08.11.2004 - tributi

CANONE DEPURAZIONE ACQUE REFLUE – IMPOSSIBILITÀ DI FRUIZIONE DEL SERVIZIO – ESENZIONE

CANONE DEPURAZIONE ACQUE REFLUE – IMPOSSIBILITA’ DI FRUIZIONE DEL SERVIZIO – ESENZIONE CANONE DEPURAZIONE ACQUE REFLUE – IMPOSSIBILITA’ DI FRUIZIONE DEL SERVIZIO – ESENZIONE
(Corte di Cass. , sez. Tributaria, sent. 16/9/04, n. 18699)

Ferma restando la natura di tributo comunale del canone per i servizi di raccolta, allontanamento, depurazione e scarico delle acque di rifiuto di insediamenti industriali, la Corte di Cassazione ha affermato che il sorgere dell’obbligazione tributaria per effetto dell’accertata esistenza nel territorio comunale del depuratore trova, come nella particolare situazione dedotta in giudizio, un ostacolo insormontabile nella accertata impossibilità materiale di fruizione del servizio svolto, solo ad una parte del territorio comunale. Ciò, equivalendo alla mancata istituzione di un effettivo servizio di depurazione per quella parte di territorio, importa il venir meno dello stesso presupposto legale del potere impositivo dell’ente locale non essendo imputabile alla contribuente la mancata fruizione del servizio di depurazione.
Nel caso specifico la Cassazione ha ritenuto non dovuto il contestato canone di depurazione poiché il Comune non ha istituito il relativo servizio in favore del contribuente.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sent. 16 settembre 2004, n. 18699

Svolgimento del processo Con ricorso notificato al Comune di Finale Emilia il 18 gennaio 2002 (depositato il 28 gennaio 2002) la s.r.l. L. C. di L. R. – premesso che: con atto di citazione notificato il 5 luglio 1993 aveva proposto opposizione avverso “l’ingiunzione di pagamento” del 22 giugno 1993, notificata il 29 giugno 1993, emessa da detto Comune, opponendo (a) la “mancata vidimazione della ingiunzione da parte del Pretore” e (b) il fatto che essa “non aveva materialmente potuto usufruire dei servizi di depurazione predisposti dal Comune”, per i quali era stata emessa “l’impugnata sentenza” (recte, ingiunzione) -, in forza di un solo, complesso motivo chiedeva, “con condanna del resistente al pagamento di tutte le spese di lite, anche dei precedenti gradi di merito”, di cassare la sentenza n. 600/01 depositata il 26 luglio 2001 con la quale il Tribunale di Modena – in accoglimento dell’appello avanzato dal Comune contro la decisione del Pretore di quella stessa città che aveva accolto la sua domanda – aveva rigettato la sua opposizione con integrale compensazione delle spese processuali dei due gradi di giudizio. Il Comune intimato non si costituiva innanzi a questa Corte né svolgeva alcuna attività difensiva.

Motivi della decisione
1. Con la sentenza gravata il Tribunale di Modena – sull’assunto fattuale, che “la L. è titolare di un opificio industriale collegato alla rete fognaria comunale, che non usufruisce in concreto del depuratore comunale, come tutti gli stabilimenti insediati sulla sponda destra del fiume Panaro, essendo collegati al depuratore esclusivamente gli insediamenti sulla sponda sinistra del fiume, ove si trova detto depuratore, cui potrebbe collegarsi soltanto attraverso la realizzazione di opere del costo di centinaia di milioni” -, ha, in accoglimento del gravame proposto dal Comune, affermato che la contribuente, “quale utente del servizio fognario”, è tenuta alla corresponsione del canone da depurazione delle acque reflue “a prescindere dal fatto che il servizio non sia in concreto dalla stessa utilizzato e non possa esserlo se non a costo di rilevanti esborsi economici”. A sostegno di tale decisione il Tribunale ha testualmente osservato che: – “per i servizi relativi alla raccolta, allontanamento, depurazione e scarico delle acque di rifiuto provenienti dalle superfici e dai fabbricati privati e pubblici, ivi inclusi gli stabilimenti e gli opifici industriali, il sistema normativo qui in considerazione (poi innovato) prevede, per gli utenti, il pagamento di un canone secondo apposita tariffa che è determinata in percentuale diversa per la parte relativa al servizio di fognatura e per quella concernente il servizio di depurazione, al cui pagamento sono tenuti gli utenti del servizio di fognatura quando nel comune sia in funzione l’impianto di depurazione centralizzato, anche se lo stesso non provveda alla depurazione di tutte le acque provenienti da insediamenti civili (artt. 16 e 17 legge n. 319/76)”; – “tal canone ha incontestabil-mente natura tributaria: la relativa prestazione non è quindi liberamente contrattata dall’utente del servizio, ma viene determinata autoritativamente ed obbligatoriamente dall’ente pubblico, risulta senz’altro dovuta in presenza dei presupposti stabiliti dalla legge ed è irrinunciabile … Cass., sez. unite n. 300 del 27 maggio 1999 e n. 371 del 30 giugno 1999)”; – “il presupposto legale d’insorgenza dell’obbligo di corresponsione del canone da depurazione per ogni utente del servizio fognario è, come detto, l’esistenza, nel territorio comunale, di un impianto di depurazione funzionante, anche se non dedicato a tutte le utenze”; – “il canone da depurazione è pertanto dovuto da ogni utente del servizio fognario per effetto della semplice istituzione del servizio di depurazione e della conseguente obbiettiva possibilità di fruizione, senza che al riguardo possa aver rilievo il fatto che, per il singolo utente, il servizio non sia concretamente utilizzato e sia utilizzabile soltanto in seguito a notevoli esborsi economici”;
– “l’insuperabile dato testuale della norma risulta coerente anche con la sua ragion d’essere, che riposa nella elaborazione comunitaria in materia ambientale dell’epoca, tutta fondata sul principio “chi inquina paga” (e sfociata nell’Atto unico europeo del febbraio 1986, che nel modificare il Trattato di Roma ha introdotto un titolo dedicato all’ambiente fondato su detto principio, cui si ispira anche il Quarto Programma di azione comunitaria per gli anni 1987 – 1992)”. Il medesimo tribunale ha anche ricordato che “tali principi risultano costantemente affermati nella giurisprudenza di legittimità (si veda Cass. n. 995 del 4 febbraio 1987, n. 2800 del 9 marzo 1992 e n. 9434 del 11 novembre 1994), e non vi sono ragioni per porli in discussione in questa sede”.
2. Nell’unico motivo di ricorso la contribuente lamenta “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 16 e 17 L. n. 319/76 nonché “insufficienza e/o contraddittorietà della motivazione” adducendo che la affermata debenza del canone “in base alla sua natura tributaria” è una “affermazione totalmente fuori luogo” dovendosi prima stabilire se si tratti di “tassa” o di “imposta” variando il regime impositivo “in modo consistente”. Secondo la ricorrente, infatti, essendo il canone in questione una vera e propria “tassa”, l’accertata “non fruibilità del servizio” da parte sua esclude l’obbligo del pagamento della stessa come affermato da questa Corte laddove ha ritenuto dovuta “la tassa per la raccolta ed il trasporto dei rifiuti solidi urbani … quando sussistono due presupposti, costituiti, l’uno e l’altro, dalla possibilità dell’utente di usufruirne” (Cass. n. 995 del 4 febbraio 1987) o “l’obbligo del pagamento del canone o del diritto per la sola obiettiva possibilità di fruire del servizio” (Cass. n. 2800 del 9 marzo 1992), cioè (Cass. n. 9434 dell’undici novembre 1994) “ove ne sussistano i presupposti”.
3. Il ricorso deve essere accolto perché fondato.
A. L’art. 16 della legge 10 maggio 1976 n. 319 (come sostituito con 11 art. 3 del DL 28 febbraio 1981 n. 38 ed integrato con l’art. 1 della legge, di conversione, 23 aprile 1981 n. 153) dispone testualmente: “per i servizi relativi alla raccolta, l’allontanamento, la depurazione e lo scarico delle acque di rifiuto provenienti dalle superfici e dai fabbricati privati e pubblici, ivi inclusi stabilimenti e opifici industriali, a qualunque uso adibiti, è dovuto agli enti gestori dei servizi da parte degli utenti il pagamento di un canone o diritto secondo apposita tariffa (omissis). La tariffa è formata dalla somma di due parti, corrispondenti rispettivamente al servizio di fognatura ed a quello di depurazione. La prima parte è determinata in rapporto alle quantità di acqua effettivamente scaricata. La seconda parte è determinata in rapporto alla quantità e, per gli scarichi provenienti da insediamenti produttivi, alla qualità delle acque scaricate”. Il successivo art. 17 (sostituito ed integrato dalle stesse norme richiamate per l’art. 16), poi, prevede, per quanto rileva ai fini della decisione della presente controversia: “per le acque provenienti da insediamenti civili la tariffa è così determinata: per la parte relativa al servizio di fognatura in misura pari a lire venti per metro cubo di acqua scaricata; per la parte relativa al servizio di depurazione, se istituito, in misura pari a lire venti per metro cubo di acqua scaricata. La parte relativa al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti del servizio di fognatura quando nel comune sia in funzione l’impianto di depurazione centralizzato anche se lo stesso non provveda alla depurazione di tutte le acque provenienti da insediamenti civili. (omissis)”. Il canone o tariffa per le “acque provenienti da insediamenti produttivi”, poi, è determinato – giusta il primo comma dell’art. 17 bis della legge n. 319 del 1976 (introdotto dall’art. 3 del medesimo DL n. 38 del 1981 succitato) -, sulla base della “formula tipo” predisposta dal “Comitato interministeriale di cui all’art. 3, integrato dal Ministro delle finanze”, dalle singole regioni “per le diverse categorie di utenti con determinazione dei relativi limiti, minimo e massimo, vincolanti per gli enti gestori del servizio”.
B. In ordine a tali disposizioni questa Corte, sulla scorta di precedenti pronunce (segnatamente Cass., I, 11 novembre 1994 n. 9434, considerata anche dal giudice a quo), ancora di recente (Cass., trib., 24 luglio 2003 n. 11481), ha affermato il principio di diritto (che, in carenza di qualsivoglia contraria convincente argomentazione, va pienamente condiviso e confermata) secondo cui poiché “il canone per i servizi di raccolta, allontanamento, depurazione e scarico delle acque di rifiuto di insediamenti industriali di cui agli artt. 16 e seguenti della legge 10 maggio 1976 n. 319, modificata dall’art. 3 del DL 28 febbraio 1981 n. 38, convertito nella legge 23 aprile 1981 n. 153, integra, anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 31, comma 28, della legge 23 dicembre 1998 n. 448, che ne ha dato una diversa qualificazione, un tributo comunale” – dalla natura di entrata tributaria discende “l’obbligatorietà” del pagamento del canone detto “per effetto della sola istituzione del servizio e dell’allaccio alla rete fognaria, a prescindere dalla sua effettiva utilizzazione, trattandosi di un servizio pubblico irrinunciabile, che gli enti gestori sono tenuti ad istituire per legge ed alla cui gestione i potenziali utenti sono chiamati a contribuire mediante il versamento del canone, ancor quando non ne abbiano fruito in concreto, affidandosi a terzi per lo smaltimento delle acque reflue”.
C. Fermo tale principio, il thema decidendi impone di accertare, per la peculiarità del caso, se il servizio possa ritenersi giuridicamente istituito (con conseguente obbligo di pagamento del canone) nel (e dal) Comune di Finale Emilia anche per gli insediamenti produttivi che, come quello della contribuente, pur essendo collegati “alla rete fognaria comunale”, sono situati “sulla sponda destra del fiume Panaro” e, quindi, come accertato in fatto dal giudice del merito, “in concreto” non possono fruire del depuratore comunale in quanto questo si trova sulla “sponda sinistra” e serve soltanto gli insediamenti di tale sponda. Al singolare quesito deve darsi risposta negativa atteso che il sorgere dell’obbligazione tributaria per effetto dell’accertata esistenza nel territorio comunale del depuratore trova nella particolare situazione dedotta in giudizio (di separazione del territorio comunale ad opera del fiume Panaro) un ostacolo insormontabile nella accertata impossibilità materiale di fruizione del servizio svolto dall’impianto comunale di depurazione per la limitazione della prestazione di tale servizio solo ad una parte del territorio comunale e tanto, equivalendo alla mancata istituzione di un effettivo servizio di depurazione per quella parte di territorio, importa il venir meno dello stesso presupposto legale del potere impositivo dell’ente locale non essendo imputabile alla contribuente la mancata fruizione del servizio di depurazione: la contraria opinione, sostenuta dal tribunale, si risolve nell’imposizione di una obbligazione per un servizio di depurazione che l’ente, in effetti, non fornisce né è in grado di fornire alla contribuente, ovverosia nell’imposizione di un tributo in totale carenza del genetico presupposto fattuale previsto dalla norma.
D. In applicazione della specificazione che precede la sentenza impugnata deve essere cassata perché è effettivamente incorsa nella falsa applicazione delle norme denunziate. La causa, però, non richiede nessun ulteriore accertamento di fatto per cui deve essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c.: dalle esposte considerazioni, infatti, discende de plano la non debenza del canone di depurazione portato dall’ingiunzione di pagamento ex lege, R.D. n. 639/1910 notificata alla società ricorrente dal Comune atteso che questo non ha istituito il relativo servizio in favore della contribuente.
4. Per il secondo comma dell’art. 92 c.p.c. le spese processuali del giudizio di appello e quelle del presente giudizio debbono essere integralmente compensate tra le parti.
P.q.m.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara non dovuto il contestato canone di depurazione; compensa integralmente tra le parti le spese processuali dell’intero giudizio.


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