01.07.1999 - urbanistica

INDENNITA’ PER REITERAZIONE VINCOLI ESPROPRIATIVI – SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

INDENNITA’ PER REITERAZIONE VINCOLI ESPROPRIATIVI – SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE INDENNITA’ PER REITERAZIONE VINCOLI  ESPROPRIATIVI – SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

La Corte Costituzionale, con la sentenza 179/1999, è intervenuta sull’annoso tema della reiterazione dei vincoli preordinati all’esproprio, fornendo indicazioni innovative che avranno effetti rilevanti sul sistema di pianificazione.
La Consulta, soffermandosi sul trattamento indennitario dell’apposizione di vincoli, ha evidenziato come il problema dell’indennizzo non si ponga per quelli volti alla tutela paesistico-ambientale anche riguardanti intere categorie di beni e perciò interessanti la generalità dei soggetti, nonchè i limiti all’edificazione posti in sede di piano e relativi ad altezze, indici, distanze e zone di rispetto.
Tale problema si pone invece, ha specificato la Corte, nel caso di reiterazione dei vincoli preordinati all’esproprio od aventi carattere sostanzialmente espropriativo in termini quantitativi e di durata.
In altri termini, una volta oltrepassato il primo periodo di durata temporanea (periodo di franchigia da ogni indennizzo), il vincolo urbanistico, se permane a seguito di reiterazione, non può essere dissociato, in via alternativa all’espropriazione (o al serio inizio dell’attività preordinata all’espropriazione stessa mediante approvazione dei piani attuativi), dalla previsione di un indennizzo, fermo restando che la reiterazione deve essere adeguatamente motivata.
Nella sentenza la Corte opera, inoltre, un’importante precisazione relativamente ai vincoli non indennizzabili. Il problema dell’indennizzo non si pone per i vincoli che importano una destinazione realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa espropriazione del bene.
Si fa riferimento, ad esempio, ai parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per prestazioni di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenziali ; in breve, a tutte quelle iniziative suscettibili di espletarsi in libero regime di economia di mercato.
In tal modo trova pieno riconoscimento giuridico la proposta che l’ANCE da tempo aveva avanzato in ordine alla realizzabilità di opere di interesse generale in regime privatistico su aree destinate a standard in alternativa all’intervento pubblico.
La Corte invita dunque il legislatore a normare i criteri per la quantificazione dell’indennizzo in caso di reiterazione del vincolo in modo che, anche se non a carattere integrale, non sia neppure simbolico e comunque sia commisurato alla diminuzione di prezzo di mercato rispetto alla situazione giuridica antecedente alla pianificazione che ha imposto il vincolo.
Dalla sentenza della Corte discende dunque che :
– in caso di mancata reiterazione del vincolo alla scadenza del termine previsto, il proprietario dell’area può inoltrare domanda di concessione edilizia nel rispetto dei limiti fissati dall’art. 4 della legge n. 10/1977 e dalle leggi regionali attuative, ovvero tale soggetto può diffidare il Sindaco ad adottare una nuova pianificazione in luogo della destinazione urbanistica decaduta ;
– in caso di reiterazione del vincolo il proprietario può : promuovere ricorso per carenza di motivazione, richiedere di realizzare direttamente l’opera di interesse generale, farsi assegnare un’area in permuta, esigere la corresponsione dell’indennizzo, avanzare domanda di addivenire ad una cessione bonaria.

Sentenza n. 179 Anno 1999

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), e dell’art. 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 aprile 1942, n. 1150), promosso con ordinanza emessa il 1° luglio 1996 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto dal Comune di Roma contro Cestelli Guidi Riccardo ed altri, iscritta al n. 33 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 1997.
Visti gli atti di costituzione di Cestelli Guidi Riccardo ed altri e del Comune di Roma, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10 novembre 1998 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;
uditi gli avvocati Giuseppe Lavitola per Cestelli Guidi Riccardo ed altri, Mauro Mertis per il Comune di Roma, e l’Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. -Nel corso del giudizio di appello promosso avverso la sentenza 14 aprile 1993, n. 600 del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione I, che aveva definito il giudizio di impugnazione avverso delibera della Giunta municipale di Roma con la quale erano stati reiterati vincoli urbanistici divenuti inefficaci per scadenza del quinquennio di legge, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, a cui il ricorso era stato rimesso dalla IV Sezione dello stesso Consiglio, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 aprile 1942, n. 1150), in riferimento agli artt. 42. terzo comma, 97, 9, secondo comma, e 32, primo comma, della Costituzione.
Il giudice rimettente, dopo aver ricostruito l’iter processuale della vicenda, avente ad oggetto la predetta deliberazione della giunta municipale di Roma, ha osservato, in via preliminare, che la cognizione della questione è, per giurisprudenza costante della Corte di cassazione, devoluta al giudice amministrativo.
In diritto, il giudice a quo richiama i vari interventi normativi e le sentenze della Corte costituzionale che, in sostanza, hanno creato la disciplina attuale dei vincoli inaedificandi.
Conseguentemente, la legge 19 novembre 1968, n. 1187 ha previsto, all’art. 2, primo comma: “Le indicazioni di piano regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all’espropriazione od a vincoli che comportino l’inedificabilità, perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati. L’efficacia dei vincoli predetti non può essere protratta oltre il termine di attuazione dei piani particolareggiati e di lottizzazione”.
Il predetto termine di scadenza dell’efficacia delle indicazioni di piano è stato successivamente prorogato fino all’entrata in vigore della legge sulla edificabilità dei suoli e delle relative leggi regionali sull’implicito presupposto che la questione avrebbe trovato definitiva soluzione in quella sede.
Ciò, in realtà, non è avvenuto, in quanto-come ritenuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 5 del 1980 – lo ius aedificandi continua ad inerire al diritto di proprietà, con il conseguente obbligo di indennizzo anche nel caso di espropriazioni di valore.
Sulla questione è intervenuta la Corte costituzionale, una prima volta con la sentenza n. 82 del 1982, la quale ha ammesso la legittimità costituzionale delle disposizioni degli artt. 1, 2 e 5 della legge n. 1187 del 1968, ritenendo che il legislatore abbia la facoltà di scelta tra la previsione di un indennizzo e la predeterminazione di un termine di durata dell’efficacia del vincolo; successivamente, con la sentenza n. 575 del 1989, ha affermato che la temporaneità e la indennizzabilità dei vincoli urbanistici di natura espropriativa sono tra loro alternative, per cui l’ indeterminatezza temporale comporta il diritto all’indennizzo.
Ciò posto, il giudice a quo si pone il problema relativo al trattamento della reiterazione di vincoli temporanei: reiterazione che sarebbe ammissibile senza indennizzo a condizione di non superare la soglia massima di temporaneità del vincolo, al di là della quale la reiterazione integrerebbe gli estremi della fattispecie espropriativa e determinerebbe la corresponsione dell’indennizzo.
Tale problema non troverebbe soluzione nella normativa vigente, la quale non contiene la previsione di una fattispecie espropriativa “tassativa”; il che, ad avviso del giudice a quo, può costituire un primo profilo di illegittimità costituzionale del sistema, in relazione alla riserva di legge di cui all’art. 42, terzo comma, della Costituzione, in quanto l’accertamento degli estremi della fattispecie espropriativa sarebbe rimesso all’apprezzamento discrezionale dell’amministrazione e del giudice, con compromissione della certezza del diritto in una materia che esige uniformità di soluzioni.
Altro profilo di illegittimità costituzionale, sempre in relazione all’art. 42, terzo comma, della Costituzione, è ravvisato dal giudice a quo nella mancanza, nella legge, di criteri di determinazione dell’indennizzo per i casi di espropriazione di valore, determinazione che sarebbe necessaria sia per la concreta attuabilità del diritto all’indennizzo che per la copertura della spesa.
Infine, la mancata determinazione con legge dei casi in cui la reiterazione dei vincoli costituisce espropriazione e comporta la corresponsione dell’indennizzo, appare al giudice a quo in contrasto con gli artt. 97 della Costituzione, in quanto deviazione dal modello di buon andamento della pianificazione urbanistica, 9, secondo comma, e 32, primo comma, della Costituzione in relazione alla tutela del paesaggio e del diritto alla salute, giacché la mancata determinazione sarebbe di ostacolo al bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti, quali il diritto di proprietà, da un lato, e gli altri interessi costituzionalmente protetti cui è preordinata l’attività di pianificazione urbanistica, dall’altro.
2 -Nel giudizio si sono costituiti il Comune di Roma, il quale ha chiesto la reiezione della sollevata questione di legittimità costituzionale, e alcune parti private che hanno chiesto la declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni sottoposte all’esame della Corte.
3. – Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
Ha escluso, in particolare, che la questione proposta possa trovare soluzione con una pronuncia meramente caducatoria delle norme denunciate.
Peraltro, la stessa ordinanza di rinvio non offrirebbe alcuna indicazione da cui si possa trarre la convinzione che nel giudizio principale si concretizzi quel “punto di rottura” prefigurato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 575 del 1989, nel senso che l’esercizio della potestà di reiterare indefinitamente i vincoli determini situazioni incompatibili con la garanzia della proprietà, secondo i principi affermati dalle sentenze nn. 6 del 1966 e 55 del 1968 della Corte, giacché sembrerebbe che nel giudizio principale siano in gioco vincoli di prima reiterazione e, come tali, non collocabili oltre la soglia di tollerabilità.
4. – Nell’imminenza della data stabilita per l’udienza pubblica il Comune di Roma ha depositato una memoria, con cui eccepisce, preliminarmente, la inammissibilità, per difetto di rilevanza e per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, delle questioni sottoposte all’esame della Corte, e, nel merito, chiede che le stesse siano dichiarate manifestamente infondate
Rileva, in particolare- con riferimento all’eccezione di inammissibilità-che in relazione alle posizioni fatte valere vi sarebbe un difetto assoluto di giurisdizione, non sussistendo né la giurisdizione del giudice ordinario, né quella del giudice amministrativo, e ciò in quanto la situazione fatta valere non sarebbe configurabile né come diritto soggettivo, né come interesse legittimo
Tutt’al più, qualora si volesse ritenere la configurabilità di un diritto soggettivo, la giurisdizione spetterebbe al giudice ordinario.
In relazione al difetto di rilevanza, osserva che la questione di costituzionalità è stata sollevata in relazione ad ipotesi che possono dar luogo ad indeterminatezza temporale dei vincoli, mentre, nella specie, si tratta di prima reiterazione.
Nel merito, conclude per la infondatezza della questione sollevata, sull’assunto che, in presenza dei principi nei quali si concreta la disciplina dei vincoli inaedificandi dovrebbe escludersi che la reiterazione per la prima volta ovvero successive reiterazioni possano concretizzare l’indeterminatezza temporale censurata.
5.-È stata, altresì, depositata memoria nell’interesse di alcune parti private, con cui, da un lato, viene evidenziata la rilevanza della questione di costituzionalità, a nulla valendo che si tratti di reiterazione plurime di vincoli ovvero di prima reiterazione, e viene confutata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa dello Stato.
Dall’altro, passando all’esame del merito, viene negata la illegittimità costituzionale delle norme denunciate, con argomentazioni miranti a sostenere la legittimità del sistema alla stregua della legislazione vigente in base ad una interpretazione del complesso sistema attuale in senso conforme ai principi costituzionali, nel senso di ammettere, cioè, l’indennizzo nei casi come quello di specie, anche alla luce della normativa internazionale, di diretta applicazione nel nostro ordinamento, con particolare riferimento alle norme della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e del protocollo addizionale alla convenzione stessa.
In subordine, qualora non si ritenga che il sistema, nel suo complesso, possa offrire adeguata tutela al diritto di proprietà, si insiste per la declaratoria di incostituzionalità delle norme impugnate.
Considerato in diritto
1.-Le questioni sottoposte all’esame della Corte hanno per oggetto gli artt. 7, numeri 2, 3, e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (come risultante rispettivamente a seguito degli artt. 1 e 5 della legge 19 novembre 1968, n. 1187) e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187, sotto il profilo della violazione dell’art. 42, terzo comma, della Costituzione, in quanto -come si evince dalla interpretazione corrente-consentono all’Amministrazione di reiterare il vincolo scaduto indefinitamente nel tempo, ponendo in essere una fattispecie sostanzialmente espropriativa senza la previsione di indennizzo e, comunque, senza la previsione di criteri per la determinazione dello stesso; viene altresì denunciata la violazione dell’art. 97, sotto il profilo della deviazione dal modello del buon andamento della pianificazione urbanistica, dell’art. 9, secondo comma, per il contrasto con la tutela del paesaggio, nonché dell’art. 32, primo comma, della Costituzione in relazione al diritto alla salute.
2.-Preliminarmente, devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità proposte dal Presidente del Consiglio e dal Comune di Roma.
Le eccezioni di inammissibilità, per mancanza di rilevanza e per difetto di giurisdizione, sono prive di fondamento, in quanto l’ordinanza di rimessione contiene una motivazione tutt’altro che implausibile sia sulla rilevanza delle questioni, in relazione ai motivi di appello ritenuti prioritari, sia sulla giurisdizione esercitata in materia di vincoli. Il ragionamento del giudice rimettente si svolge sulla base della duplice considerazione di dover fare applicazione delle norme denunciate (di cui è evidente l’incidenza, in quanto il giudizio a quo riguarda l’impugnazione ai una delibera comunale di reiterazione di vincoli urbanistici divenuti inefficaci per scadenza del quinquennio di legge) e di ritenere le questioni medesime, rientranti nell’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo sulla base di un indirizzo interpretativo della Corte di cassazione con argomentazioni anche esse non implausibili e non palesemente arbitrarie (v. per tutte, le sentenze della Cassazione, sez. un., 28 ottobre 1995, n. 11308, e 15 ottobre 1992, n. 11257).
Ciò è sufficiente per respingere le eccezioni formulate, non potendosi procedere, in questa sede, ad un sindacato (diverso dal controllo esterno) sul giudizio di rilevanza, espresso dall’ordinanza di rimessione in modo non implausibile (v. per tutte, sentenza n. 286 del 1997) e con motivazione tutt’altro che carente (v. ordinanza n. 62 del 1997).
Allo stesso modo la inammissibilità delle questioni incidentali di legittimità costituzionale, sotto il profilo della carenza della giurisdizione del giudice a quo, può verificarsi solo quando il difetto di giurisdizione emerga in modo macroscopico e manifesto, cioè ictu oculi (sentenza n. 98 del 1997; ordinanza n. 167 del 1997).
3.-Passando all’esame delle questioni sollevate, occorre premettere che il problema di un indennizzo a seguito di vincoli urbanistici-come alternativa non eludibile tra previsione di indennizzo ovvero di un termine di durata massima dell’efficacia del vincolo (sentenza n. 55 del 1968; n. 82 del 1982; n. 344 del 1995)-si può porre sul piano costituzionale quando si tratta di vincoli che:
-siano preordinati all’espropriazione, ovvero abbiano carattere sostanzialmente espropriativo, nel senso di comportare come effetto pratico uno svuotamento, di rilevante entità ed incisività, del contenuto della proprietà stessa, mediante imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare su beni determinati (sentenza n. 6 del 1966, sviluppata nella successiva n. 55 del 1968, e, tra le più recenti, le sentenze n. 344 del 1995; n. 379 del 1994; n. 186 e n. 185 del 1993; n. 141 del 1992), comportanti inedificabilità assoluta, qualora non siano stati discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore dello Stato o delle Regioni (v., con riferimento alle Regioni a statuto speciale, sentenza n. 344 del 1995; n. 82 del 1982; n. 1164 del 1988);
-superino la durata che dal legislatore sia stata determinata come limite, non irragionevole e non arbitrario, alla sopportabilità del vincolo urbanistico da parte del singolo soggetto titolare del bene determinato colpito dal vincolo, ove non intervenga l’espropriazione (sentenza n. 186 del 1993), ovvero non si inizi la procedura attuativa (preordinata all’esproprio) attraverso l’approvazione di piani particolareggiati o di esecuzione, aventi a loro volta termini massimi di attuazione fissati dalla legge; o minore incidenza che il sacrificio imposto ha sul contenuto del diritto”: sentenza n. 6 del 1966) la normale tollerabilità secondo una concezione della proprietà, che resta regolata dalla legge per i modi di godimento ed i limiti preordinati alla funzione sociale (art. 42, secondo comma, della Costituzione).
Nello stesso tempo, occorre sottolineare l’indirizzo secondo cui “è propria della potestà pianificatoria la possibilità di rinnovare nel tempo i vincoli su beni individuati, purché, come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa, risulti adeguatamente motivata in relazione alle effettive esigenze urbanistiche” (sentenza n. 575 del 1989) Essendo i due requisiti della temporaneità e della indennizzabilità tra loro alternativi, l’indeterminatezza temporale dei vincoli, resa possibile dalla potestà di reiterarli nel tempo anche con diversa destinazione o con altri mezzi, è costituzionalmente legittima a condizione che l’esercizio di detta potestà non determini situazioni incompatibili con la garanzia della proprietà secondo i principi affermati dalle sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 del 1968″ (sentenza n. 575 del 1989)
4. – La giurisprudenza della Corte ha inoltre affermato che non sono inquadrabili negli schemi dell’espropriazione, dei vincoli indennizzabili e dei termini di durata i beni immobili aventi valore paesistico-ambientale, “in virtù della loro localizzazione o della loro inserzione in un complesso che ha in modo coessenziale le qualità indicate dalla legge” (sentenze n. 417 del 1995; n 56 del 1968, da interpretarsi in maniera unitaria con la coeva sentenza n 55 del 1968, n. 9 del 1973; n. 202 del 1974; n 245 del 1976; n. 648 del 1988; n. 391 del 1989; n. 344 del 1990).
Più in generale si è ritenuto che la legge può non disporre indennizzi quando i modi ed i limiti imposti – previsti dalla legge direttamente o con il completamento attraverso un particolare procedimento amministrativo- attengano, con carattere di generalità per tutti i consociati e quindi in modo obiettivo (sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 del 1968), ad intere categorie di beni, e per ciò interessino la generalità dei soggetti con una sottoposizione indifferenziata di essi-anche per zone territoriali- ad un particolare regime secondo le caratteristiche intrinseche del bene stesso. Non si può porre un problema di indennizzo se il vincolo, previsto in base a legge, abbia riguardo ai modi di godimento dei beni in generale o di intere categorie di beni, ovvero quando la legge stessa regoli la relazione che i beni abbiano rispetto ad altri beni o interessi pubblici preminenti.
Devono di conseguenza essere considerati come normali e connaturali alla proprietà, quale risulta dal sistema vigente, i limiti non ablatori posti normalmente nei regolamenti edilizi o nella pianificazione e programmazione urbanistica e relative norme tecniche, quali i limiti di altezza, di cubatura o di superficie coperta, le distanze tra edifici, le zone di rispetto in relazione a talune opere pubbliche, i diversi indici generali di fabbricabilità ovvero i limiti e rapporti previsti per zone territoriali omogenee e simili.
5.-Inoltre è da precisare esplicitamente che sono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente con l alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene. Ciò può essere il risultato di una scelta di politica programmatoria tutte le volte che gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili (e come tali specificatamente compresi nelle previsioni pianificatorie) anche attraverso l’iniziativa economica privata – pur se accompagnati da strumenti di convenzionamento. Si fa riferimento, ad esempio, ai parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenziali; in breve, a tutte quelle iniziative suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato.
6. -Sulla base delle anzidette premesse può essere confermato che la reiterazione in via amministrativa degli anzidetti vincoli decaduti (preordinati all’espropriazione o con carattere sostanzialmente espropriativo), ovvero la proroga in via legislativa o la particolare durata dei vincoli stessi prevista in talune regioni a statuto speciale (v., per quest’ultimo profilo, sentenze n. 344 del 1995; n. 82 del 1982; n. 1164 del 1988) non sono fenomeni di per sé inammissibili dal punto di vista costituzionale. Infatti possono esistere ragioni giustificative accertate attraverso una valutazione procedimentale (con adeguata motivazione) dell’amministrazione preposta alla gestione del territorio o rispettivamente apprezzate dalla discrezionalità legislativa entro i limiti della non irragionevolezza e non arbitrarietà (v. sentenze n. 344 del 1995; nn 186 e 185 del 1993; n. 1164 del 1988).
Invece, assumono certamente carattere patologico quando vi sia una indefinita reiterazione o una proroga sine die o all’infinito (attraverso la reiterazione di proroghe a tempo determinato che si ripetano aggiungendosi le une alle altre), o quando il limite temporale sia indeterminato, cioè non sia certo, preciso e sicuro e, quindi, anche non contenuto in termini di ragionevolezza (sentenza n. 344 del 1995). Ciò ovviamente in assenza di previsione alternativa dell’indennizzo (sentenze n 344 del 1995; n. 575 del 1989), e fermo, beninteso, che l’obbligo dell’indennizzo opera una volta superato il periodo di durata (tollerabile) fissato dalla legge (periodo di franchigia).
Del resto la giurisprudenza amministrativa, a proposito della reiterazione dei vincoli, ha delineato un diritto vivente (che deve essere tenuto presente per risolvere la questione di legittimità costituzionale prospettata), secondo cui la reiterazione dei vincoli urbanistici decaduti per effetto del decorso del termine può ritenersi legittima sul piano amministrativo se corredata da una congrua e specifica motivazione sulla attualità della previsione, con nuova ed adeguata comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti, e con giustificazione delle scelte urbanistiche di piano, tanto più dettagliata e concreta quante più volte viene ripetuta la reiterazione del vincolo.
Da quanto sopra deriva, come ulteriore conseguenza, che deve essere separato e distinto il profilo della ammissibilità e legittimità delle reiterazioni in via amministrativa dei vincoli urbanistici c.d. espropriativi, attuate in conformità ai principi ricavabili dalla giurisprudenza succitata, di modo che la reiterazione può essere ritenuta giustificata dalle esigenze appositamente valutate e motivate come attuali e persistenti: ciò non di meno si realizza un obbligo indennitario.
Infatti, per i vincoli derivanti da pianificazione urbanistica (come sopra delimitati), l’obbligo specifico di indennizzo deve sorgere una volta superato il primo periodo di ordinaria durata temporanea (a sua volta preceduto da un periodo di regime di salvaguardia) del vincolo (o di proroga per legge in regime transitorio), quale determinata dal legislatore entro limiti non irragionevoli, come indice della normale sopportabilità del peso gravante in modo particolare sul singolo, qualora non sia intervenuta l’espropriazione ovvero non siano approvati i piani attuativi
In altri termini, una volta oltrepassato il periodo di durata temporanea (periodo di franchigia da ogni indennizzo), il vincolo urbanistico (avente le anzidette caratteristiche), se permane a seguito di reiterazione, non può essere dissociato, in via alternativa all’espropriazione (o al serio inizio dell’attività preordinata all’espropriazione stessa mediante approvazione dei piani attuativi), dalla previsione di un indennizzo.
Il potere della pubblica amministrazione di programmazione urbanistica e di realizzazione dei progetti relativi alle esigenze generali (richiamate dalla ordinanza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato) non si può consumare per il semplice fatto della scadenza dei termini di durata dei vincoli urbanistici innanzi delimitati, ove persistano o sopravvengano situazioni che ne impongano la realizzazione anche se per differenti finalità, per cui deve essere esclusa in radice la denunciata violazione degli artt. 9, 32 e 97 della Costituzione.
Tuttavia, negli anzidetti casi, la mancata previsione di qualsiasi indennizzo si pone in contrasto con i principi costituzionali ricavabili dall’art. 42, terzo comma, della Costituzione, e di conseguenza ne deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale. Tale dichiarazione non può tradursi in una sentenza caducatoria, posto che una simile pronuncia colpirebbe nel complesso i poteri di programmazione del territorio, che devono poter essere esercitati nonostante la intervenuta scadenza dei vincoli, ferma la necessità di previsione di indennizzo.
8. – Neppure si può ottenere in questa sede un completo adeguamento alla legalità costituzionale mediante una pronuncia che provveda a fissare i criteri per la concreta liquidazione del quantum dell’indennizzo nei casi sopra specificati.
Per la determinazione concreta dell’indennizzo in conseguenza della reiterazione di vincoli urbanistici esistono molteplici variabili, che non possono essere definite in sede di verifica di legittimità costituzionale con una sentenza additiva, in quanto detto indennizzo non è, nella quasi totalità dei casi (in ciò sta la netta differenza rispetto alla diversa – anche per natura – indennità di esproprio), rapportabile a perdita di proprietà. Né può essere utilizzato un criterio di liquidazione ragguagliato esclusivamente al valore dell’immobile, in quanto il sacrificio subito consiste, nella maggior parte dei casi, in una diminuzione di valore di scambio o di utilizzabilità. Inoltre l’indennizzo per il protrarsi del vincolo è un ristoro (non necessariamente integrale o equivalente al sacrificio, ma neppure simbolico) per una serie di pregiudizi, che si possono verificare a danno del titolare del bene immobile colpito, e deve essere commisurato o al mancato uso normale del bene, ovvero alla riduzione di utilizzazione, ovvero alla diminuzione di prezzo di mercato (locativo o di scambio) rispetto alla situazione giuridica antecedente alla pianificazione che ha imposto il vincolo.
Alla luce delle considerazioni che precedono, deve essere dichiarata la illegittimità costituzionale non dell’intero complesso normativo che consente la reiterazione dei vincoli, ma esclusivamente della mancata previsione di indennizzo in tutti i casi di permanenza del vincolo urbanistico (preordinato all’espropriazione o comportante l’assoluta inedificabilità) oltre i limiti di durata fissati dal legislatore (quali indici di ordinaria sopportabilità da parte dei singoli), ove non risulti in modo inequivocabile l’inizio della procedura espropriativa. Con la conseguenza che la reiterazione del vincolo deve comportare la previsione di indennizzo nei sensi suindicati, restando al legislatore ogni possibilità di intervento, anche attraverso procedure semplificate, per la concreta liquidazione dell’ indennizzo stesso.
Naturalmente-occorre di nuovo sottolineare- non da qualsiasi reiterazione di vincolo urbanistico discende un pregiudizio al soggetto titolare del bene e un correlativo obbligo a carico dell’amministrazione di corrispondere un indennizzo. Nell’ambito del modello indennitario si possono presentare una pluralità di soluzioni astrattamente ipotizzabili, idonee ad assicurare un serio ristoro a favore del soggetto che subisce il vincolo, in armonia con i principi costituzionali tra le quali il legislatore può operare una scelta.
Il necessario intervento legislativo dovrà precisare le modalità di attuazione del principio dell’ indennizzabilità dei vincoli a contenuto espropriativo nei sensi sopra indicati, delimitando le utilità economiche suscettibili di ristoro patrimoniale nei confronti della pubblica amministrazione, e potrà esercitare scelte tra misure risarcitorie, indennitarie, e anche, in taluni casi, tra misure alternative riparatorie anche in forma specifica (v. ordinanza n. 165 del 1998), mediante offerta ed assegnazione di altre aree idonee alle esigenze del soggetto che ha diritto ad un ristoro (v., come esempio di misura sostitutiva di indennità, art. 30, primo e secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47), ovvero mediante altri sistemi compensativi che non penalizzano i soggetti interessati dalle scelte urbanistiche che incidono su beni determinati.
9.-L’esigenza di un intervento legislativo sulla quantificazione e sulle modalità di liquidazione dell’indennizzo non esclude che-anche in caso di persistente mancanza di specifico intervento legislativo determinativo di criteri e parametri per la liquidazione delle indennità- il giudice competente sulla richiesta di indennizzo, una volta accertato che i vincoli imposti in materia urbanistica abbiano carattere espropriativo nei sensi suindicati, possa ricavare dall’ordinamento le regole per la liquidazione di obbligazioni indennitarie, nella specie come obbligazioni di ristoro del pregiudizio subito dalla rinnovazione o dal protrarsi del vincolo.
10. – In conclusione restano al di fuori dell’ambito dell’indennizzabilità i vincoli incidenti con carattere di generalità e in modo obiettivo su intere categorie di beni – ivi compresi i vincoli ambientali-paesistici -, i vincoli derivanti da limiti non ablatori posti normalmente nella pianificazione urbanistica, i vincoli comunque estesi derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso l’iniziativa privata in regime di economia di mercato, i vincoli che non superano sotto il profilo quantitativo la normale tollerabilità e i vincoli non eccedenti la durata (periodo di franchigia) ritenuta ragionevolmente sopportabile.
Pertanto deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica) e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150) nella parte in cui consente all’Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all’ espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di indennizzo secondo modalità legislativamente previste ed in conformità ai principi sopra richiamati.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica) e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), nella parte in cui consente all’Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di indennizzo.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 1999.


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