semplificarne ed accelerarne i lavori e di adeguarla al nuovo riparto delle competenze fra Stato e Regioni delineato dalla L.Cost. 3/2001.
La nuova disciplina è quindi volta a garantire tempi decisionali certi, maggiore autonomia decisionale per l’amministrazione procedente nonchè il confronto e la considerazione di tutti gli interessi coinvolti. In caso di project financing, ad esempio, è ora prevista la partecipazione, senza diritto di voto, alla conferenza di servizi finalizzata all’approvazione del progetto definitivo, dei soggetti aggiudicatari in concessione di opere pubbliche di cui all’art. 37 quater della L. 109/1994 o delle società di progetto di cui all’art. 37 quinquies della L. 109/1994 (articolo 14 quinquies).
In caso di affidamento di concessione di lavori pubblici, la conferenza può essere convocata anche dal concessionario dei lavori pubblici con il consenso del concedente. Il diritto di voto spetta in ogni caso al concedente.
Restando in tema di lavori pubblici, occorre sottolineare che non trova più applicazione la disciplina specifica in tema di conferenza di servizi prevista dall’art. 7 della L. 109/1994: anche i procedimenti per la realizzazione di opere pubbliche saranno soggetti alle disposizioni generali degli artt. 14 e seguenti della L. 241/1990.
In base alla nuova normativa, la conferenza deve sempre essere indetta quando l’amministrazione procedente debba acquisire da altre amministrazioni atti di assenso comunque denominati (autorizzazioni, nulla osta, intese, concerti) ed entro 30 giorni dalla richiesta non li abbia ottenuti.
In precedenza l’art. 14 parlava di atti di assenso richiesti e non ottenuti dall’amministrazione procedente nel termine di 15 giorni dall’inizio del procedimento. Il termine risultava troppo ristretto e quindi è stato ampliato.
Si specifica inoltre che la conferenza può essere indetta anche quando nello stesso termine di 30 giorni dalla richiesta è intervenuto il dissenso di una o più delle amministrazioni interpellate. Il dissenso preventivo di una amministrazione coinvolta non preclude quindi la possibilità di indire la conferenza.
L’indizione infatti spetta sempre alla pubblica amministrazione, essendo la conferenza di servizi uno strumento finalizzato alla semplificazione dell’attività amministrativa. Ciò non toglie comunque che il privato interessato possa comunque attivarsi in tal senso, sollecitando la P.A. procedente.
L’art. 14 bis, come modificato dalla L. 15/2005, prevede che la conferenza di servizi preliminare possa essere convocata, oltre che per la realizzazione di opere pubbliche in presenza di progetti di particolare complessità, anche per progetti relativi a nuovi insediamenti produttivi di beni e servizi, su motivata richiesta dell’interessato, al fine di verificare le condizioni per ottenere i necessari atti di assenso. La richiesta di convocazione da parte dell’interessato deve essere documentata dal progetto preliminare o, in mancanza di quest’ultimo, da uno studio di fattibilità.
In tema di lavori della conferenza di servizi, l’art. 14 ter stabilisce ora con maggiore chiarezza che la prima riunione della conferenza deve essere convocata entro 15 giorni lavorativi (ovvero 30 giorni nei casi di particolare complessità dell’istruttoria) dalla data di indizione. La convocazione deve pervenire alle amministrazioni interessate almeno 5 giorni lavorativi prima della relativa data.
Al termine dei lavori della conferenza e qualora sia scaduto il termine massimo di 90 giorni entro cui i lavori della conferenza devono finire, l’amministrazione procedente adotta la determinazione di conclusione del procedimento, valutate le risultanze della conferenza e tenuto conto delle posizioni prevalenti emerse in quella sede.
Il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva della amministrazione procedente sostituisce ogni atto di assenso delle amministrazioni partecipanti o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti.
Viene attribuita quindi all’amministrazione procedente una più ampia libertà decisionale, non essendo quest’ultima più legata alla maggioranza dei consensi ma dovendo tener conto delle sole posizioni prevalenti espresse.
In precedenza, infatti, il provvedimento finale doveva essere conforme alla determinazione favorevole della maggioranza delle amministrazioni presenti alla conferenza.
Permane il potere di veto delle amministrazioni preposte alla tutela di particolari interessi pubblici (ambiente, paesaggio, patrimonio culturale, tutela della salute ed ora anche pubblica incolumità), ma in questo caso la decisione non è più rimessa sempre alla Presidenza del Consiglio (art. 14 quater, L. 241/1990).
In particolare, la decisione è rimessa entro dieci giorni:
– al Consiglio dei Ministri, qualora il dissenso verta fra amministrazioni statali
– alla Conferenza Stato-Regioni, in caso di dissenso fra una amministrazione statale ed una regionale ovvero fra amministrazioni regionali
– alla Conferenza Unificata Stato-Regioni-Enti locali, in caso di dissenso fra una amministrazione statale o regionale ed un ente locale ovvero tra più enti locali.
Se il dissenso è espresso da una Regione (o Provincia autonoma) in una materia di propria competenza, la decisione è rimessa entro dieci giorni:
– alla Conferenza Stato-Regioni, se la questione verte fra una amministrazione regionale ed una amministrazione statale ovvero fra due amministrazioni regionali
– alla Conferenza Unificata Stato-Regioni-Enti locali, se la questione verte fra una Regione (o Provincia autonoma) ed un ente locale.
La decisione deve in ogni caso essere assunta entro trenta giorni, salva la possibilità di una proroga non superiore a sessanta giorni, se l’istruttoria è complessa.
Se entro tali termini, la Conferenza Stato-Regioni o la Conferenza Unificata Stato-Regioni-Enti locali non provvedono, è previsto l’intervento sostitutivo del Consiglio dei Ministri ovvero della Giunta regionale competente, qualora la decisione verta in una materia non attribuita alla competenza statale dagli art. 117, comma 2 e 118 della Costituzione. Se anche quest’ultima non provvede, la decisione è rimessa al Consiglio dei Ministri che delibera con la partecipazione dei Presidenti delle regioni interessate.
Nel caso di dissenso fra amministrazioni regionali, i procedimenti sopra delineati non trovano applicazione qualora le regioni, ai sensi dell’art. 117, comma 8, della Costituzione, abbiano ratificato con propria legge intese per la composizione del dissenso, nell’ambito delle quali abbiano provveduto ad individuare un apposito organo comune competente.
Efficacia, esecuzione ed invalidità del provvedimento amministrativo
Vengono codificati una serie di principi, enucleati negli anni dalla giurisprudenza, in tema di efficacia, esecuzione ed invalidità del provvedimento amministrativo (articoli 21 bis – 21 nonies L. 241/1990).
In tema di efficacia, il nuovo art. 21 bis stabilisce che i provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati ossia sfavorevoli (ad esempio, il diniego di rilascio del permesso di costruire, il decreto di esproprio) sono provvedimenti necessariamente recettizi ossia diventano efficaci solo con la loro comunicazione ai soggetti interessati.
Il principio incontra comunque alcune eccezioni. È prevista infatti la possibilità che tali provvedimenti (ad esclusione di quelli sanzionatori, come ad esempio quelli con cui vengono irrogate sanzioni pecuniarie) contengano una motivata clausola di immediata efficacia, sebbene la legge non specifichi i casi in cui ciò sia possibile.
Inoltre, sono immediatamente efficaci i provvedimenti limitativi aventi carattere cautelare ed urgente (ad esempio, l’ordine di sospensione dei lavori).
L’art. 21 ter riguarda invece l’esecutorietà ossia la possibilità per la P.A. di dare immediata e diretta esecuzione ai provvedimenti amministrativi che impongono obblighi ai privati (ad esempio, l’ordinanza-ingiunzione di demolizione l’opera abusiva o quella di sgombero di un bene demaniale occupato).
Tali provvedimenti dovranno indicare il termine e le modalità dell’esecuzione dell’obbligo e qualora l’interessato non vi ottemperi, la P.A., previa diffida, può provvedere all’esecuzione coattiva.
Sempre in relazione all’efficacia ed all’esecutività degli atti della P.A., l’art. 21 quater dispone che i provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento medesimo.
Il comma 2 dell’art. 21 quater stabilisce poi che l’efficacia o l’esecuzione possono essere sospese, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che ha emanato l’atto o da altro organo comunque previsto dalla legge. Il termine della sospensione deve essere indicato nell’atto stesso che la dispone e può essere prorogato per una sola volta ovvero ridotto per esigenze sopravvenute.
L’invalidità del provvedimento amministrativo viene disciplinata dagli articoli 21 septies e 21 octies, che individuano rispettivamente le ipotesi di nullità e annullabilità dell’atto. Si tratta di norme fondamentali sul piano processuale perchè elencano i vizi dell’atto amministrativo che possono essere fatti valere in giudizio.
Mentre i vizi che determinano l’annullamento del provvedimento erano già previsti dall’art. 26 del R.D. 1054/1924 (Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato), i vizi, più gravi, di nullità sono stati enucleati dalla dottrina e quindi con la L. 15/2005 vengono codificati per la prima volta.
In base all’art. 21 septies il provvedimento amministrativo è nullo quando:
– è privo di uno dei suoi elementi essenziali (ossia soggetto, oggetto, manifestazione di volontà, forma, destinatario, ma non essendo questi elementi indicati dalla legge non vi è un orientamento unanime);
– è viziato da difetto assoluto di attribuzione (ossia viene emanato da una amministrazione diversa da quella cui tale potere spetta per legge);
– è stato emanato in violazione o elusione di una sentenza passata in giudicato e quindi definitiva;
– negli altri casi previsti dalla legge (ossia quando una norma di legge prevede espressamente la nullità del provvedimento come sanzione in caso di violazione).
Tradizionalmente la giurisdizione sulle controversie relative alla nullità degli atti amministrativi è attribuita al giudice ordinario, mentre la giurisdizione in tema di annullamento è rimessa al giudice amministrativo (TAR in primo grado e Consiglio di Stato in secondo grado).
L’art. 21 septies, comma 2, innova in tal senso attribuendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le cause inerenti la nullità dei provvedimenti adottati in violazione o elusione del giudicato.
Il provvedimento amministrativo è invece annullabile quando:
– è stato adottato in violazione di una norma di legge (ad esempio sul procedimento amministrativo);
– è viziato da incompetenza (ossia è stato adottato da un ufficio della P.A. diverso da quello cui spetta per legge il potere di adottare il provvedimento);
– è viziato da eccesso di potere.
L’art. 21 octies fissa poi al comma 2 alcune eccezioni all’annullamento degli atti della P.A.. In particolare, non è annullabile:
– il provvedimento adottato in violazione delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti, quando per la sua natura vincolata, sia palese che il contenuto non avrebbe potuto essere diverso;
– il provvedimento (anche discrezionale) adottato senza previa comunicazione ai destinatari dell’avvio del procedimento, qualora la P.A. dimostri in giudizio che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso.
Altre norme concernono la revoca e l’annullamento d’ufficio del provvedimento (rispettivamente art. 21 quinquies e art. 21 nonies) da parte dello stesso organo amministrativo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge.
La revoca riguarda esclusivamente i provvedimenti ad efficacia durevole e determina l’inidoneità a produrre ulteriori effetti. Essa si può avere per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, in caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
Se la revoca comporta pregiudizi per i soggetti interessati, la P.A. ha l’obbligo di corrispondere un indennizzo.
La P.A. può procedere invece all’annullamento d’ufficio di un provvedimento negli stessi casi in cui può essere richiesto l’annullamento al giudice amministrativo – violazione di legge, incompetenza o eccesso di potere – purchè sussistano ragioni di pubblico interesse.
L’annullamento d’ufficio deve comunque intervenire entro un termine ragionevole e la P.A. deve tenere conto degli interessi dei destinatari del provvedimento originario e dei controinteressati. In presenza di questi vizi comunque, l’amministrazione, invece di annullare l’atto, può convalidarlo purchè sussistano ragioni di pubblico interesse ed entro un termine ragionevole.
Infine, l’art. 21 sexies dispone che il recesso unilaterale dai contratti della P.A. è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto.
Diritto di accesso ai documenti amministrativi
Il diritto di accesso viene espressamente qualificato quale principio generale dell’attività amministrativa ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali che devono essere garantiti in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera m) della Costituzione (competenza esclusiva statale).
Il nuovo art. 22 contiene poi una serie di definizioni fondamentali per l’esercizio in concreto del diritto di accesso agli atti delle P.A., quali quelle di diritto di accesso, interessati, controinteressati, documento amministrativo, pubblica amministrazione.
In particolare, per diritto di accesso si intende il diritto degli interessati di prendere visione ed estrarre copia di documenti amministrativi, mentre gli interessati sono tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi collettivi (come ad esempio le associazioni), che abbiano un interesse diretto, concreto ed attuale in relazione al documento.
Per pubblica amministrazione si intendono tutti i soggetti di diritto pubblico nonchè i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse.
Il riferimento ai soggetti privati che svolgono attività di pubblico interesse rappresenta una attuazione del nuovo comma 1 ter dell’art. 1 che impone anche a questi soggetti il rispetto dei principi generali dell’attività amministrativa, compreso quello della trasparenza.
Nuova è invece la definizione di controinteressati ossia i soggetti, individuati o facilmente individuabili, che dall’esercizio del diritto di accesso vedono compromesso il loro diritto alla riservatezza.
Più ampio infine il concetto di documento amministrativo inteso ora come ogni atto detenuto dalla P.A. e concernente una attività di pubblico interesse. In precedenza la L. 241/90 parlava di atti formati dalla P.A. o comunque utilizzati per l’attività amministrativa.
Viene completamente riscritto l’art. 24 in tema di esclusione dal diritto di accesso. Tale diritto è escluso in via generale per:
– documenti coperti da segreto di Stato o da segreto o divieto di divulgazione;
– documenti inerenti procedimenti tributari;
– atti diretti all’emanazione di atti normativi (regolamenti), atti amministrativi generali (bandi di gara, bandi di concorso), atti di pianificazione e programmazione, per i quali trovano applicazione le norme speciali che regolano la loro formazione;
– documenti contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relativi a terzi, nell’ambito di procedimenti selettivi.
Altri casi di esclusione possono essere individuati dal Governo con regolamento in relazione a specifici interessi meritevoli di riservatezza (sicurezza e difesa nazionale, relazioni internazionali, politica monetaria, vita privata o riservatezza di persone fisiche o giuridiche, imprese e associazioni, contrattazione collettiva nazionale di lavoro, ecc..).
L’accesso comunque non può essere negato qualora sia sufficiente differirlo nel tempo.
Resta fermo il termine di trenta giorni, decorso il quale l’istanza di accesso si intende rigettata, mentre vengono introdotte alcune modifiche in tema di rimedi esperibili contro il diniego di accesso.
Accanto alla possibilità di ricorrere al TAR, il privato può chiedere un riesame dell’istanza al difensore civico competente per territorio ovvero, qualora si tratti di atti delle amministrazioni statali, alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in precedenza svolgente solo funzioni di vigilanza.
Poichè la disciplina specifica dell’esercizio del diritto di accesso e dei relativi casi di esclusione è contenuta nel D.P.R. 352/1992, il Governo è autorizzato ad adottare entro l’8 giugno 2005 un regolamento che modifichi tale decreto recependo le innovazioni della L. 15/2005.
Le nuove norme sul diritto di accesso troveranno applicazione solo con l’entrata in vigore di tale regolamento (ad eccezione di alcune disposizioni in tema di tutela giurisdizionale).
Ambito di applicazione della legge
Quanto infine all’ambito di applicazione della L. 241/1990, si stabilisce espressamente che essa si applica solo ai procedimenti amministrativi presso amministrazioni statali ed enti pubblici nazionali e, per quanto riguarda le disposizioni sulla giustizia amministrativa, a tutte le amministrazioni pubbliche (art. 29, L. 241/1990).
Le Regioni e gli enti locali disciplinano autonomamente i propri procedimenti amministrativi, nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino e dei principi della presente legge.
Fino all’entrata in vigore delle nuove norme regionali, continuano a trovare applicazione le leggi regionali vigenti in tema di attività amministrativa e, in mancanza di queste, si applicano le disposizioni della L. 241/1990 come modificata dalla L. 15/2005.
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