21.07.2004 - urbanistica

CONDONO EDILIZIO – PER LA CONSULTA È AMMISSIBILE MA CON PIÙ POTERI ALLE REGIONI

CONDONO EDILIZIO – PER LA CONSULTA E’ AMMISSIBILE MA CON PIU’ POTERI ALLE REGIONI CONDONO EDILIZIO – PER LA CONSULTA E’ AMMISSIBILE MA CON PIU’ POTERI ALLE REGIONI

Il 28 giugno 2004, con il deposito di tre sentenze (196, 198, 199/2004) ed una ordinanza (197/2004) la Corte Costituzionale ha sciolto la riserva sulla questione della legittimità del terzo condono edilizio, varato dall’art. 32 del Decreto Legge 269/2003, successivamente convertito dalla Legge 326/2003.
La prima sentenza 28 giugno 2004, n. 196, relativa ai ricorsi presentati da numerose Regioni (Emilia-Romagna, Campania, Friuli-Venezia Giulia, Marche, Lazio, Toscana, Umbria e Basilicata) contro l’art. 32, riconosce da un lato l’ammissibilità in linea di principio del condono edilizio in quanto misura straordinaria, e dall’altro, dichiara l’illegittimità costituzionale di una serie di norme che ledono le competenze legislative regionali in materia.
Se infatti il condono edilizio rientra nel governo del territorio, materia di legislazione concorrente Stato-Regioni, in cui lo Stato ha il potere di fissare i principi regolatori fondamentali e le Regioni viceversa sono competenti ad emanare la relativa normativa di dettaglio, l’art. 32 risulta invasivo della sfera legislativa regionale in numerosi punti.
noltre, la Consulta precisa che, stante la competenza esclusiva del legislatore nazionale in tema di ordinamento penale, sul piano della sanatoria amministrativa ”i vincoli che possono legittimamente imporsi all’autonomia legislativa regionale non possono che essere quelli ammissibili in base al nuovo art. 117 della Costituzione”.
Spettano allo Stato: la previsione del titolo abilitativo in sanatoria; il limite temporale di realizzazione delle opere condonabili; la determinazione delle volumetrie massime e dei fenomeni condonabili.
Sulla base di questi principi generali, le Regioni hanno il compito di articolare e specificare le disposizioni sul condono.
Queste, in particolare, le norme dell’art. 32 dichiarate incostituzionali:
–  il comma 26 nella parte in cui non attribuisce alla legge regionale il potere di determinare la possibilità, le condizioni e le modalità dell’ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio individuate nell’allegato 1 del D.L. 269/2003 e non solo delle tipologie 4, 5 e 6 (restauro e risanamento conservativo realizzati in assenza o difformità dal titolo abilitativo nei centri storici e nelle altre zone omogenee del territorio comunale, manutenzione straordinaria realizzata in assenza o difformità dal titolo abilitativi, opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superfici o di volume);
– il comma 25 nella parte in cui non attribuisce alla legge regionale di cui sopra anche la possibilità di ridurre i limiti volumetrici previsti;
– il comma 14, relativo alla sanatoria delle opere realizzate su aree di proprietà dello Stato o facenti parte del demanio statale, nella parte in cui non attribuisce alla legge regionale il potere di applicare i possibili limiti diversi anche a questi interventi;
– l’inciso ”entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto” del comma 33: la Consulta ha ritenuto incongruo il termine perentorio di sessanta giorni accordato alle Regioni per legiferare e ha dichiarato la conseguente necessità di un nuovo termine determinato tenendo conto della complessità delle scelte rimesse alle stesse;
–  il comma 37 nella parte in cui non attribuisce alle Regioni il potere di disciplinare in modo diverso gli effetti del silenzio del comune sulla domanda di condono protratto oltre il termine di ventiquattro mesi;
– il comma 38 nella parte in cui prevede che sia l’allegato 1 del D.L. 269/2003 e non la legge regionale a determinare la misura dell’anticipazione degli oneri concessori e le relative modalità di versamento;
–  conseguentemente l’allegato 1 nelle parti in cui determina la misura dell’anticipazione degli oneri concessori e le relative modalità di versamento.
Lo Stato dovrà inoltre ridefinire i termini entro i quali dovranno essere presentate le domande di condono e pagati i restanti importi dell’oblazione e degli oneri di concessione, dando indicazioni anche sulle domande già presentate ed i relativi effetti.
Quanto alla sentenza 198/2004, si segnala la statuizione della Corte Costituzionale in merito ai rapporti fra Stato e Regioni nel riparto delle competenze legislative.
I giudici della Suprema Corte hanno affermato infatti l’illegittimità delle leggi regionali varate al solo fine di disapplicare nel proprio territorio la legge dello Stato ritenuta illegittima, se non addirittura solo dannosa o inopportuna, anzichè impugnare la normativa davanti alla Consulta stessa.
Lo Stato e le Regioni non possono sottrarsi all’ordinamento costituzionale ed alle procedure da questo predisposte, risolvendo ”in via diretta” i conflitti insorti fra loro.
Anche alla luce di tali considerazioni, pertanto, le Regioni le cui leggi sono state dichiarate incostituzionali (Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Marche, Toscana, ma anche l’atto di indirizzo della Campania) dovranno legiferare nuovamente, mentre le leggi regionali che hanno disapplicato parzialmente il condono dovranno comunque essere sottoposte ad una verifica in base a quanto statuito dalla Corte e dalle  conseguenti modifiche normative.
La Corte pone in risalto la differenza tra il condono edilizio, avente carattere temporaneo ed eccezionale, e l’istituto a carattere permanente del permesso di costruire in sanatoria disciplinato dal Testo Unico Edilizia.
Tale secondo istituto è relativo agli abusi formali, ossia agli interventi eseguiti in assenza di titolo ma conformi alle prescrizioni urbanistiche vigenti al momento della realizzazione dell’opera e della presentazione della domanda di accertamento in sanatoria.
La legge regionale attuativa del condono edilizio non dovrebbe quindi riproporre tale forma di abuso formale, il quale è già disciplinato a regime dalla normativa vigente ed in base a presupposti diversi, per cui non sarebbe  giustificata la sovrapposizione di norme relative al condono.
L’oggetto principale del condono sono, invece, gli abusi sostanziali, ossia quelli in contrasto con le prescrizioni urbanistiche.
Non a caso, la Corte si limita in proposito ad un inciso nel quale afferma che ”di fattò’ (e quindi non di diritto) il condono esclude o limita fortemente il permesso di costruire in sanatoria a carattere ordinario, quasi a voler rinviare alla scelta discrezionale dell’interessato.
Nell’esercizio dei loro poteri le Regioni dovranno omogeneizzarsi il più possibile e, attenendosi al principio di leale collaborazione istituzionale, evitare che si crei una spaccatura troppo netta fra sanatoria penale ed amministrativa.
A tal fine, il legislatore regionale potrebbe opportunamente introdurre un distinguo tra nuove costruzioni ed ampliamenti.
In considerazione dei contrasti interpretativi già sorti, è necessario che venga, altresì, individuata ai fini della sua classificazione la tipologia di abuso cui è ricollegabile il mutamento di destinazione d’uso, con  o senza opere, in presenza o meno di una legge regionale che abbia disciplinato la materia.
Nelle leggi regionali attuative dovrebbero essere considerati unitariamente ai fini della condonabilità tutti gli interventi sul patrimonio edilizio esistente dalla manutenzione straordinaria alla ristrutturazione edilizia, alla luce anche dell’evoluzione della legislazione statale in materia.
La rilevata  illegittimità della fissazione da parte dello Stato di un termine perentorio per l’esame delle domande di condono, non deve indurre le Regioni ad omettere la  previsione di una data certa per il compimento dell’istruttoria nel rispetto della L. 241/1990.
Ove le Regioni non esercitino la potestà legislativa entro i termini che saranno loro assegnati, troverà applicazione la normativa statale con le modifiche ed integrazioni che saranno approvate dal Parlamento a seguito della pronuncia della Corte.
La Corte indipendentemente dal condono torna anche sulla nozione di governo del territorio oggetto di legislazione concorrente (già affrontata con la sentenza n. 303/2003), ribadendo che vi rientrano l’urbanistica e l’edilizia, ossia tutto ciò che attiene all’uso del territorio ed alla localizzazione di impianti o attività, cioè tutto ciò che consenta di identificare e graduare gli interessi in base ai quali possono essere regolati gli usi ammissibili del territorio.


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